
Papa Francesco ha dato un’impronta senza precedenti di dialogo e confronto con il Nord Africa e il Medioriente. E così non stupisce che tra i primi a esprimere il loro cordoglio per la sua scomparsa siano state le autorità iraniane. Ci aveva pensato l’ambasciatore dell’Iran presso la Santa Sede, Mohammad Hossein Mokhtari, lo scorso febbraio, ad invitare il Segretario di stato, Pietro Parolin, e papa Francesco a Teheran.
Sarebbe stata una visita storica, sebbene i rapporti reciproci tra Vaticano e l’ex guida suprema, Ruhollah Khomeini, risalgano agli anni immediatamente successivi alla rivoluzione islamica del 1979. Non solo, da poco era stato nominato cardinale l’arcivescovo latino di Teheran e Isfahan, Dominique Mathieu, a conferma dei buoni rapporti reciproci tra Iran e Santa Sede.
Lo storico e rischioso viaggio in Iraq
Ma il più importante segno di vicinanza tra cattolicesimo e comunità sciita, papa Francesco lo aveva dato con il viaggio in Iraq del 2021, nonostante la pandemia e i rischi per la sua sicurezza. Nel 2024, il pontefice ha confermato che proprio in quell’occasione è scampato a un duplice attentato contro di lui che era stato organizzato dai jihadisti nella città di Mosul.
Di tutte le immagini quella che più di ogni altra resterà nella memoria della visita in Iraq del 2021 di Papa Francesco è l’incontro nella città santa sciita di Najaf nella dimora dimessa dell’ayatollah, Ali al-Sistani. Al di là del significato religioso di un riconoscimento reciproco, quell’immagine ha mostrato la volontà solida di permettere alla, ormai piccola ma con radici antiche, minoranza cristiana in Iraq, di avere pieno diritto di cittadinanza, dopo essere stata decimata o costretta all’esilio durante i conflitti che hanno attraversato la regione.
«È stato molto importante dare sostegno e supporto ai cristiani in Iraq. I cristiani iracheni sono ancora minacciati e hanno subìto tremende persecuzioni. Sono stati continui gli attacchi contro i cristiani e le altre minoranze religiose, in centinaia di migliaia hanno lasciato il paese», ha spiegato a Nigrizia lo storico iracheno Sami Zubaida, professore emerito di scienze politiche e sociologia all’università Birbeck di Londra.
«Vi invito ad approfondire i dilemmi che hanno affrontato i cristiani iracheni dopo l’invasione del 2003, raccontati magistralmente dallo scrittore Sinan Antoon nel libro Ave Maria. Per questo, è particolarmente rilevante l’incontro di papa Francesco con al-Sistani. È stato significativo sentire al-Sistani dire che tutti i cristiani hanno gli stessi diritti degli iracheni, come sicurezza e libertà, sebbene spesso neppure le altre comunità in Iraq godano di quei diritti”, ha aggiunto il docente di Birkbeck.
L’incontro con al-Tayeb e il documento di Abu Dhabi
Non è mancato il dialogo di papa Francesco neppure con la comunità sunnita, culminato con la visita del 2019 negli Emirati Arabi Uniti e la firma del documento di Abu Dhabi Sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune. E così i leader arabi, da Abdel Fattah al-Sisi al re giordano Abdullah II, hanno subito fatto sentire le loro parole di cordoglio dopo la sua morte.
Proprio uno dei momenti più significativi del dialogo tra cristiani e musulmani si è realizzato con la visita di papa Francesco in Egitto dell’aprile 2017, in un contesto di grave crisi politica e di continua violazione dei diritti umani per il paese.
Erano passati 17 anni dal viaggio di Giovanni Paolo II al Cairo. Da allora era cambiato tutto. Le aspirazioni di cambiamento dell’Egitto, centrale per gli equilibri regionali, erano cresciute con le rivolte del 2011, le così dette Primavere arabe, per poi decadere fragorosamente in una feroce dittatura militare.
