Che sta succedendo tra il Sud Sudan e l’Uganda? Negli ultimi mesi si rincorrono notizie allarmanti, da diversi punti di vista.
Secondo numerose e autorevoli testimonianze, l’esercito ugandese (UPDF) sta occupando territorio sudsudanese mentre il governo di Juba non reagisce, neppure con un comunicato.
Le comunità sudsudanesi sul confine tra i due paesi, sconvolte dall’intrusione violenta dei vicini, sono lasciate sole ad affrontare la distruzione dei villaggi e la perdita del terreno agricolo, alla base della loro economia e della loro stessa sopravvivenza, e non di rado a piangere la morte di chi ha cercato di opporsi al sopruso.
Quella più presa di mira sembra essere la contea di Magwi, nello stato dell’Equatoria Orientale, una zona agricola di una certa importanza per la sicurezza alimentare del paese, per di più distante meno di un centinaio di chilometri da Juba, la capitale sudsudanese.
Le notizie più preoccupanti arrivano ultimamente dal distretto di Pongee, abitato in prevalenza dal gruppo etnico acholi (circa 2,5 milioni di persone stanziate nella gran maggioranza in Uganda; solo circa 45mila si trovano in Sud Sudan, nelle zone limitrofe al confine).
Le autorità locali hanno denunciato più volte la crescente occupazione della loro terra e le minacce alla popolazione da parte dell’esercito ugandese.
A Radio Tamazuj – un’autorevole emittente sudsudanese indipendente che quotidianamente pubblica anche online – lo ha detto Jemila Augustine Aya, amministratrice della zona, che ha elencato diversi episodi avvenuti nelle ultime settimane e ha aggiunto che “gli invasori ugandesi stanno aumentando di giorno in giorno”.
Secondo gli amministratori locali, la popolazione viene scacciata dai villaggi con la forza mentre l’esercito ugandese installa nelle vicinanze accampamenti militari. È accaduto, ad esempio, nelle zone di Katoko, Gotlela, Arambeel, Adodi e Paragadwanya dove ora si trovano almeno otto accampamenti dell’esercito ugandese.
La tensione nella zona è altissima anche perché i soldati di Kampala pattugliano quotidianamente il territorio, evidentemente per rendere visibile il loro controllo.
La presenza di uomini dell’esercito ugandese è stata segnalata anche nella contea di Raja, nello stato del Bahar el Gazal Occidentale, ben lontano dal confine ugandese.
La notizia è stata confermata a Radio Tamazuj da Stephen Robo Musa, coordinatore locale di CEPO (Community Empowerment for Progress Organization), con ogni probabilità la più importante organizzazione della società civile sudsudanese.
L’attivista aveva visto con i suoi occhi uomini dell’esercito ugandese sulla pista di atterraggio nelle vicinanze della città di Raja, dove pare che in questo periodo aerei militari di Kampala atterrino quotidianamente.
Contingenti sono segnalati anche a Boro Medina, una località in direzione del confine con la Repubblica Centrafricana.
Il rappresentante locale di CEPO si chiedeva cosa ci facessero truppe ugandesi in territorio sudsudanese senza che i cittadini, anche quelli più attivi e informati, ne sapessero qualcosa.
Il silenzio di Juba
Di fronte a notizie decisamente sorprendenti, se non preoccupanti, il governo di Juba non ha rilasciato dichiarazioni. Il ministro dell’informazione, Michael Makuei Lueth, non si è fatto trovare dai giornalisti di Radio Tamazuj.
Il portavoce dell’esercito, generale maggiore Lul Ruai Koang, ha detto inizialmente di non saperne niente e poi che la situazione dovrebbe essere gestita politicamente e diplomaticamente. Parole da decodificare, soprattutto se dette da un generale dell’esercito nazionale.
Non mancano però le ipotesi per questa sconcertante situazione. Diversi osservatori hanno interpretato la mancanza di reazioni e commenti ufficiali come il segno di gravi problemi interni.
