
“The Deadly Global Gold Rush” (La mortale corsa globale all’oro) è il titolo di un lungo articolo pubblicato sul sito Foregn Affaires, rivista informatica parte di un sistema di mezzi d’informazione fondato nel 1922 con lo scopo di fornire una piattaforma di dibattito su temi legati alla politica estera e agli affari internazionali con valenza globale degli Stati Uniti.
Gli autori, Sasha Lezhnev e John Prendergast, sono rispettivamente political advisor e co-fondatore di The Sentry, organizzazione che punta a smascherare i responsabili di casi di grave corruzione e violenza attraverso rapporti e inchieste, molto spesso riguardanti i teatri di annosi e devastanti conflitti. Il suo motto è “war crimes shouldn’t pay” (i crimini di guerra non dovrebbero pagare), nel senso che non dovrebbero costituire occasioni di arricchimento per nessuno, come invece spesso succede.
L’oro è stato diverse volte oggetto delle ricerche dell’organizzazione proprio perché attorno al prezioso metallo fioriscono spesso attività illegali che finiscono non raramente per scatenare e per finanziare conflitti, ma anche regimi autoritari e gruppi terroristici.
È il caso del Sudan, teatro di una guerra che sta devastando il paese, dove l’oro costituisce il 70% delle esportazioni e il suo contrabbando finanzia entrambi le parti combattenti, l’esercito nazionale e le milizie Forze di supporto rapido (RSF).
Nella Repubblica democratica del Congo trafficano oro illegale numerosi gruppi armati. La Russia con l’oro di contrabbando ha potuto resistere alle sanzioni internazionali e finanziare la guerra in Ucraina. Sono solo alcuni esempi dei casi più eclatanti.
È poi evidente che il commercio illegale funziona grazie a reti di trafficanti che, insieme all’oro, molto spesso trafficano anche altro. Droga, armi e uomini.
Il commercio del metallo prezioso è dunque un settore che va attentamente monitorato e regolamentato, altrimenti potrebbe far nascere problemi per la sicurezza, nazionale, dicono gli autori riferendosi agli USA, ma anche globale, si può aggiungere senza timore di esagerare.
È esattamente il tema dell’articolo, come dice il sottotitolo: “How to stop the illicit mining and trade that fuel war and repression” (Come fermare l’estrazione e il commercio illecito che fomenta guerra e repressione).
Sempre più bene rifugio
I dati forniti dal testo danno la dimensione del problema. Ogni anno gira per il mondo oro illegale per un valore di 30 miliardi di dollari, una quota non irrilevante del mercato globale del metallo, che, nel 2024, ammontava a 380 miliardi di dollari. Contrabbandarlo non è troppo difficile. In una ventiquattr’ore, ad esempio, si possono trasportare comodamente 10 chili d’oro per un valore di più di 1 milione di dollari.
In questi giorni, infatti, un grammo del metallo vale più di 100 dollari. Il prezzo è variabile, ma difficilmente scende sotto quella soglia. Anzi, il suo valore è triplicato negli ultimi 10 anni, e questo lo rende un bene estremamente ricercato. Investire in oro paga sempre.
L’oro illegale è generalmente quello estratto in zone di conflitto o in paesi retti da governi autoritari che viene contrabbandato verso le piazze di raffinazione e di commercializzazione in violazione delle leggi commerciali, nazionali e internazionali, vigenti.
Le più importanti sono gli Emirati Arabi Uniti, Dubai, Hong Kong e, per certi aspetti, anche Svizzera, Cina, India e Turchia. Sono questi i paesi che aprono le porte del normale mercato del metallo prezioso all’oro illegale. Una volta raffinato, dice l’articolo, può venir fuso in lingotti insieme a quello legalmente commerciato e da quel momento non è più tracciabile.
Il ruolo chiave di Abu Dhabi
Gli Emirati Arabi sono il paese più problematico. L’articolo dice che nel 2022 hanno importato e raffinato più di 400 tonnellate di oro di contrabbando che hanno poi immesso sul mercato legale.
Nel 2023 ne hanno importato dal Sudan per 1 miliardo di dollari, impiegati in gran parte per fornire armi usate in un conflitto che ha provocato la più grave crisi umanitaria del pianeta. Gli Emirati negano il coinvolgimento nella guerra sudanese, a sostegno delle Forze di supporto rapido. Ma il loro coinvolgimento è ormai provato da dettagliati rapporti presentati da esperti al Consiglio di sicurezza dell’ONU.
