
Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump punisce il Sudafrica e tenta di riallinearlo agli interessi Usa e per farlo si inventa un’accusa che piace alla sua base suprematista bianca. Col rischio, per adesso abbastanza remoto, di riaccendere tensioni in un paese che sta ancora facendo i conti con la complessa eredità di mezzo secolo di apartheid.
Si può leggere così la recente decisione di Washington di congelare gli aiuti economici indirizzati al Sudafrica come ritorsione verso una serie di presunti comportamenti ostili da parte del paese africano, fra i quali l’approvazione di una legge sull’esproprio delle terre da parte dello stato, firmata dal presidente Cyril Ramaphosa a fine gennaio.
Per Washington la misura vuole colpire nello specifico i proprietari terrieri bianchi ed è per tanto discriminatoria oltre che «ingiusta e immorale» al punto da «danneggiare» gli USA come nazione. Questo insieme all’avvicinamento di Pretoria a paesi rivali degli Usa. Nel dettaglio della misura di Washington si entrerà fra poco.
Un contesto di disuguaglianze
La legge che non piace all’amministrazione Trump corregge una precedente norma risalente al 1975 ed è stata per anni al centro del dibattito politico del Sudafrica. L’ineguale distribuzione delle terre a favore della minoranza bianca e la segregazione delle persone nere in aree strutturalmente svantaggiate sono stati elementi cardine del regime di apartheid, conclusosi nel 1994. La confisca della terra era cominciata ovviamente già prima, con l’arrivo dei primi coloni olandesi nel 17esimo secolo.
Il paese ha faticato a lungo per riequilibrare la disparità della segregazione. Lo mostrano i dati più recenti, quelli contenuti in audit del governo datato 2017: a quasi oltre 25 anni dalla fine dell’apartheid, avvenuta nel 1994, le persone bianche possedevano il 72% delle terre agricole pur rappresentando circa l’8% della popolazione. Le persone nere, che costituiscono l’81% della popolazione, solo il 4%.
I dati appena citati non sono neanche considerati nelle comunicazioni con cui il governo USA ha annunciato il suo provvedimento contro Pretoria, contenuto in un ordine esecutivo. Per Washington la misura del governo sudafricano è mossa da uno «scioccante disprezzo» dei diritti dei cittadini del paese africano da parte del loro governo. La legge di Pretoria consentirebbe all’esecutivo di «sequestrare le proprietà agricole della minoranza etnica afrikaneer (gli eredi dei primi coloni dai Paesi Bassi e dal nord della Germania, ndr) senza indennizzo».
Oltre a questo, «il Sudafrica ha assunto posizioni aggressive nei confronti degli Stati Uniti e dei suoi alleati, tra cui l’accusa di genocidio a Israele, non a Hamas, presso la Corte internazionale di giustizia, e il rilancio delle sue relazioni con l’Iran per sviluppare accordi commerciali, militari e nucleari». Per tanto, fino a che il Sudafrica proseguirà con queste misure, «gli Stati Uniti non forniranno aiuti o assistenza» al paese. Quest’ultimo provvedimento arriva in contemporanea a una più ampia – e altrettanto controversa — sospensione di buona parte degli aiuti esteri allo sviluppo degli Stati Uniti voluta dall’amministrazione Trump per allineare i programmi alle nuove priorità della politica Usa.
Le conseguenze della misura
L’impatto in Sudafrica potrebbe non essere da poco. Nel 2023, il paese ha ricevuto dagli USA aiuti per circa 440 milioni di dollari, la cui stragrande maggioranza sono andati al settore della sanità e in modo particolare al Piano d’emergenza del presidente sugli aiuti per l’Aids (PEPFAR), il più grande programma internazionale per il contrasto e la prevenzione dell’HIV/AIDS. Secondo la stampa sudafricana, il paese è il primo beneficiario dell’iniziativa. In Sudafrica del resto vivono oltre sette milioni di persone sieropositive o affette dalla sindrome e si registra uno dei più alti tassi di incidenza della malattia al mondo. Secondo quanto riportato al Parlamento dal ministro della salute Aaron Motsoaledi, a rischio ci sono anche 15mila posti di lavoro.
