
Papa Francesco ci ha lasciato da qualche giorno. E già ne sentiamo tutta la mancanza. La sua presenza mite, ma anche incisiva con la sua denuncia e il suo insegnamento riguardo la fraternità e la necessità di una conversione umana e sociale.
Nel suo ultimo messaggio Urbi et Orbi, il pontefice ha ricordato il Sud Sudan insieme a tante realtà del mondo che sono vittime di guerre. «La pace non è possibile senza il disarmo», ha affermato. È un’illusione credere che il riarmo possa portare più sicurezza. Prima o dopo le armi si usano.
Come si è visto in Sud Sudan e in Africa, dove si sono riversati gli arsenali al termine della guerra fredda e si spara ancora con il kalashnikov, meglio conosciuto come AK-47. Le armi sono una maledizione: se solo in parte per i potenti che le producono, una maledizione totale per quella parte di mondo che viene controllata e dominata machiavellicamente attraverso questo mercato immorale.
La storia del Sud Sudan ben lo dimostra. Due anni dopo l’indipendenza raggiunta nel 2011 dal Sudan è scoppiata una guerra civile che in otto anni ha provocato centinaia di migliaia di vittime e milioni fra persone sfollate interne e rifugiate.
L’instabilità continua a segnare il paese e le tensioni fra il presidente Salva Kiir e il vicepresidente Riek Machar, i protagonisti del conflitto civile, minacciano anche in questi mesi di degenerare in un nuovo scontro aperto.
Francesco aveva visitato il Sud Sudan a febbraio 2023 in quello che lui ha voluto chiamare pellegrinaggio di pace. Un pellegrinaggio per di più ecumenico perché ha coinvolto anche il capo della Chiesa anglicana, l’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, e il moderatore generale della Chiesa presbiteriana di Scozia, il rev.mo Iain Greenshields.
Ai leader politici aveva ricordato che c’è futuro solo quando si sa fare pace. È invece disonesto governare a suon di conflitti. I giovani del Sud Sudan hanno il diritto di poter avere tra le loro mani carta e penna, piuttosto che un fucile. Scarseggiano cibo e beni di prima necessità, ma le armi seppur sotto embargo non mancano. Arrivano ovunque. Le sue parole hanno richiamato i governanti alla responsabilità. Allo stesso tempo hanno infuso speranza nella popolazione perché non accetti supinamente la realtà così com’è, ma si impegni per la riconciliazione, il dialogo e la pace.
La scelta di una novantina di giovani di mettersi in cammino nove giorni da Rumbek a Juba è stato un segno di speranza. In un paese in cui troppi giovani sono stati strappati dalle loro famiglie e dai banchi di scuola per essere reclutati a fare la guerra in nome di un gruppo e milizia, questi giovani hanno invece marciato per la pace, incontrando le comunità del territorio, parlato del papa e del suo messaggio di riconciliazione e comunione vissuta nella fraternità.
E questa iniziativa continua negli anni con nuovi giovani che si sono aggiunti al gruppo. Ci sono state infatti tre edizioni del pellegrinaggio per ricordare la visita del papa. I giovani diventano evangelizzatori della propria gente, e, come ha detto il papa, sono semi di speranza.
Il valore dei piccoli
C’è un’immagine della visita del papa a Juba che mi rimane impressa. Un bambino si sporge dalla cancellata per offrire a papa Francesco una banconota da 100 sterline sudanesi. E il papa le riceve con riconoscenza. Questa moneta è il simbolo dell’oppressione di questo popolo attraverso la corruzione e l’inefficienza amministrativa.
All’indipendenza 14 anni fa questa banconota valeva 25 Euro. A oggi vale 2 centesimi. A tale gesto un adulto avrebbe riso. Ma il papa lo ha accolto per il valore che ha. “Il povero è stato venduto per due sandali” (Amos 2,6). La dignità delle persone è calpestata, specie quando non ha potere economico. Ma il papa con quel gesto di accoglienza ci ha insegnato che il valore dei piccoli ha un potere grande nel cammino verso la pace.
Non saranno i trattati a fare la pace. Ma tanti piccoli che offrono il loro contributo, i loro sforzi, la loro vita per la pace. Allora il mondo avrà futuro.
Nella nostalgia che non cede allo sconforto, caro papa Francesco, cammineremo lungo la strada che hai aperto.