
Con un prezzo che supera i 100 dollari al grammo, ai massimi storici, l’oro è diventato il bene rifugio per eccellenza, in particolare oggi, quando i venti di guerra soffiano sempre più impetuosi sui mercati internazionali. Venti che proprio il commercio illecito dell’oro africano contribuisce ad alimentare.
Lo sa bene la Russia, il cui approvvigionamento del metallo prezioso proveniente dalle miniere illegali dell’Africa centrale ha permesso di superare senza grandi contraccolpi le sanzioni dell’Occidente. Lo sanno bene anche i paesi del Golfo, Emirati Arabi su tutti, che sul riciclaggio dello stesso oro hanno costruito parte della loro potenza economico-finanziaria.
Ora però la nuova spinta nazionalista che serpeggia in Africa occidentale sembra aver risvegliato governi intorpiditi per decenni, depositari di miniere di ricchezza, lasciate, spesso, in mani straniere.
In Ghana in 5 anni persi 11,4 miliardi di dollari
Un esempio è il Ghana, principale produttore di oro del continente, che perde miliardi di dollari di entrate ogni anno a causa del contrabbando del minerale proveniente dal suo fiorente – e altamente inquinante – settore dell’estrazione artigianale, le cosiddette galamsey.
In un suo recente studio, l’organizzazione Swissaid ha rilevato un divario commerciale di ben 229 tonnellate in cinque anni (2019-2023), equivalenti a 11,4 miliardi di dollari, con la maggior parte del prezioso metallo finito a Dubai dopo essere stato trasportato oltreconfine in Togo e Burkina Faso e di lì in Mali.
E “questa – fa notare Swissaid – è solo la punta dell’iceberg”.
Il governo di Accra è però corso ai ripari e dal 1° maggio scorso ha vietato a tutte le imprese straniere commerciare nel mercato locale dell’oro, istituendo un nuovo ente statale, il GoldBod, che è l’unico autorizzato ad estrarre, acquistare, vendere, valutare ed esportare il prezioso minerale. Sarà la storia a dire se questa manovra sarà riuscita a ridurre il traffico illegale.
AES blocca le aziende straniere
Un atteggiamento simile è quello dei tre paesi della fascia saheliana guidati da giunte militari golpiste sostenute da Mosca, riuniti sotto la bandiera dell’Alleanza degli stati del Sahel (AES): ovvero Niger, Burkina Faso e Mali. Che puntano a riprendere il pieno controllo delle loro risorse.
In quest’ottica hanno rivisto i codici minerari per imporre la lavorazione locale, con l’obiettivo di aggiungere valore alle esportazioni e incrementare i benefici economici. Cosa che ha ovviamente irritato gli investitori stranieri, alcuni dei quali, come la canadese Barrick in Mali, si sono visti bloccare le esportazioni, confiscare le scorte aurifere e nazionalizzare i siti dei giacimenti.
Il Mali, in particolare, sembrerebbe addirittura intenzionato a trasformarsi nel principale hub aurifero regionale.
Una raffineria in partnership con Mosca
In collaborazione con il gruppo russo Yadran e con una anonima società di investimento svizzera, pochi giorni fa Bamako ha avviato la costruzione di una raffineria che, una volta pienamente operativa, trasformerà tutto l’oro prodotto nel paese in lingotti per l’esportazione.
E non solo. Perché la capacità di raffinazione, di 200 tonnellate, per un valore di circa 130 miliardi di dollari, è quasi quattro volte superiore alla produzione annuale del paese, che intende dunque processare anche minerale proveniente dall’estero.
La proprietà dell’impianto sarà condivisa, ma il controllo sarà statale. Nel porre la prima pietra il generale Assimi Goita – che si è attribuito nei giorni scorsi un prolungamento di 5 anni del mandato presidenziale – ha comunicato che le leggi del paese saranno modificate per obbligare tutte le società minerarie a lavorare il loro oro a livello nazionale.
Le tasse riscosse da Bamako negli ultimi anni dalle compagnie minerarie internazionali hanno oscillato tra circa 1 miliardo e 1,4 miliardi di dollari (nel 2024). Questo a fronte di un PIL pro-capite inferiore a 900 dollari. Anche in questo caso sarà la storia a dirci se le nuove politiche protezioniste avranno effetti benefici per la popolazione.
Secondo i dati raccolti nel rapporto di Swissaid Sulle tracce dell’oro africano, del maggio 2024, ogni anno in Africa vengono prodotte tra le 321 e le 474 tonnellate di oro non dichiarate. Con almeno 435 tonnellate che sono state contrabbandate fuori dal continente nel 2022, per un valore commerciale che si aggirava tra i 23,7 e i 35 miliardi di dollari. La maggior parte, 405 tonnellate, è finito negli Emirati Arabi Uniti.