Ma il papa non ha perso quell’occasione e ha puntato sui temi più controversi delle crisi che attraversano la regione. Prima di tutto, ha chiesto “pace per l’Egitto” e per il Medioriente. Sembrava un richiamo consueto ma invece era essenziale in quella fase di grandissime lacerazioni, polarizzazione e divisioni politiche che hanno spaccato la regione costringendo di nuovo i Fratelli musulmani alla clandestinità o fomentando la guerra civile in Siria. Auspicare la pace in quel contesto significava riconoscere la legittimità all’esistenza dell’altro, dell’oppositore che vuole far sentire la sua voce abiurando ogni violenza.
Purtroppo, in Egitto questo sogno è ancora quanto mai molto lontano. Islamisti moderati, laici e giovani attivisti ancora marciscono nelle prigioni del paese senza motivo o solo per aver infranto un’ingiusta legge anti-proteste. Con grande coraggio, il papa ha ripetuto in quell’occasione il principale slogan delle rivolte del 2011: “Pane, libertà e giustizia sociale”.
Questo è stato di sicuro il più rivoluzionario dei punti toccati nei suoi discorsi in Egitto. Mai come in quella fase storica lo sfruttamento e l’annientamento della dignità delle classi subalterne erano la quotidianità in un paese dove il 30% della popolazione vive con meno di un dollaro al giorno.
Momento centrale della visita del papa al Cairo del 2017 è stato anche il sentito abbraccio con il gran muftì della moschea di al-Azhar, principale centro per l’islam sunnita nel paese. Papa Francesco ha preso parte alla Conferenza di pace, organizzata al Cairo proprio dall’Università di al-Azhar, alla presenza delle principali autorità religiose cristiane e musulmane.
Proprio l’imam, Ahmed al-Tayeb, aveva invitato il pontefice al Cairo anche per superare gli anni di distanza diplomatica con la Sante Sede durante il papato di Benedetto XVI. E papa Francesco ha puntato tutto il suo viaggio sul dialogo con l’islam moderato e sulla distinzione tra religione e violenza, invocando invece la pace come unico strumento di soluzione delle controversie.
L’intesa con la comunità copta
Uno dei momenti centrali della visita di Francesco al Cairo nel 2017 è stata poi la firma dell’accordo con il patriarca copto Tawadros II, che prevedeva il riconoscimento reciproco dei battesimi. Secondo il testo dell’accordo, in caso di conversione, non sarebbe stato necessario ripetere il battesimo una volta che era stato già somministrato dalla chiesa cristiano-copta o dalla chiesa cattolica. Si trattava di un passo avanti senza precedenti nel dialogo ecumenico tra cattolici e copti che ha avvicinato sempre di più la chiesa di Roma e quella del Cairo.
Infine, in quell’occasione il pontefice aveva celebrato la messa in una delle chiese colpite dagli attentati del dicembre 2016 contro la comunità copta locale. Sfidando qualsiasi precauzione per la possibile mancanza delle condizioni di sicurezza, la Santa Sede aveva annunciato che papa Francesco avrebbe visitato il paese senza ricorrere a mezzi blindati. Appena tre settimane prima, in occasione della domenica delle Palme, le chiese cristiane di Alessandria d’Egitto e Tanta avevano subìto gravi attentati terroristici che avevano causato la morte di 47 persone.
All’insegna del dialogo interreligioso anche la storica visita – la prima volta per il capo della Chiesa di Roma – in Marocco, nel marzo 2019 e l’incontro con il re Mohamed VI, rappresentante della massima autorità dell’islam. Storica anche l’alleanza stipulata in quell’occasione contro gli estremismi – considerati “un’offesa a Dio” – e il documento per “preservare Gerusalemme come luogo e patrimonio comune dell’umanità”.
Papa Francesco e la guerra a Gaza
Papa Francesco si è recato in viaggio in Israele, Palestina e Giordania nel 2014. In quell’occasione ha svolto uno storico pellegrinaggio sia a Gerusalemme sia a Betlemme. E così non stupisce con quale lacerazione abbia vissuto l’anno e mezzo di conflitto a Gaza dopo gli attacchi di Hamas del 7 ottobre 2023.
E così anche durante la benedizione Urbi et Orbi della domenica di Pasqua, poche ore prima di morire, papa Francesco, nel discorso letto da monsignor Diego Ravelli, ha ribadito che «nessuna pace è possibile senza un vero disarmo» definendo «ignobile» la crisi umanitaria nella Striscia di Gaza e chiedendo ancora una volta la liberazione degli ostaggi israeliani ancora nelle mani di Hamas.
