Sudafrica: reportage da Addo, dove la xenofobia contro i migranti fa paura
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Tre persone straniere sono state uccise dopo l'omicidio di un abitante
Sudafrica: reportage da Addo, dove la xenofobia contro i migranti fa paura
Nel 2024 in migliaia sono stati costretti ad abbandonare le loro case a causa della violenza razzista
30 Maggio 2025
Articolo di Joseph Chirume, da Addo, Sudafrica
Tempo di lettura 7 minuti
Migranti rimaste senza casa fuori dal commissariato di Addo. Credigi: Joseph Chirume

Richmond Goshanu è un lavoratore stagionale migrante, originario dello Zimbabwe. È giunto in Sudafrica per la raccolta dell’uva e dei limoni, come fa da tempo.

La stagione di quest’anno è stata brutalmente interrotta nei giorni scorsi, ad Addo, nella provincia meridionale del Capo orientale, quando è stato picchiato durante un attacco xenofobo innescato da un omicidio che ha provocato la morte di tre persone. Più di 30 quelle ricoverate in ospedale invece, mentre 600 cittadini stranieri hanno dovuto lasciare le loro abitazioni a causa delle violenze.

Goshanu parla con Nigrizia da un rifugio di Gqeberha (ex Port Elizabeth), capoluogo del Capo orientale situato a una 40ina di chilometri da dove sono avvenuti i fatti. L’uomo è stato accolto nella struttura dopo essere stato dimesso dall’ospedale in settimana. Nella safe house ci sono altre centinaia di migranti fuggiti dal raid xenofobo, che è avvenuto domenica 25 maggio.

«Via da qui, la vita è più importante»

Goshanu è uno delle migliaia di lavoratori stagionali che ogni anno fa la spola fra le province del Capo occidentale e di quello orientale per lavorare nei campi. «Mi muovo così da anni – racconta – nei mesi estivi (invernali in Europa, ndr) si raccoglie l’uva nel Capo occidentale mentre in inverno si va ad Addo, per le arance e i limoni».

Il lavoratore ascoltato da Nigrizia non ha molto di buono da dire su Addo, dove stava aspettando la paga per le prime due settimane di lavoro prima che una violenza cieca irrompesse nella sua vita. La cittadina, circa 17mila abitanti, ora può essere associata solamente all’ennesimo caso di violenza xenofoba avvenuto in Sudafrica.

I pestaggi di massa da cui Goshanu e tanti altri sono fuggiti per miracolo sono cominciati dopo l’omicidio un ragazzo sudafricano di 22 anni nella vicina località agricola di Valencia. L’uccisione è avvenuta in un locale, durante una discussione con un lavoratore migrante.

Dopo, è cominciato l’inferno. «Un gruppo di persone mi ha pestato senza che avessi fatto nulla, hanno usato delle spranghe di ferro e delle vanghe, a turno mi hanno colpito con delle pietre – ricorda Goshanu –. Mi hanno lasciato solo dopo che ho perso conoscenza, probabilmente convinti che fossi morto, per lanciarsi contro un altro migrante. Mai avevo vista tanta violenza in vita mia».

Un trauma dalle conseguenze enormi. «Tutte le mie speranze di poter stare qui sono state distrutte – denuncia Goshanu  -. Per quale motivo – si chiede poi il lavoratore stagionale – un incidente fra due persone in un pub ha dovuto stravolgere la vita di tutti i migranti della città?».

La vittima dell’attacco chiude con parole amare: «Me ne sto andando da qui e non tornerò mai più, non passo neanche a riprendere le cose dalla mia stanza. Quello che mi serve lo ricomprerò, la vita è più importante».

Ancora nessun arresto 

Ancora ieri 29 maggio il portavoce della polizia locale Majola Nkohli avvertiva che la «situazione ad Addo resta tesa. Le forze dell’ordine continuano a vigilare l’area. Al momento non sono stati ancora effettuati arrestati ma gli inquirenti stanno lavorando senza sosta per far avanzare le indagini».

Il Consortium for Refugees and Migrants in South Africa (CoRMSA), un ombrello di organizzazioni che rappresentano i migranti in Sudafrica attiva da circa 25 anni, ha «condannato» l’omicidio di quattro persone che è avvenuto ad Addo.

