
Difficile dire se sia un senso di speranza o di atterrimento, quello che rimane impresso nell’animo dopo questa lettura. Di certo è un romanzo disturbante, che richiede un po’ di tempo prima di essere digerito. Imponente e, nella sua drammaticità, magnifico, con infinite fessure attraverso cui far scorrere la cruna interpretativa.
Maaza Mengiste, come nel Re Ombra, fa da guida attraverso uno dei più cupi momenti storici che hanno portato all’Etiopia di oggi. E lo fa chiamando a sé tutte le risorse della letteratura. Fantasia, immaginazione, licenze poetiche si fondono alla storia che all’improvviso irrompe nella vita comune di milioni di cittadini etiopi, fagocitandoli in un turbine di violenza.
Sotto lo sguardo del leone racconta degli anni del “Terrore rosso”, seguito al colpo di stato che nel 1974 depose l’imperatore Haile Salassie. Tra il 1976 e il 1978 circa si colloca infatti il periodo di repressione brutale condotto dal regime del Derg, la giunta militare guidata da Menghistu Hailé Mariàm, contro oppositori politici reali o presunti, con migliaia di persone che vennero giustiziate senza processo, dopo essere state rapite, imprigionate, torturate.
Mengiste racconta di quegli anni con una meticolosità di dettagli intimi, fisici, emotivi, sorprendenti. Ma non è solo un romanzo storico. È anche un grande romanzo sul dolore, sulla capacità umana di resistervi con dignità, e sull’amore inossidabile che scorre attraverso i legami familiari. Nell’eterogenea famiglia di Hailu, rispettato medico di Addis Abeba, ogni componente risponde diversamente allo squarcio aperto nelle loro vite dal regime militare.
C’è Yonas, il figlio maggiore, che si rifugia nella preghiera. Dawit, il minore, che diventa un irriducibile oppositore. Sara, moglie di Yonas, che fa della propria rabbia una fonte mordente di coraggio. Hailu, che piange la defunta moglie e si rinchiude nella sua professione finché una paziente atipica lo pone di fronte a una scelta che cambia il corso della sua vita per sempre.
Eppure, accanto alle infinite prove a cui sono sottoposti singolarmente i protagonisti, ognuno messo di fronte in modo differente alla battaglia con il mondo esterno e quindi anche con se stesso, l’autrice affianca anche un’incredibile forza nel mantenere quel nucleo coeso e resistente. Nella brutalità che attraversa le pagine e nell’abbrutimento che comunque contamina i personaggi, l’amore non cede di un passo.
Il legame che li unisce, pur nelle loro distanze, nei silenzi e nelle incomprensioni, è l’unico baluardo a giustificare il prolungarsi di un’esistenza ormai sotto assedio. Una condizione che smaschera la natura umana in tutta la sua criticità e vulnerabilità. E infatti, è una storia senza eroi. Per quanto alcune figure vi si avvicinino, come quella di Dawit, non c’è in realtà nessun assolto. Ogni figura, compresa quella dell’imperatore spodestato, è intrinsecamente vera proprio nel suo essere contraddittoria e sfaccettata.
Come tutti i grandi romanzi che trattano di un momento storico segnato dalla violenza, Sotto lo sguardo del leone è disturbante perché apre uno scenario sulle conseguenze totalizzanti di un certo tipo di potere e ricorda quanto l’esistenza sia connessa in modo intrinseco alla Storia, talvolta momentaneamente accantonata, che incombe sulla testa di ognuno come una spada di Damocle, pronta a spazzare via tutto.
«Non possiamo costruire un paese pieno di persone come Yonas». «O pieno di persone come te. Un governo di combattenti non saprà guidare il paese, solo fare altre guerre. Tu pensi che la misura del coraggio sia la resistenza». p. 244