
La preziosa foresta primaria del bacino del fiume Congo, secondo polmone verde del pianeta, torna ad essere gravemente minacciata da progetti di estrazione petrolifera.
In evidente contrasto con l’immagine che Kinshasa vuole dare di attore chiave nella protezione ambientale, nel tentativo di trarre il massimo beneficio possibile dal controverso commercio dei crediti di carbonio, lo scorso 2 maggio il governo della Repubblica democratica del Congo ha dato il via libera all’assegnazione di ben 52 nuovi blocchi petroliferi nella Cuvette Centrale, una vasta zona verde con un patrimonio inestimabile di biodiversità.
A denunciare la mossa del governo congolese è una coalizione di 176 ONG, locali e internazionali, denominata Notre Terre Sans Pétrole (NTSP), che chiede l’immediata cessazione di questo processo, l’annullamento dei tre blocchi di estrazione petrolifera e di gas già assegnati e una moratoria completa sull’esplorazione e lo sfruttamento di idrocarburi nella Rd Congo.
La coalizione chiede inoltre ai partner internazionali, ai donatori, alle agenzie multilaterali e alle aziende di non sostenere, finanziare o partecipare a questi progetti distruttivi, che “tradiscono le aspirazioni del popolo congolese a un futuro di pace, giustizia e dignità”.
Politica incoerente
L’appello, riportato dall’emittente delle Nazioni Unite Radio Okapi, evidenzia la “grave incoerenza” del massiccio rilancio dei progetti di esplorazione petrolifera nel cuore del bacino del Congo. Un progetto che “sta mettendo a repentaglio gli ecosistemi forestali più densi e ricchi del paese, rilasciando enormi quantità di carbonio e minacciando la biodiversità”.
“Il coinvolgimento di esperti del ministero dell’Ambiente nelle valutazioni di questi progetti – sostiene NTPS – non può mascherare la realtà: il governo sta cercando di dare risalto a una politica che è fondamentalmente incompatibile con la tutela dell’ambiente, il rispetto dell’accordo di Parigi e gli impegni nazionali e internazionali del paese”.
Il collettivo evidenzia inoltre che l’area interessata dai nuovi blocchi si sovrappone a gran parte del Corridoio verde Kivu-Kinshasa (CVKK), “un ambizioso progetto di ripristino ecologico e sviluppo sostenibile”. Una sovrapposizione che “rischia non solo di compromettere i finanziamenti e le partnership internazionali che accompagnano questo progetto, ma anche di screditare tutte le iniziative che dovrebbero incarnare la visione della Rd Congo come ‘paese soluzione’ (nella lotta alla crisi climatica)”.
Il monito di Moanda
NTPS ricorda che “in tutto il mondo lo sfruttamento del petrolio sta provocando danni ecologici catastrofici e portando a gravi violazioni dei diritti delle comunità locali”.
E cita il caso dell’area di Moanda, alla foce del fiume Congo, dove lo sfruttamento petrolifero del colosso energetico franco-britannico Perenco, in corso da decenni, “dimostra il fallimento clamoroso di questa logica estrattivista”, con “inquinamento cronico del suolo e dell’acqua, danni irreversibili alla biodiversità marina e costiera, crescenti problemi di salute pubblica, tensioni comunitarie, distruzione dell’ambiente e totale assenza di benefici positivi per la popolazione”.
Pericoloso déjà-vu
Sempre nella Cuvette Centrale, il governo congolese aveva già lanciato, nel 2022, un progetto per lo sfruttamento di 27 blocchi petroliferi e 3 blocchi per l’estrazione di gas, ma il bando di gara – anche grazie alla campagna di organizzazioni ambientaliste come Greenpeace – era stato in larga parte disertato dagli operatori del settore che lamentavano costi di fattibilità troppo elevati.
Lo stesso anno le organizzazioni per l’ambiente denunciavano inoltre che l’espansione delle miniere di oro nella provincia di Ituri, nel nord-est del paese, stavano distruggendo tratti di foresta pluviale incontaminata nella riserva naturale di Okapi, patrimonio mondiale dell’UNESCO.
Il territorio congolese include il 60% della foresta tropicale del bacino del Congo, la seconda nel mondo per estensione dopo la foresta amazzonica, un ambiente vitale per il pianeta, già largamente minacciato e che rischia di scomparire entro il 2100.