È di questo parere, ad esempio, Abraham Kuol Nyuonio, dell’università di Juba, che ha dichiarato: «Il governo probabilmente teme che uno scontro potrebbe incoraggiare l’Uganda a sostenere gruppi di opposizione, potenzialmente destabilizzando il regime al potere».
Nella regione dell’Equatoria agisce il NAS (National Salvation Front, comandato da Thomas Cirillo, ex capo di stato maggiore per la logistica dell’esercito sudsudanese), il maggiore tra i movimenti di opposizione armata che non hanno mai firmato nessun accordo di pace con il governo del Sud Sudan.
L’accademico ricorda anche i legami storici vitali tra Juba e Kampala: «Il silenzio su questa questione potrebbe essere considerato come una decisione tattica, per salvaguardare le relazioni commerciali vitali per il paese (dall’Uganda vengono importati la maggior parte delle derrate alimentari e dei beni di prima necessità, ndr) e per evitare di provocare l’Uganda che, storicamente, è stata coinvolta negli affari sudsudanesi».
L’ultima volta è stato per sostenere il governo di Juba allo scoppio della guerra civile, nel dicembre del 2013. L’esercito sudsudanese, formato in buona parte da nuer, si era schierato in maggioranza con Riek Machar, autorevole leader nuer, ora vicepresidente del governo nazionale di transizione ed allora capo dell’opposizione.
Solo l’intervento massiccio delle forze armate ugandesi aveva impedito che le forze rimaste fedeli al presidente Salva Kiir venissero sopraffatte.
Patto occulto?
Alcuni attivisti sudsudanesi, sentiti da Nigrizia, connettono la situazione attuale proprio all’intervento ugandese in soccorso del governo di Juba durante la guerra civile. Si chiedono se, in quel momento, non sia stato fatto un patto che per forza di cose non può venire svelato pubblicamente: supporto militare in cambio di territorio.
Il dubbio sembra suffragato dalle parole di un parlamentare dell’assemblea nazionale sudsudanese, Bol Joseph Agau, rappresentante dello stato dei Laghi.
Durante una tesissima seduta dell’organismo, all’inizio di settembre, ha dichiarato che l’esercito ugandese ha ormai preso il controllo di 200 villaggi nella contea di Kajo Keji, nello stato dell’Equatoria Centrale, in quella di Magwi e in altre zone del paese, come si è detto all’inizio dell’articolo.
Il parlamentare ha esplicitamente accusato della situazione “circoli” delle forze di sicurezza del presidente Kiir: “L’UPDF sta operando … grazie alla connivenza con l’apparato di sicurezza, cioè ‘cartelli’ nell’ufficio del presidente”.
Neanche questa gravissima accusa ha finora avuto una risposta ufficiale.
Se un’ipotesi di accordo sulla cessione di alcuni territori può essere plausibile per le zone di confine, certamente non può essere applicata a Raja.
A caccia di Kony?
Una delle persone sentite da Nigrizia ha supposto per Raja l’organizzazione di un’operazione militare contro quel che rimane dell’LRA (Lord Resistance Army), il movimento armato che ha devastato il nord dell’Uganda e parte della regione sudsudanese dell’Equatoria per una ventina d’anni (dal 1987, anno di fondazione, ai primi anni del 2000) per poi rifugiarsi proprio sul confine tra il Sud Sudan, la Repubblica Centrafricana (RCA) e il Sudan, precisamente la regione del Darfur, ora particolarmente devastata dalla guerra civile sudanese.
Il fondatore, Joseph Kony, tra i maggiori ricercati dalla Corte penale internazionale, è sempre riuscito a sfuggire alla cattura e si nasconderebbe nell’enclave di Kafia Kingi, territorio conteso tra i tre paesi e dunque di fatto non controllato da nessuno.
L’LRA opererebbe ancora in zone ristrette della RCA orientale e si alimenterebbe del traffico illegale d’oro e di avorio. Secondo un articolo pubblicato in aprile dalla rivista americana Rolling Stone, sarebbe braccato anche dai russi della ex Wagner, che nella RCA ha una delle sue prime e più solide basi in Africa.