«Bisogna mettere fine al conflitto in corso fra cittadini sudafricani e stranieri – ha dichiarato il CoRMSA -. Il paese sta vivendo un aumento preoccupante di attacchi xenofobi». La reta di organizzazioni rilancia i dati dello Human Rights Watch World Report 2025, secondo cui «l’anno scorso si sono verificati 59 casi documentati di atti di discriminazioni xenofobe, che hanno portato allo sfollamento di 2.946 persone. Cifre queste, che ci fanno capire l’enormità delle sfide che gli stranieri devono ancora affrontare in Sudafrica».

Da qui, l’appello di CoRMSA a non aggredire le persone migranti e a scegliere piuttosto la via del dialogo: «La nostra missione – afferma l’organizzazione – è promuovere e proteggere i diritti umani di richiedenti asilo, rifugiati e migranti di modo da sostenere il benessere di tutti i sudafricani. Per questo esortiamo vivamente la comunità di Addo a evitare di farsi giustizia da sola. È necessario rispettare la legge. La violenza ha già ferito la vita di un numero incommensurabile di persone».

Vite come quelle che sono state scaraventate fuori dalle loro case ad Addo. Gift of Givers è un’organizzazione di cittadini che aiuta con cibo e altre necessità le persone colpite da disastri o in situazione di estremo disagio. In questi giorni sta operando sia nel rifugio di Gqeberha che alla stazione di polizia di Addo, dove si sono rifugiati altri migranti.

Ali Sablay, project manager dell’associazione, commenta a Nigrizia: «Abbiamo ricevuto le prime notizie su quanto stava avvenendo ad Addo mentre in tutto il Sudafrica si festeggiava la Giornata dell’Africa (appunto il 25 maggio, ndr). Purtoppo, mentre da una parte si celebrava – denuncia Sablay – ad Addo si sono viste scene tragiche. Ai cittadini stranieri è stato prima detto di lasciare le loro case nel giro di 24 ore e di non farci più ritorno, poi le violenze. Sono circa 600 le persone che hanno trovato rifugio nel commissariato».

Lì, aggiunge l’attivista, «abbiamo fornito alle persone rimaste senza casa cibo, coperte, acqua potabile e materiale per lavarsi e per prendersi cura dell’igiene dei bambini».

In allerta l’ambasciata dello Zimbabwe 

Si è messa in azione anche l’ambasciata dello Zimbabwe, paese da cui provengono molte delle persone vittime delle violenze e più in generale circa la metà dei migranti che vive in Sudafrica.

Stando a quanto riferito a Nigrizia, l’ufficio diplomatico di Harare sta assistendo le persone ferite e sfollate, mentre si stanno organizzando degli incontri con le famiglie delle vittime per poter organizzare il rientro in patria delle salme dei loro cari. Un’affermazione che lascia pensare che alcune delle persone decedute a causa delle violenze siano originari del paese.

I numeri non sono ancora certi: «Più di 30 cittadini dello Zimbabwe sono rimasti seriamente feriti e 17 sono stati ricoverati all’ospedale – ha riferito l’ambasciata -. Il loro numero totale deve essere ancora verificato però, visto che alcuni incidenti non segnalati sono emersi solo dopo che le strutture mediche hanno allertato la polizia dopo aver ricevuto e assistito le vittime della violenza di Addo».

Il quadro generale 

Il contesto sudafricano in cui avvengono le violenze è segnato da numeri preoccupanti riguardo alla violenza. Dati che sono stati recentemente strumentalizzati per portare avanti una tesi precisa dal presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, nel corso di un suo incontro con l’omologo sudafricano Cyril Ramaphosa a Washington.

Il capo di stato USA ha parlato di un «genocidio dei coltivatori afrikaner» in corso nel paese. Se lo sterminio dei contadini bianchi è una pura e semplice invenzione dell’amministrazione USA, il Sudafrica deve fare i conti con uno dei tassi di omicidi più alti del pianeta. Solo nei primi tre mesi del 2025 sono stati registrati oltre 5.700 omicidi, 60 al giorno, anche in miglioramento di più del 10% rispetto all’anno precedente.

Oltre alla diffusione della criminalità organizzata, a questa violenza contribuisce la crisi economica: il paese è ritenuto il più diseguale al mondo secondo l’indice di Gini che misura questo parametro a partire dal reddito, mentre un sudafricano in età da lavoro su tre è disoccupato.

sudafricano su cinque vive al di sotto della soglia di povertà di 2,15 dollari al giorno e più di uno su 20, secondo l’ONU, si trova in una condizione di povertà multidimensionale, quindi relativa all’accesso a salute, istruzione e standard di vita degni. 

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