Sudan e altri fronti militari aperti dagli Emirati in Africa - Nigrizia
Armi e Disarmo Conflitti e Terrorismo Libia Sudan
La “diplomazia delle armi” di Abu Dhabi
Sudan e altri fronti militari aperti dagli Emirati in Africa
Non solo il supporto alle RSF di Hemeti. Nel continente la monarchia del Golfo invia armi e costruisce basi anche in Libia, Somalia, Mozambico, Repubblica democratica del Congo e Angola. Puntando spesso sui movimenti separatisti
22 Aprile 2025
Articolo di Rocco Bellantone
Tempo di lettura 7 minuti

La denuncia alla Corte internazionale di Giustizia da parte del governo sudanese di Abdel Fattah al-Burhan, e i report degli esperti delle Nazioni Unite che hanno confermato il supporto militare alle Forze di supporto rapido (RSF), difficilmente ostacoleranno i piani degli Emirati Arabi Uniti nel paese dell’Africa orientale in guerra da ormai due anni.

Fin dalla fine del regime di Omar al-Bashir nell’aprile del 2019, gli Emirati hanno approfittato dell’instabilità del Sudan per armare le tensioni interne che dilaniano il paese e ricavare dal caos un avamposto che garantisse loro da un lato un canale per penetrare il continente africano e, dall’altro, un affaccio sul Mar Rosso.

Lo schema applicato in Sudan e in altre aree di crisi africane è stato recentemente ricostruito nel dettaglio da Andreas Krieg su Middle East Eye. Spiega Krieg che “le RSF sono solo uno dei nodi di una rete di attori non statali che gli Emirati Arabi Uniti hanno foraggiato nell’ultimo decennio”. In questa azione la monarchia del Golfo ha fatto leva spesso su cause secessioniste locali, dalla Libia allo Yemen, dal Sudan alla Somalia, servendosi di questi attori come di “cavalli di Troia attraverso cui generare profondità strategica e influenza”.

E così se in Sudan la scelta è caduta sulle RSF di Mohamed Hamdan Dagalo, noto come Hemeti, in Libia gli Emirati hanno puntato sull’Esercito nazionale libico (LNA) di Khalifa Haftar, e lo stesso hanno fatto in Somalia nelle regioni del Somaliland, del Puntland e del Jubaland che rivendicano l’autonomia da Mogadiscio.

Attorno all’“asse dei secessionisti” appoggiato e strumentalizzato dagli Emirati, orbita una rete di società emiratine, o partecipate dalla monarchia del Golfo, attive nella logistica, nel commercio di materie prime e, ovviamente, nei settori della sicurezza privata e della fornitura di armi.

Il tutto secondo una strategia per molti aspetti simile a quella applicata dall’Iran che per consolidare la propria sfera di influenza in Medioriente sostiene attori politici e gruppi armati in vari paesi vicini, come in Libano, Siria e Yemen.

Sudan e Libia

Il rapporto tra le RSF di Hemeti e gli Emirati è strutturato da più di dieci anni. Dallo scoppio della guerra in Yemen nel 2014, su richiesta di Abu Dhabi Hemeti ha inviato nel paese del Golfo migliaia di suoi miliziani a combattere a supporto delle truppe emiratine impegnate contro i ribelli houthi appoggiati dall’Iran.

Al contempo, anche Hemeti si è però servito degli Emirati usando le sue banche per depositare i contanti ricavati dall’oro estratto nei territori controllati dalle RSF in Sudan e trasferito via aerea a Dubai. Con questi soldi Hemeti paga gli stipendi delle sue truppe, acquista armi e veicoli, ingaggia mercenari russi.

L’esistenza di questi accordi è stata confermata dalle indagini del Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti che hanno sanzionato in passato alcune aziende con sede negli Emirati accusate di aver acquistato attrezzature o mezzi di vario tipo per conto delle RSF, oppure di aver fornito logistica per il trasporto di rifornimenti e mercenari in Sudan.

Sulla consegna delle armi alle RSF da parte degli Emirati le rotte utilizzate in questi anni da Abu Dhabi sono almeno due a cui presto se ne potrebbe aggiungere una terza. La prima collega i depositi di armi dell’LNA di Haftar in Cirenaica, riforniti sempre dagli Emirati, alle regioni controllate dalle RSF in Sudan.

La seconda, quella su cui si sono concentrati gli ultimi report degli esperti delle Nazioni Unite, collega per via aerea gli Emirati (con decollo da un aeroporto nell’emirato di Ras Al-Khaimah e da un altro ad Al Ain, nell’emirato di Abu Dhabi) a Ciad (N’Djamena e di Amdjarass, nella parte orientale) principalmente e anche Uganda.

