
Il parlamento del Mozambico ratifica all’unanimità l’accordo per la riforme istituzionali firmato il mese scorso fra dal presidente Daniel Chapo e le opposizioni parlamentari. L’intesa poteva sembrare “storica”, per quanto mancasse il vero leader dell’opposizione mozambicana, quel Venancio Mondlane che ha guidato mesi di proteste popolari dopo le contestate elezioni dello scorso ottobre.
Memori della storia recente del paese però, le formazioni che si oppongono al governo del partito Frelimo hanno voluto garanzie in più sulle possibilità di cambiamento: il voto dei deputati ha avuto proprio questa funzione.
Per capire meglio cosa è avvenuto ieri 2 aprile, giorno del voto dell’Assemblea nazionale, è utile tornare al 5 marzo, data dell’intesa governo-opposizioni. La giornata era finita con fotografie, strette di mano e perfino qualche abbraccio.
Il presidente Chapo aveva firmato il patto con rappresentanti dei partiti con seggi in parlamento e nelle assemblee provinciali, l’equivalente dei consigli regionali italiani. Una serie di piccole formazioni politiche di espressione locale ma anche i principali partiti nazionali: Podemos, Renamo e Movimento democratico del Mozambico (MDM).
Formazioni queste, che sono state catapultate nei sacrari della politica mozambicana. E che di fronte ai “big” non potevano fare altro che ratificare l’accordo che era stato predisposto dalla presidenza della Repubblica, col decisivo contributo soprattutto di Renamo e MDM. E appunto un convitato di pietra, Mondlane.
Chapo ha visto il politico qualche giorno dopo la firma dell’accordo con le altre opposizioni, per la prima volta dall’inizio delle proteste. I due hanno raggiunto una sorta di “armistizio“, un impegno del governo a mettere fine alle violenze della polizia e un impegno di Mondlane ha sancire la fine delle rivolte popolari.
Per Chapo e il Frelimo poteva bastare così: accordo con le opposizioni scritto e sottoscritto, quindi in apparenza blindato. Non sono stati dello stesso parere i due partiti di opposizione tradizionali, Renamo e MDM. Memori di quanto a suo tempo era accaduto ad Afonso Dhlakama, lo storico leader della Renamo scomparso nel 2018, si è voluto andare oltre, esigendo ulteriori garanzie.
Evitare un copione già visto
Nel 2014, dopo le solite, contestate elezioni, Dhlakama aveva infatti stretto un accordo col neoeletto presidente Filipe Nyusi, con tanto, anche in quel caso, di pacche sulle spalle, sorrisi e abbraccio fra i due. Obiettivo condiviso: permettere alla Renamo di governare in quelle province dove aveva ottenuto la maggioranza (al tempo i governatori erano nominati dal presidente della repubblica). Il parlamento, tuttavia, bocciò la proposta, facendo ripiombare il paese in un nuovo conflitto.
I residui di fiducia fra opposizioni e Frelimo si sono esauriti con le ultime elezioni. Questo clima ha quindi indotto Renamo e Mdm a forzare la mano a Chapo, per portare, su iniziativa presidenziale, il suddetto accordo di riforme istituzionali ed elettorali all’approvazione del parlamento, cosa avvenuta alla fine ieri.
Non sono mancati, secondo fonti locali che hanno preferito mantenere l’anonimato, mal di pancia in seno alle ali più radicali del Frelimo. Ali che non volevano che l’accordo avesse il timbro del parlamento, né che Chapo incontrasse Mondlane. Il passaggio parlamentare, quindi, come ha confermato a Nigrizia il leader dell’MDM, Lutero Simango, ha rappresentato una piccola vittoria delle opposizioni, decise a fare sul serio per garantire, nel 2029, un processo elettorale giusto e trasparente.
Si tratterebbe della vera rivoluzione nella vita pubblica mozambicana. Un percorso lungo e pieno di insidie, ma probabilmente l’unico, in questo momento, in grado di far diventare il Mozambico un paese “normale”, in cui chi prende più voti governa.