
La giunta militare al potere in Niger grazie al colpo di Stato del 26 luglio 2023 il Conseil national pour la sauvegarde de la patrie (CNSP), si è garantita almeno altri 60 mesi di governo. Con il suo leader, il generale di brigata Abdourahamane Tiani, che si è auto-elevato di grado, promuovendosi generale dell’esercito. Per lui e per gli altri membri del governo di transizione anche la possibilità di candidarsi in future elezioni.
Sono alcune delle decisioni più significative emerse dalla “Conferenza nazionale per la rifondazione del Niger “, durata cinque giorni e conclusa il 20 febbraio scorso a Niamey, che ha visto la partecipazione di oltre 700 delegati provenienti da diversi contesti socio-professionali del Paese della diaspora.
I partecipanti agli incontri, da cui sono rimasti esclusi gli esponenti della società civile e delle opposizioni, hanno stabilito di prorogare il periodo di transizione di altri cinque anni, rinnovabili, per “porre le basi di una vera indipendenza e di una sovranità totale del nostro Paese a tutti i livelli: economico, politico, sociale e culturale”, ha spiegato il presidente della Commissione della Conferenza nazionale, Mamoudou Harouna Djingarey.
Una durata che potrebbe variare a seconda della situazione politica e di sicurezza, e dell’agenda dell’Alleanza degli Stati del Sahel (AES), il nuovo blocco formato dai paesi saheliani guidati da giunte militari golpiste: Mali, Niger e Burkina Faso.
Tra le decisioni più rilevanti anche lo scioglimento dei partiti politici (circa 150) e l’adozione di una nuova legge che li regolamenti, stabilendo “un limite minimo di due e un massimo di cinque partiti”. Prevista anche la stesura di una nuova Costituzione “adattata ai valori socio-culturali” del paese, destinata a sostituire quella abrogata in seguito al colpo di Stato.
Il Niger riconoscerà inoltre l’islam come “religione maggioritaria”, pur “considerando la libertà di credo delle altre religioni”.
Nell’ottica della riconciliazione nazionale è stata anche proposta “un’amnistia per gli autori del colpo di Stato” che ha rovesciato il presidente eletto Mohamed Bazoum. Ovvero per gli stessi militari ora al potere.
Nemmeno una menzione invece, riguardo al destino di Bazoum e dei suoi famigliari, agli arresti domiciliari da quasi due anni senza che nei confronti del deposto capo dello Stato siano state mosse delle accuse.
Su quest’ultimo punto non sono mancate le voci critiche. Secondo Liman Ali Mahamadou, ex vicepresidente dell’Assemblea nazionale, “l’amnistia e la riconciliazione devono riguardare tutti”, non solo i golpisti. “A mio parere – ha aggiunto – dobbiamo liberare (anche) i prigionieri politici e gli attori della società civile”.
Tutte queste proposte diverranno operative solo dopo la convalida da parte del generale Tiani che si è già impegnato a metterle in atto.