Inoltre è un fatto che la più grande miniera d’oro del paese è controllata da una compagnia che ha legami con la famiglia reale emiratina. Perciò, dicono gli autori, non è troppo ardito pensare che il sostegno ad una delle parti combattenti sia dovuto anche alla necessità di proteggere i propri interessi economici.
L’oro della Rd Congo
Il controllo dell’estrazione e del commercio dell’oro sarebbe alla base anche della recrudescenza del conflitto nella Repubblica democratica del Congo. In particolare avrebbe radici in un contratto stipulato dal governo del paese con gli Emirati che avrebbe messo all’angolo gli interessi di Rwanda e Uganda, entrambi sostenitori della milizia M23.
I due paesi, pur producendo oro in quantità molto limitata, l’anno scorso avrebbero esportato oro rispettivamente per un valore di 1,5 e 3,4 miliardi di dollari. Evidentemente si trattava di oro proveniente da oltre il confine, dalle regioni orientali della Rd Congo, quelle in cui agiscono gli uomini dell’M23.
SwissAid, organizzazione svizzera per lo sviluppo, calcola che nel 2022 tra il 32 e il 41% dell’oro estratto nei paesi dell’Africa subsahariana fosse illegale. Quasi tutto è stato contrabbandato negli Emirati.
Altrettando preoccupanti anche altri legami degli Emirati Arabi Uniti.
Le importazioni di oro dalla Russia, che è il secondo produttore mondiale dopo la Cina, sono aumentate in modo esponenziale dopo l’invasione dell’Ucraina. Sono arrivate a 2,5 miliardi di dollari nel 2023, bypassando le sanzioni dei paesi occidentali e sostenendo di fatto l’economia di guerra del Cremlino.
Secondo l’articolo, anche il regime di Maduro, in Venezuela, si sostiene in buona parte sul commercio illegale di oro, facilitato dagli Emirati.
Gli autori descrivono anche le condizioni dell’estrazione dell’oro illegale, che è molto spesso frutto del lavoro di minatori artigianali, in cui sono impiegati lavoro minorile e tecniche pericolose per la salute dei minatori e devastanti per l’ambiente, come l’uso di sostanze chimiche altamente inquinanti.
Implementare azioni di controllo e contrasto
Come affrontare un problema di questa rilevanza e di queste dimensioni?
Gli autori dell’articolo mettono in evidenza la necessità di stabilire e richiedere standard di trasparenza nelle transazioni bancarie e finanziarie, in cambio di un sostegno all’immagine di chi li accetta nel mercato mondiale del prezioso metallo. “Se rispettassero certi standard con la dovuta serietà, banche ed enti di controllo potrebbero offrire loro incentivi finanziari, incluse valutazioni positive e il sostegno per aderire a organizzazioni internazionali di categoria, cosa che migliorerebbe la loro reputazione e la loro quota nel mercato globale dell’oro”.
È inoltre necessario raccogliere dati sul commercio del metallo in tempo reale. Ora sono condivisi e analizzati con grande ritardo e questo impedisce un’azione efficace di contrasto.
Alcuni paesi ed alcune organizzazioni internazionali si sono già dotate di strumenti che cominciano a dare alcuni frutti, dicono gli autori. Ma il controllo deve essere molto più stringente prima che il commercio dell’oro illegale, già ora imponente, acquisti dimensioni tali da costituire una minaccia per la sicurezza globale.
Per approfondire, si possono consultare anche altri rapporti di The Sentry.
Particolarmente interessanti:
“The golden laundromat” che tratta del commercio dell’oro tra le regioni orientali della Rd Congo e gli Stati Uniti e l’Europa.
“Understanding money laundering risks in the conflict gold trade. From east and central Africa to Dubai and onward” (Comprendere i rischi di riciclaggio di denaro nel commercio di oro proveniente da zone di conflitto. Dall’Africa orientale e centrale a Dubai e oltre).
“Conflict gold to responsible gold. A roadmap for companies & governments” (Dall’oro di conflitto all’oro responsabile. Una tabella di marcia per aziende e governi).