In realtà il PEPFAR sarebbe fra i programmi esentati dalla sospensione agli aiuti imposta nelle ultime settimane dall’amministrazione Trump, anche nel caso di quella “speciale” per il Sudafrica. La deroga si applica però solo a un numero limitato delle iniziative rese possibile dai finanziamenti USA e non sembra essere stata ancora comunicata in via ufficiale a buona parte degli operatori sul campo in Sudafrica, che continuano a non poter operare.
Oltre a congelare gli aiuti, nell’ordine esecutivo firmato da Trump si rende noto che Washington è pronta a «promuovere il reinsediamento dei rifugiati afrikaneer in fuga dalla discriminazione razziale sponsorizzata dal governo sudafricano, inclusa la confisca di proprietà discriminatoria per motivi razziali».
Il passaggio relativo alla concessione dell’asilo ai cittadini di origine afrikaneer è sembrato esagerato persino alla galassia delle organizzazioni di rappresentanza di questa minoranza. Tutte, dalla rete Solidarity, di cui fa parte la controversa organizzazione AfriFroum, fino addirittura a rappresentanti di Orania, enclave abitata da soli afrikaneer che si trova nel centro del paese, hanno infatti rifiutato l’invito di Trump, anche affermando di «amare» il Sudafrica nonostante i problemi che vi riscontrano nel viverci.
Il contenuto della legge
Ma nello specifico, cosa stabilisce la legge contestata dagli USA? La misura, in realtà, riallinea la politica degli espropri ai contenuti della Costituzione del 1997. La nuova norma è stata presentata per la prima volta nel 2008. La versione siglata da Ramaphosa è invece del 2020.
La legge definisce i criteri e le modalità per la confisca della terra, inserendo in breve due novità. Una è che lo stato può eseguire l’esproprio non più solo sulla base di uno «scopo pubblico», ma anche di un «pubblico interesse». Questo significa che le autorità sudafricane potranno riprendere il controllo della terra anche nel caso in cui questa potesse tornare utile a qualcuno (un ente, un gruppo di persone) che non è direttamente lo stato. La casistica in cui un terreno può essere espropriato è comunque molto limitata, la legge non è pertanto applicabile a tutti i contesti.
Oltre a questo, la normativa introduce una nuova modalità di calcolo delle compensazioni per l’esproprio, che prima erano basate su un principio per cui queste dovevano essere praticamente pari al valore di mercato del terreno in questione più un risarcimento per la perdita. Adesso invece, ai proprietari della terra espropriata verrà garantito un contraltare economico «giusto ed equo», valutato di volta in volta a partire da una serie di parametri, come l’utilizzo fatto e gli investimenti compiuti sulla terra in questione. Questa nuova procedura prevede che si possa arrivare a un esproprio senza compensazione in alcune circostanze. Questo uno dei passaggi più contestati della legge.
La norma presenta in effetti dei margini di possibile arbitrarietà e di incertezza ed è stata contestata anche da partiti della maggioranza di unità nazionale, come le Democratic Alliance (DA), che hanno depositato delle contestazioni alla legge presso l’Alta corte denunciandone la presunta incostituzionalità.
Ciò nonostante, nessun partito fra quelli più rilevanti ha espresso un qualche tipo di sostegno al provvedimento dell’amministrazione USA, anzi. Il ministro dell’agricoltura e leader della DA, John Steenhuisen, ha messo nero su bianco il suo supporto a un’iniziativa annunciata dal governo per contrastare la mossa di Trump. Stando a quanto comunicato dal presidente Ramaphosa infatti, nei prossimi giorni il governo lancerà una missione diplomatica con il compito di affrontare la campagna di disinformazione scagliata contro il Sudafrica. Gli inviati di Pretoria, che quest’anno occupa anche la presidenza di turno del G20, dovrebbero recarsi anche a Washington.
