Sahara Occidentale: il piano marocchino divide l'assemblea ONU
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La battaglia diplomatica sui territori occupati continua con schieramenti contrapposti anche tra gli africani
Sahara Occidentale: il piano marocchino divide l’assemblea ONU
Il recente dibattito alle Nazioni Unite ha evidenziato profonde divisioni tra i paesi, con il Marocco che promuove il suo piano di autonomia e diversi stati che difendono l'autodeterminazione. La persistente "occupazione silenziosa" della regione, con la distruzione di case e la deportazione dei sahrawi per progetti turistici ed energetici, aggiunge un'ulteriore complicazione a questo scenario
13 Giugno 2025
Articolo di Luciano Ardesi
Tempo di lettura 5 minuti

La recente dichiarazione del governo di Londra a favore del piano di autonomia proposto dal Marocco per risolvere la questione del Sahara Occidentale si è riproposta in maniera ancora più acuta nel dibatto che si è svolto il 10 giugno al Comitato speciale sulla decolonizzazione nella sede delle Nazioni Unite a New York.

Una quarantina paesi, tra membri del Comitato e osservatori, e una ventina di intervenuti non statali, tra cui il rappresentante del Polisario presso le Nazioni Unite, si sono pronunciati sul Sahara Occidentale, uno dei 17 territori non autonomi di cui il Comitato Speciale si occupa.

Gli interventi degli attori non statali hanno visto il Marocco, in qualità di osservatore, tentare di interrompere le loro dichiarazioni quando oltre a sostenere l’autodeterminazione del popolo sahrawi hanno messo in causa la monarchia marocchina.

D’altro canto Rabat aveva mobilitato a sua volta una lobby a favore delle sue pretese. Uno scenario che si ripete puntualmente in autunno durante i lavori dell’Assemblea generale dove la sua IV Commissione discute della decolonizzazione.

Schieramenti contrapposti

Nei loro interventi gli stati si sono schierati lungo due linee più o meno nette, che dividono peraltro le diverse regioni del mondo. Così l’Africa ha visto il Senegal e la Costa d’Avorio sostenere con convinzione il piano di autonomia proposto dal Marocco, come pure la Sierra Leone, il Gambia, il Togo, il Benin, le Comore, la Repubblica democratica del Congo, la Guinea Bissau. Decisamente a favore dell’autodeterminazione e del referendum si sono pronunciati il Sudafrica e l’Algeria, che hanno denunciato il tentativo di Rabat di condizionare il dibattito.

L’Etiopia che ospita la sede dell’Unione Africana, di cui la Repubblica Araba Sahrawi Democratica (RASD) è membro, ha fatto un breve intervento in cui si è limitata a riprendere gli elementi delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza che da anni si ripetono, finora senza esito alcuno.

In ogni caso la maggioranza dei paesi africani rimane a favore dell’autodeterminazione del popolo sahrawi. Il Marocco manovra da tempo per l’esclusione della RASD dall’UA, ma mancano i numeri e la volontà politica poiché si aprirebbe una crisi di cui l’istituzione panafricana non ha bisogno.

Più aggressiva la diplomazia di Rabat nelle altre regioni, in particolare l’America Latina dove alla fine dello scorso anno il Panama e l’Ecuador hanno ritirato il loro riconoscimento alla RASD. Al Comitato speciale si sono però ascoltati gli interventi del Venezuela e della Bolivia decisamente a favore dell’autodeterminazione sahrawi.  

Tra i paesi del Medio Oriente l’opzione marocchina ha più fortuna. Esprimendosi a nome dei sei paesi membri del Consiglio di cooperazione del Golfo, il Kuwait ha sostenuto il piano di autonomia del Marocco.

Effetto Trump

Con il ritorno di Trump alla presidenza degli Stati Uniti, la diplomazia di Rabat cerca di dare nuovo vigore alla sua offensiva. Si ricorderà che Trump nel dicembre 2020 aveva riconosciuto la sovranità marocchina sul Sahara Occidentale ottenendo in cambio l’adesione del Marocco agli Accordi di Abramo e al ristabilimento delle relazioni diplomatiche con Israele.

Anche dopo il 7 ottobre, Rabat ha mantenuto con Tel Aviv uno stretto rapporto di cooperazione sul piano economico e militare, malgrado l’opinione pubblica del paese sia decisamente a favore dei palestinesi.

Con l’adesione del Regno Unito al piano di autonomia dopo gli USA e la Francia, sono tre i membri permanenti del Consiglio di sicurezza allineati alle tesi marocchine.

Il Consiglio di sicurezza, che entro la fine di ottobre si dovrà nuovamente occupare del Sahara Occidentale per il rinnovo della missione dei caschi blu della MINURSO in un clima di forte riduzione delle spese, difficilmente potrà cambiare la sua posizione senza provocare una crisi in una regione già attraversata da forti tensioni, basti pensare al Sahel.

Nell’approvare il rapporto annuale sulle sue attività destinato all’Assemblea generale dell’ONU, il Consiglio ha infatti reiterato la necessità di una soluzione politica che permetta l’autodeterminazione del popolo sahrawi. Contemporaneamente si rincorrono le voci, o le speranze, di un cambiamento della posizione di Trump, favorite dall’imprevedibilità diventata ormai leggendaria del presidente americano.

Confische e deportazioni

Nei balletti della diplomazia internazionale, nell’annuncio del riarmo dell’Europa, nel fragore delle guerre dall’Ucraina al Sudan e nel tentativo di genocidio in corso a Gaza e dell’apartheid in Cisgiordania, l’altra occupazione, quella del Sahara Occidentale, passa sotto silenzio.

Il sogno di Trump di fare di Gaza un resort per ricchi, si sta traducendo silenziosamente sulla costa atlantica del Sahara Occidentale sotto occupazione marocchina. Un recente rapporto dell’ONU denuncia la distruzione e l‘incendio di case, la confisca dei terreni e la deportazione della popolazione sahrawi dalla zona lungo la costa atlantica per far posto a progetti turistici e nel campo dell’energia verde.

A questo proposito va ricordato che la Corte dell’UE si è più volte pronunciata per affermare che il Sahara Occidentale e le sue acque non fanno parte del territorio del Marocco.

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