Papa Francesco ha sempre fatto sentire la sua vicinanza per i cristiani in Palestina, con telefonate quotidiane a padre Gabriel Romanelli, parroco di Gaza. Non solo, nel novembre del 2024, il santo padre aveva chiesto di «indagare per valutare se si trattasse di genocidio» a Gaza definendo «immorali» le azioni di Israele.
Questo ha prodotto sicuramente le critiche di una parte delle autorità israeliane. Lo stesso premier Benjamin Netanyahu, non ha fin qui commentato la morte del pontefice. Mentre il presidente Isaac Herzog ha ricordato come papa Francesco abbia promosso legami con il mondo ebraico auspicando che la sua memoria «ispiri atti di gentilezza, unità e dialogo».
Eppure, nella giornata di martedì i post ufficiali di condoglianze sul social X delle ambasciate israeliane in tutto il mondo sono stati cancellati per richiesta del ministero degli Esteri. La decisione ha provocato non poche proteste di molti diplomatici.
Lo sguardo rivolto ai migranti
Ma a segnare più di ogni altra cosa il discorso volto all’accoglienza di papa Francesco è stato il tema delle migrazioni. Per esempio, a conclusione della sua visita in Iraq nel 2021, il pontefice ha voluto incontrare la famiglia del piccolo Alan Kurdi, il cui corpo è stato ritrovato sulle coste di Bodrum nel Sud della Turchia nel settembre del 2015.
Quell’immagine di un bambino naufrago, di un rifugiato che avrebbe avuto tutto il diritto di essere accolto con la sua famiglia perché scappava da anni di conflitti, ha fatto immediatamente il giro del mondo e ha colpito moltissimo il pontefice. E così papa Francesco è tornato sempre nel suo papato sul tema dell’umanizzazione delle migrazioni. A partire dai suoi primi viaggi a Lampedusa e a Lesbo, due frontiere di un Mediterraneo diventato un cimitero a cielo aperto per i migranti.
Quindi anche il ricordo del dolore della famiglia di un bambino come Alan Kurdi che a distanza di anni si sarebbe perso nell’infinita contabilità dei morti e dispersi nel Mediterraneo degli ultimi anni, ha assunto un significato centrale per il suo messaggio di inclusione e accoglienza.
Il messaggio di vicinanza verso i migranti ha spinto papa Francesco ad accogliere costantemente in Vaticano i volontari delle ong che si sono occupati per anni di salvataggi in mare, come Mediterranea, e di decine di altri attivisti che dal basso si sono occupati in Italia e nel mondo di migrazioni. O di chiunque abbia mostrato vicinanza verso gli ultimi come i registi e gli attori che hanno raccontato i drammi vissuti nel tentativo di attraversare il Mediterraneo in pellicole cinematografiche, come è accaduto con Io capitano, realizzato da Matteo Garrone.
Questo approccio è anche costato al pontefice l’ostilità di autocrati e populisti, come da parte dell’amministrazione Trump che ha invece fatto del Muslim Ban, dei rimpatri e della lotta senza quartiere all’immigrazione dal Messico, per esempio, il punto centrale del primo e del secondo mandato del Repubblicano, che pure sarà a Roma per i funerali del pontefice.
Papa Francesco ha avuto un occhio di riguardo per il Nordafrica e il Medioriente. Prima di tutto, ha promosso un dialogo assiduo con le altre religioni della regione ma soprattutto ha combattuto con tutte le sue forze contro la violenza del jihadismo e le gravi guerre che, durante il suo pontificato, hanno dilaniato il Mediterraneo. Soprattutto ha fatto sentire a tutti un messaggio di accoglienza verso i migranti, mentre i porti rimanevano chiusi, crescevano le violenze in Libia, lungo i confini dell’Europa, e le morti di innocenti continuavano ad aumentare nel Mediterraneo.
Questa vicinanza verso gli ultimi che cercano un futuro migliore in Europa ha reso il suo pontificato quanto mai rivoluzionario e vicino alla difesa dei diritti umani, avvicinando tanti laici, mai come prima, alla chiesa di Roma.