Mozambico: prospettive verso i secondi cinquant’anni - Nigrizia
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A Maputo si celebra oggi mezzo secolo di indipendenza dal Portogallo
Mozambico: prospettive verso i secondi cinquant’anni
Un paese in crisi profonda che deve ripartire da un concetto chiave: l'inclusione
25 Giugno 2025
Articolo di Luca Bussotti
Tempo di lettura 5 minuti
La bandiera del Mozambico. (Crediti: Leandro Neumann Ciuffo/Flickr)

Il 25 giugno il Mozambico compie 50 anni, tanti sono passati dall’indipendenza strappata dal Portogallo dopo oltre 10 anni di conflitto nel 1975. Cinquanta anni che sono forse pochi, per una nazione, ma che sono stati vissuti intensamente.

L’ultimo mezzo secolo del Mozambico è stato attraversato da due guerre contro il principale partito di opposizione fino alle scorse elezioni del 2024, la Renamo, conclusesi prima con gli Accordi generali di pace del 1992 a Roma e poi con un ulteriore accordo firmato nel 2019.

E poi un conflitto contro gruppi di matrice jihadista nel nord del paese dal 2017 e una enorme crisi post-elettorale l’anno scorso. Una fase scoppiata dopo le contestate elezioni di ottobre, segnata da una mobilitazione di massa che è spesso culminata in guerriglia urbana e durante la quale sono state uccise centinaia di persone.

A corredo, il più grande scandalo finanziario della storia africana, tassi di disuguaglianza e povertà fra i più alti al mondo e una corruzione dilagante che rischia di bloccare le giovani risorse umane del paese.

Retoriche di liberazione

Tutto questo è storia. Storia di cui, in questi giorni, in Mozambico si sente parlare molto poco. L’attenzione, infatti, si è spostata su un’altra narrativa, quella eroica della liberazione. Una retorica racchiusa in una iniziativa simbolica del presidente Daniel Chapo: portare la “torcia dell’Unità” da Nangade, piccolo centro della provincia settentrionale di Cabo Delgado dove è iniziata la lotta anti-coloniale, nel lontano 1964, fino a Maputo. Il termine della cerimonia è previsto proprio nella capitale, il luogo in cui il primo carismatico presidente del paese, Samora Machel, proclamò l’indipendenza. 

Un festeggiamento in pompa magna solo in apparenza. Il sotto testo infatti restituisce un’idea di grande debolezza: al di là della lotta anti-coloniale, c’è ben poco da celebrare…

La popolazione di un’area rurale festeggia la liberazione dal Portogallo il 25 giugno 1975 (Credit: archivio Nigrizia)

Includere o perir

I prossimi 50 anni del Mozambico dovranno essere contrassegnati da quella che per molti è divenuta una vera e propria parola d’ordine, dopo le disastrose elezioni dell’ottobre del 2024: “inclusione”. Si tratta di una necessità. O vi sarà inclusione a tutti i livelli, o il Mozambico rischierà di fare la fine di Somalia o Sudan: uno scenario “apocalittico” ma non improbabile. 

Il primo tassello di questa inclusione è di tipo socio-economico. Il Mozambico ha avuto una crescita esponenziale del suo Coefficiente di Gini, negli ultimi anni; questo significa che le diseguaglianze sociali hanno subito un incremento, tanto che il paese ha finito per produrre, al contempo, maggiore povertà e un numero relativamente elevato di ricchi ultramilionari.

Una conferma di quanto, a suo tempo, aveva detto lo scrittore Mia Couto: il Mozambico produce ricchi, ma non ricchezza. Senza invertire questa tendenza sarà difficilissimo che il paese ritrovi le ragioni dello stare insieme, il cemento di un’unità nazionale smarrita ormai da troppo tempo.

Se la frattura sociale è quella più evidente, anche quella di matrice etnica non è da meno. Il processo di formazione dello stato nazionale ha portato alla ribalta due comunità ben precise: i makonde – che hanno espresso il presidente uscente, Filipe Nyusi, in carica dal 2014 al 2024 – e i ronga (che abitano soprattutto nel sud del paese), insieme a un gruppo, ormai in via di naturale sparizione, costituito da persone di origine portoghese o della colonia portoghese in India di Goa.

Grandi gruppi etnico-linguistici come amakhuwa, dau, sena e xuabo sono stati sistematicamente esclusi dai giri economici e politici che contano; non a caso, sia le due guerre della Renamo che l’insurrezione jihadista a Cabo Delgado sono avvenute in territori abitati da queste popolazioni, maggioritarie in termini numerici, ma minoritarie quanto a effettivo potere, che hanno trovato nel conflitto l’unica forma di esprimere il loro malcontento.

Infine, la questione politica. A oggi, chi non fa parte del “sistema” ha davvero poche chance di emergere, in qualsiasi campo e settore di attività. In questo caso, l’inclusione significa che, per i prossimi cinquant’anni, il valore da salvaguardare non dovrà essere più il mantenimento del potere da parte del partito-stato Frelimo, quanto la tutela di quella debole, incipiente, ma non per questo meno importante democrazia che, dalla Costituzione del 1990 in poi, si è riusciti a costruire.

Quel cambiamento che c’è, ma ancora non si vede 

Soltanto avendo a cuore le sorti della democrazia mozambicana sarà forse possibile un cambiamento epocale di cultura politica nella nomenklatura del partito da sempre al potere: accettare la semplice regola che chi vince le elezioni governa.

A oggi non è stato così: dalle elezioni del 1999 a quelle del 2014, infine a quelle ancora più contestate del 2024, il Frelimo ha sempre imposto la propria legge, fatta di manipolazioni dei risultati elettorali, e della “concessione” di alcuni comuni alle opposizioni, scelti col contagocce, e sempre evitando di mettere in discussione il governo della capitale, Maputo.

La società civile mozambicana però è cresciuta, è molto più consapevole oggi rispetto a 50 anni fa. E fra 50 anni lo sarà ancora di più. Per questo, uno degli aspetti centrali per il futuro del paese è la correttezza e la trasparenza dei processi elettorali.

Quanto detto deve essere inquadrato all’interno di potenzialità di sviluppo enormi, per il Mozambico: gas, carbone, terre rare o, per chi volesse pensare a una tipologia diversa di crescita, sole, vento, turismo, grazie a paesaggi mozzafiato e a una costa lunga circa 2500 chilometri. Potenzialità a oggi appannaggio di un’élite ristretta e impaurita.

Domani, forse, a disposizione di una massa ampia di popolazione, impegnata in un comune progetto di valorizzazione delle diversità, delle lingue, delle religioni e delle culture di un paese-mosaico che appare più vecchio e più cupo rispetto ai suoi primi 50 anni. Magari ripercorrendo il curioso caso di Benjamin Button, al compimento dei suoi cento anni potrà ritrovarsi più giovane e pimpante di quanto non lo sia oggi.

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