L’onda d’urto del provvedimento USA – amplificata dalle dichiarazioni del magnate ed esponente del governo USA Elon Musk, che nel Sudafrica dell’apartheid e nato e vissuto fino ai 17 anni – sta comunque facendo tremare alcune faglie di divisione della società sudafricana. Nel centro degli strali di molti c’è AfriForum, già citata organizzazione non governativa impegnata nella tutela dei diritti della minoranza afrikaneer. Questa ong denuncia da anni le presunte ondate di omicidi ai danni dei coltivatori bianchi oltre a battersi contro le riforme della terra chieste da una parte della politica e della società civile sudafricana per riequilibrare le disuguaglianze dell’apartheid, come l’ultima normativa approvata dal governo. Nel 2018 una delegazione di AfriForum si era anche recata negli USA, per parlare della vicenda con alcuni media di destra e guadagnandosi già all’epoca parole di sostegno della prima amministrazione Trump.
Dirigenti dell’ANC hanno criticato l’organizzazione afrikaneer dopo l’ordine esecutivo voluto da Trump. Oltre è andato invece l’Umkhonto we Sizwe (MK), partito su posizioni populiste di sinistra guidato dall’ex presidente Jacob Zuma. Sostenitori di questa formazione, nata solo nel 2023, si sono recati a decine in un commissariato di polizia di Città del Capo per denunciare AfriForum per tradimento. La misura imposta dagli USA sarebbe infatti una diretta conseguenza della disinformazione promossa dalla ong, che starebbe quindi cospirando contro lo stato.
Lo scenario globale
Guardare troppo all’interno dei confini del Sudafrica rischia però di non far comprendere bene qual è la posta in gioco del provvedimento di Trump, sia per quanto riguarda le sue ragioni che per quanto concerne le sue conseguenze. Fra le motivazioni dell’ordine esecutivo sono citate la denuncia per genocidio contro Israele presentata dal Sudafrica alla Corte internazionale di giustizia nel gennaio 2024 nonchè un non ben specificato sostegno all’Iran. Il governo sudafricano è in buoni rapporti con Hamas, che è alleato di Teheran. Il paese degli ayatollah l’anno scorso è anche entrato a far parte dei BRICS, di cui Pretoria fa parte fin dalla fondazione, mentre nel 2023 i due paesi hanno firmato degli accordi di cooperazione economica e per la costruzione di alcune raffinerie in Sudafrica.
Piccolezze queste, rispetto alle esercitazioni militari congiunte che il Sudafrica ha svolto con Russia e Cina nel febbraio 2023 e alla mancata condanna dell’invasione russa dell’Ucraina. Il Sudafrica dell’ANC ha sempre intrattenuto un delicato gioco di equilibri fra potenze occidentali, Russia e Cina ma negli ultimi anni Washington ha iniziato a manifestare un fastidio sempre più netto per questa postura ambigua. Dopo la denuncia contro Israele infine, il Congresso degli Stati Uniti ha iniziato a discutere una legge per la totale revisione dei rapporti col Sudafrica, accusato di «di schierarsi con attori maligni» come appunto Hamas.
In gioco c’è soprattutto l’eleggibilità di Pretoria per le agevolazioni tariffarie alle esportazioni verso gli USA previste dall’AGOA, che scadrà entro la fine di quest’anno e che vale in tutto fino a 20 miliardi di dollari. A unire i punti ci prova Rocco Ronza, docente presso l’università Cattolica e Aseri ed esperto di Sudafrica. «Il provvedimento voluto da Trump potrebbe aver preso di sorpresa l’ANC, che probabilmente non si aspettava una reazione del genere da parte di Washington», afferma il professore.
«La riforma della terra è sempre stata usata dal partito come uno strumento per dialogare con le forze politiche alla sua sinistra, ma nei fatti si è sempre mostrato molto cauto sulla questione», aggiunge l’esperto, che poi spiega: «Il punto è che gli USA stanno dando un segnale forte, di fatto non dissimile da quello mandato a Panama o Canada: Washington vuole far capire che la storia del declino americano non regge al confronto con la realtà e che il paese dispone ancora dei mezzi necessari per continuare a imporsi rispetto alla Cina». Si tratta, prosegue Ronza, «di mezzi di persuasione economica e non più militari, ma sembrano mostrarsi efficaci, se è vero che Panama ha deciso alla fine di uscire dai piani della Via della seta di Pechino».