Qui gli Emirati, usando il pretesto dell’invio di aiuti umanitari, fanno arrivare armi leggere, missili, mortai e droni. Una volta atterrati i carichi ripartono a bordo di altri aerei verso il Sudan oppure proseguono via terra oltrepassando il confine che separa il Ciad dalla regione sudanese del Darfur.

Come riportato nel report del dicembre 2024 The UAE as a security partner in Africa, redatto dal think tank britannico International Institute for Strategic Studies, “tra maggio e settembre 2023 gli Emirati Arabi Uniti hanno effettuato un importante ponte aereo di almeno 109 voli da Abu Dhabi all’aeroporto di Amdjarass in Ciad, dove gli Emirati Arabi Uniti hanno costruito rimesse temporanee per aerei e un hangar”. L’esistenza di questo ponte aereo è stata ritenuta credibile dagli esperti delle Nazioni Unite.

Trattative con Bangui

Il 6 marzo, dopo l’incontro ad Abu Dhabi tra il presidente degli Emirati Mohamed bin Zayed e il presidente della Repubblica Centrafricana Faustin-Archange Touadéra, Jeune Afrique ha rivelato l’esistenza di una trattativa tra i due paesi. Secondo Jeune Afrique gli Emirati starebbero pensando alla Repubblica Centrafricana come possibile ulteriore snodo per l’invio di armi alle RSF.

Il supporto offerto finora agli Emirati ha infatti innescato dei malumori in Ciad dove il presidente Mahamat Idriss Déby Itno deve fare i conti con l’influente comunità zaghawa, da cui non solo proviene il suo defunto padre, Idriss Déby Itno, ma che è anche schierata in Sudan contro le RSF.

Per questo motivo il presidente ciadiano presto potrebbe dover allentare i rapporti con gli Emirati, quantomeno sul fronte del supporto logistico in questa triangolazione con le RSF. Per non restare scoperta, Abu Dhabi ha così iniziato a guardare con interesse a una papabile alternativa rappresentata dalla Repubblica Centrafricana, dove gli aeroporti della capitale Bangui e di Birao, nella parte orientale del paese, potrebbero servire da tappa intermedia per i carichi di armi destinati al Sudan.

Touadéra si sarebbe a sua volta mostrato interessato alla proposta emiratina, ma prima di accettarla e di entrare – seppur indirettamente – in guerra in Sudan, dovrà a sua volta trovare un compromesso con la Russia che tiene in piedi il suo governo attraverso Africa Corps e che nel conflitto sudanese a fasi alterne si è trovata a operare tramite i suoi mercenari sia a sostegno di al-Burhan che di Hemeti.

Gli altri fronti aperti in Africa  

In Somalia, paese affacciato sul Golfo di Aden e dove sono forti gli interessi di DP World e AD Ports, player emiratini ai vertici della logistica globale, negli ultimi quindici anni gli Emirati hanno armato prima il governo di Mogadiscio, poi anche le regioni che rivendicano l’autonomia dall’esecutivo centrale.

Nel Puntland hanno messo in piedi la Puntland Maritime Police Force (PMPF) e a Bosaso hanno costruito una base militare che usano anche per far arrivare rifornimenti alle RSF. Dal 2017 hanno intensificato i rapporti con il Somaliland, aprendo qui una base militare a Berbera e facendo ora pressione sull’amministrazione Trump perché ne riconosca l’indipendenza da Mogadiscio. Dal 2023 sono presenti anche nel Jubaland, dove hanno costruito un’altra base militare nel capoluogo regionale di Chisimaio.

In Mozambico gli Emirati forniscono assistenza militare attraverso l’invio di veicoli blindati al governo di Maputo, impegnato a sedare l’insurrezione jihadista nella provincia di Cabo Delgado, ricca di giacimenti di gas.

Tra il 2020 e il 2022 hanno supportato il governo etiope nella guerra del Tigray inviando armi tra cui droni, missili guidati, fucili d’assalto, veicoli blindati e addestratori.

In Repubblica democratica del Congo sostengono il governo di Kinshasa in guerra con il Movimento 23 Marzo (M23) e altri gruppi ribelli armati, con l’obiettivo di mettere le mani sulle miniere di cobalto, rame, oro e diamanti del paese.

Con l’Angola hanno accordi per la vendita di navi da guerra, per la fornitura di armi alla Marina del paese e per investimenti nei terminal dei porti di Luanda e Cabinda.

Copyright © Nigrizia - Per la riproduzione integrale o parziale di questo articolo contattare previamente la redazione: redazione@nigrizia.it