
Un fulmine a ciel sereno. Non si può che definire così l’attentato compiuto domenica scorsa, 13 aprile, da sconosciuti contro il musicista Joel Amaral nelle vie di Quelimane, capoluogo della provincia della Zambezia. Amaral è il rapper autore della famosa canzone Trufafa. Il brano, durante l’ultima campagna elettorale, è diventato la colonna sonora delle proteste contro il sistema di corruzione del partito da sempre al potere in Mozambico, il Frelimo.
Amaral è uno dei principali sostenitori di Venâncio Mondlane, il virtuale vincitore delle elezioni del 9 ottobre scorso. Nell’attacco un proiettile lo ha raggiunto anche alla testa e le sue condizioni sono state giudicate gravi, seppur non da definirlo in pericolo di vita. Il giorno dopo il fatto Mondlane si è precipitato all’ospedale di Quelimane per verificare di persona le condizioni dell’artista e amico gravemente ferito.
All’arrivo presso il nosocomio, Mondlane è stato accolto dall’ormai solito bagno di folla festante. Le persone accorse davanti all’ospedale hanno accolto con gratitudine il gesto di Mondlane di andare a trovare Amaral. Il rapper è un personaggio molto noto a Quelimane, tradizionale roccaforte delle opposizioni e in modo particolare della Renamo. Proprio il partito di cui faceva parte il musicista all’epoca della sua esperienza nel consiglio comunale cittadino.
L’intervento di de Araújo
Le condanne nei confronti dell’attentato sono state immediate: fra i primi a pronunciarsi il sindaco di Quelimane, Manuel de Araújo, esponente di punta della Renamo, vicino anche a Mondlane. Il primo cittadino ha pubblicamente invitato il presidente della Repubblica, Daniel Chapo, a permettere che organizzazioni internazionali svolgano le indagini in merito all’attacco.
La richiesta arriva alla luce della netta percezione di inerzia da parte delle forze di polizia locali, soprattutto rispetto a simili episodi che si sono avvenuti in passato e che sembrano avere una matrice politica, proprio come quanto avvenuto ad Amaral.
Una posizione questa, che è emersa chiaramente dalle parole usate da uno dei più credibili settimanali locali, Canal de Moçambique, che ha indicato i cosiddetti “squadroni della morte”, ritenuti legati al governo, come responsabili dell’attentato.
Mondlane ha dato una sorta di ultimatum alle forze governative, affermando che, se gli attentati politici dovessero proseguire, organizzerà manifestazioni «100 volte peggiori» a quelle che si sono verificate nei mesi scorsi, quando la repressione della polizia ha causato la morte di oltre 350 persone. Se ne deduce che anche il candidati alla presidenza al voto dello scorso ottobre sia per l’ipotesi che vedi il coinvolgimento di soggetti interni all’attuale esecutivo.
Infine, anche il presidente Chapo ha condannato l’attentato, definendolo un «affronto alla democrazia» e provando così a smarcarsi dal sospetto che tutti hanno, in Mozambico, di un’azione partita dal deep state frelimista. Un’apparente dimostrazione di forza che potrebbe mettere a repentaglio le già deboli trattative fra le varie formazioni politiche in corso in questi giorni.
Frelimo spaccato?
Proprio questo è il principale dubbio da parte di chi osserva le dinamiche mozambicane: un attentato di questa natura – sulla cui matrice politica vi sono pochi dubbi – sembra rappresentare una bomba scagliata contro il dialogo con le opposizioni, che molte parti del Frelimo hanno da sempre osteggiato, ma che Chapo sta tentando, faticosamente, di portare avanti.
Le frange più oltranziste del partito di governo, infatti, temono che le riforme previste dal dialogo con le opposizioni potrebbero portare alla fine del dominio politico di Frelimo, con elezioni finalmente giuste e trasparenti.
Un prezzo che questi pezzi di partito (e di stato) non sembrano disposte a pagare, a costo di far ripiombare il paese in un caos da cui è appena, almeno parzialmente, uscito.