
Tra il 1972 e il 2023 la Libia ha accumulato 1,25 trilioni di dollari dalla vendita di petrolio. Tra il 1994 e il 2011, dunque negli ultimi quindici anni del regime di Muammar Gheddafi, circa 50 miliardi di dollari di questo immenso patrimonio sono stati trasferiti segretamente da funzionari del governo libico su conti bancari aperti negli Stati Uniti per aggirare le sanzioni della comunità internazionale. Dalla Libia i soldi sarebbero stati parcheggiati prima in degli istituti di credito in Germania e Svizzera e poi spostati negli USA.
A ricostruire il “sistema” messo in piedi e oliato da Gheddafi per nascondere in luoghi sicuri una parte delle enormi ricchezze accumulate negli oltre trent’anni della sua dittatura (1977-2011) è un dossier pubblicato a maggio da Africa Confidential firmato da John Hamilton, managing director di Cross-Border Information.
Tra i documenti più importanti consultati da Hamilton ce ne sono alcuni trovati nel settembre del 2011, nelle settimane decisive per la caduta del regime di Gheddafi, nell’ufficio dell’allora capo dell’intelligence libica Abdullah al-Senussi, cognato dell’ex dittatore, condannato a morte da un tribunale di Tripoli nel 2015 ma la cui pena capitale ad oggi non è ancora stata eseguita.
Jonathan Bearman, esperto britannico di recupero dei patrimoni e consulente in queste indagini dell’Ufficio libico per il recupero e la gestione dei beni (LARMO), ha dichiarato ad Africa Confidential che “tra il 1994 e il 2011, 17,3 miliardi di dollari sono stati investiti segretamente in titoli di debito statunitensi, principalmente del dipartimento del Tesoro, con scadenze diverse e utilizzando prestanome e banche europee. Almeno altri 10 miliardi di dollari sono stati trasferiti in depositi bancari”.
Secondo l’esperto, considerando anche gli interessi delle banche, sarebbero stati 45-50 i miliardi di dollari occultati negli Stati Uniti dagli uomini di Gheddafi, nonostante le sanzioni imposte al governo libico dalla comunità internazionale e, dunque, dagli stessi Stati Uniti.
Il caso al-Mensli
Negli ultimi anni in Libia a coordinare l’azione di recupero dei miliardi di dollari trasferiti negli Stati Uniti da Gheddafi è stato Mohammed al-Mensli, nominato nel 2021 direttore generale del LARMO dal premier del Governo di accordo nazionale (GNA) di Tripoli Abdul Hamid Dbeibah.
Dall’inizio del suo mandato al-Mensli ha riportato a galla un patrimonio di centinaia di miliardi di dollari che il regime di Gheddafi avrebbe usato per acquistare azioni e obbligazioni, immobili, diamanti, oro, jet e yacht tra Africa, Europa e Nord America. Un’azione condotta in tandem con organismi internazionali come le Nazioni Unite e l’Unione Europea, ma anche con il dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti e la National Crime Agency del Regno Unito.
In Africa tra i principali beneficiari di questi trasferimenti di denaro c’è stato il Sudafrica, come confermato a The Epoch Times da agenti dell’intelligence sudafricana e da un ex alto funzionario del governo di Pretoria. Secondo queste fonti sarebbero stati circa 20 i miliardi di dollari fatti arrivare dal regime di Gheddafi in banche del Sudafrica. Di questi, 30 milioni di dollari in contanti sarebbero attualmente nascosti nel piccolo regno di Eswatini.
All’inizio del dicembre scorso al-Mensli ha incontrato a Washington funzionari del dipartimento di stato americano e dei dipartimenti di Giustizia e del Tesoro per informarli dell’intenzione del suo ufficio di presentare una richiesta di risarcimento alle banche statunitensi coinvolte nel caso. Poche settimane dopo per il direttore del LARMO le cose hanno iniziato però a mettersi male.
A fine dicembre i vertici dell’Autorità di controllo amministrativo (ACA) libica con sede a Tripoli, responsabile delle attività di anticorruzione per conto del GNA e diretta da Abdullah Mohamed Qaderbouh, lo hanno infatti accusato di aver ordinato dei recuperi di beni non autorizzati.
Tornato di sua volontà a Tripoli per rispondere a queste accuse, al-Mensli è stato arrestato il 7 gennaio e portato nel carcere di Jdeida, una delle prigioni gestite secondo Amnesty International da Osama al-Masri Njeem, membro di spicco dell’Apparato di deterrenza per il contrasto al terrorismo e alla criminalità organizzata (RADA), arrestato a Torino il 19 gennaio per un mandato spiccato nei suoi confronti dalla Corte dell’Aja per crimini di guerra e contro l’umanità perpetrati nella prigione di Mittiga e scarcerato due giorni dopo per essere rimandato in Libia con un volo di stato.
Al-Mensli è stato trattenuto per più di due mesi nel carcere di Jdeida senza mai essere stato formalmente processato, senza poter vedere un legale né avere accesso a cure mediche, come denunciato settimane dopo l’inizio della sua detenzione da UNSMIL, la missione di supporto delle Nazioni Unite in Libia. Il funzionario è uscito di carcere solo il 27 marzo dopo le pressioni diplomatiche di Gran Bretagna, Marocco e di altri paesi. Mentre a metà aprile, come riportato da Libya Herald, i vertici del suo ufficio sono stati sospesi da ACA.
Il silenzio del GNA
Come segnalato in un’analisi del Middle East Institute, sui mesi di detenzione di al-Mensli ha pesato da una parte il silenzio del governo di Dbeibah, lo stesso che lo aveva nominato nel 2021 a capo del LARMO e, dall’altra, la sostanziale indifferenza di importanti paesi occidentali, Stati Uniti compresi, che pur essendo a conoscenza del suo arresto hanno continuato a incontrare il primo ministro del GNA.
L’immobilismo di Dbeibah in questa vicenda non svela d’altronde nulla di nuovo sugli attuali equilibri di potere a Tripoli, dove a comandare non è di certo il GNA ma le potenti milizie tra cui la RADA di Osama al-Masri.
Resta inoltre da chiarire il perché del breve lasso di tempo intercorso tra l’incontro di al-Mensli a Washington con i funzionari dell’amministrazione americana, a cui ha annunciato l’intenzione di chiedere un risarcimento alle banche statunitensi dove è stata depositata parte del patrimonio accumulato da Gheddafi e la sua improvvisa incriminazione da parte dell’ACA, fino ai mesi trascorsi nel carcere di Jdeida e all’oblio che lo ha risucchiato dopo il rilascio.