Sud Sudan: la pace è un miraggio, la guerra civile incombe
Conflitti e Terrorismo Politica e Società Sud Sudan
Il fragile accordo del 2018 vacilla, mentre scontri etnici e politici minacciano di far precipitare il paese nel caos
Sud Sudan: la pace è un miraggio, la guerra civile incombe
Il paese si trova nuovamente sull'orlo del baratro. L'accordo di pace, già precario, è messo a dura prova da una serie di eventi che rischiano di riaccendere il conflitto. Tensioni etniche, scontri armati e il coinvolgimento di attori regionali esasperano una situazione già di per sé esplosiva
24 Marzo 2025
Articolo di Bruna Sironi (da Nairobi)
Tempo di lettura 5 minuti
Miliziani dell'SPLA-IO

Dalla metà di febbraio il fragile accordo di pace che ha messo ufficialmente fine alla guerra civile (dicembre 2013 – agosto 2018) in Sud Sudan sta attraversando probabilmente la crisi più grave dal giorno della sua firma.

Ogni giorno le notizie si rincorrono e si fanno più preoccupanti, in una spirale che potrebbe sfociare in una nuova guerra civile. È il timore che esprimono in questi giorni diversi osservatori. South Sudan on the Precipice of Renewed Full-blown War (Il Sud Sudan sul precipizio di una nuova guerra totale), è il titolo di un allarme lanciato dal Crisis Group, autorevole centro studi con sede a Bruxelles che si propone di prevenire i conflitti e influenzare politiche che possano rafforzare una pacifica convivenza.

È lo stesso timore espresso in una recentissima riunione a Juba dal generale Yitayal Gelaw Bitew, coordinatore del comitato di monitoraggio del cessate il fuoco, uno dei gruppi incaricati di vigilare sulla sicurezza voluti dell’accordo di pace del 2018.

È l’opinione espressa dagli stessi sudsudanesi. South Sudan Peace Deal is Collapsing (L’accordo di pace del Sud Sudan sta collassando), afferma Jok Madut Jok, noto analista politico, sottosegretario alla Cultura nel primo governo sudsudanese, tra i fondatori del Suud Institute, autorevole centro studi con sede a Juba, ora docente in un’università americana.

In un’intervista rilasciata a Radio Tamazuj, percorrendo i fatti dei giorni scorsi in seguito agli scontri di Nasir – l’arresto di diversi esponenti dell’SPLM-IO, il partito del primo vicepresidente Riek Machar, e la sostituzione unilaterale del governatore dell’Upper Nile che l’accordo di pace assegna all’SPLM-IO -, afferma che ora l’opposizione si trova davanti ad una scelta critica: accettare l’attuale realtà politica o ritornare al conflitto armato.

“L’SPLM-IO deve decidere se ingoiare il proprio orgoglio o ritornare alla macchia per combattere. Questa è una decisione che va a detrimento del paese”.

Intanto Machar ha deciso di sospendere la partecipazione a tutti i livelli di monitorggio delle questioni di sicurezza del paese almeno fino a quando tutti i suoi membri arrestati non saranno liberati.

La gravità della situazione è segnalata anche misure di sicurezza prese da alcune ambasciate. Quella americana ha fatto partire da Juba il personale diplomatico. Quella tedesca è stata temporaneamente chiusa.   

Nasir, epicentro delle tensioni

L’epicentro della crisi è lo stato dell’Upper Nile e precisamente la zona di Nasir, abitata da diversi clan nuer, il gruppo etnico del vicepresidente Riek Machar, il maggior antagonista del presidente Salva Kiir, che è invece dinka, l’etnia maggioritaria in Sud Sudan.

Nasir è stata una roccaforte di Machar durante la guerra di liberazione, in un periodo di conflitto interno al movimento di liberazione, l’SPLM. Lo stesso movemento, ora frammentato in diversi gruppi contrapposti, e non raramente combattenti, è ancora al centro della politica, e dell’instabilità, del paese.

Per questo Nasir è una località simbolica, considerata una roccaforte di Machar, ora vicepresidente e capo dell’opposizione nel governo di transizione concordato nell’accordo di pace del 2018.

(Credit: VOA)

La miccia del “White Army”

I giovani nuer della zona sono raggruppati in una milizia etnica, conosciuta come White Army, di solito frammentata, in genere a guardia del bestiame dei diversi clan, ma che in diverse occasioni si è compattata e mobilitata per difendere gli interessi nuer.

La più importante mobilitazione generale è stata probabilmente durante le fasi iniziali della guerra civile iniziata nel dicembre del 2013, quando il White Army scese in campo a difesa del vicepresidente Riek Machar e dei nuer in generale, che a Juba erano oggetto di massacri indiscriminati.

Episodi ampiamente documentati sia da organizzazioni per la difesa dei diritti umani che da un’inchiesta dell’Unione Africana. Per questo ora la milizia è percepita come legata al vicepresidente Machar, che nega di poterla direzionare, e la sua attuale mobilitazione su larga scala è considerata come un pericolo per l’intero paese.

Nasir è sempre stata una zona decisamente instabile. Numerosi sono stati i momenti critici anche dopo la fine della guerra di liberazione e dopo l’indipendenza. Ma solitamente si sono risolti a livello locale.

I problemi attuali sono assurti a questione nazionale quando il White Army è riuscito a prendere il controllo della cittadina di Nasir, umiliando con l’assedio l’esercito nazionale e abbattendo un velivolo delle Nazioni Unite incaricato della sua evacuazione.

Allora il governo ha deciso di dare un giro di vite all’opposizione, in violazione dei patti sulla spartizione del potere durante il periodo di transizione concordati nell’accordo di pace.

Negli ultimi giorni la zona degli scontri si è estesa. Sono stati segnalati scontri, con vittime tra i civili, anche in altre zone non lontane da Nasir. Di particolare gravità i recenti bombardamenti nella contea confinante di Ulang.

Interferenze e rischi regionali

Alla situazione, già così difficile, si aggiungono problemi dovuti alla crisi sudanese, paese a sua volta dilaniato dalla guerra civile.

Sarebbe infatti accertato che miliziani delle Forze di supporto rapido (RSF), una delle parti in conflitto in Sudan, siano entrati in territorio sudsudanese e si siano scontrati con un gruppo armato di giovani, probabilmente aderenti al White Army, che si dirigevano verso il confine sudanese, probabilmente per ricevere armi e munizioni di cui scarseggiavano dopo un paio di settimane di combattimenti.

Il fatto non stupisce più di tanto. Nella regione i confini sono sempre stati porosi e il gioco delle alleanze incrociate tra gruppi in conflitto è sempre stato, purtroppo, molto frequente.

Qui si vedrebbe un avvicinamento tra le RSF e il governo di Juba che potrebbe favorire una collaborazione tra l’opposizione di Machar e il governo sudanese di Port Sudan, con la conseguenza di acutizzare i conflitti già preoccupanti nei due paesi.

Se si aggiunge il dispiegamento dell’esercito ugandese a sostegno di Salva Kiir, ormai reso pubblico da entrambi i paesi, si comprende quanto la situazione sia delicata e rischi di coinvolgere in una crisi inestricabile l’intera regione.

Copyright © Nigrizia - Per la riproduzione integrale o parziale di questo articolo contattare previamente la redazione: redazione@nigrizia.it