Sudan: armi europee alle milizie RSF attraverso gli Emirati
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Un'inchiesta di France 24 ricostruisce il percorso delle armi dalla Bulgaria ad Abu Dhabi, fino alla Libia e al Darfur con il coinvolgimento di mercenari colombiani
Sudan: armi europee alle milizie RSF attraverso gli Emirati
L’indagine documenta un traffico illecito di armi bulgare destinate alle RSF, con il coinvolgimento di una compagnia emiratina e della Libia, sollevando interrogativi sul ruolo di fornitori europei, inclusa l'italiana Leonardo, che attraverso questa triangolazione violerebbero l’embargo. L’esercito intanto rompe le relazioni diplomatiche con Abu Dhabi
07 Maggio 2025
Articolo di Bruna Sironi (da Nairobi)
Tempo di lettura 7 minuti

Se ci fossero ancora dubbi sul sostegno sostanziale degli Emirati Arabi Uniti (EAU) alle Forze di supporto rapido (RSF) nel conflitto con l’esercito nazionale che devasta il Sudan, l’inchiesta di France 24 Observers, pubblicata in cinque parti dal 19 al 21 aprile, li fugherebbe completamente.

Ma i giornalisti hanno anche messo in luce le responsabilità europee di un commercio di armi che fomenta un conflitto che ha causato la più grave, e forse ormai irreparabile, crisi umanitaria degli ultimi anni. Tra i fornitori, citata anche l’italiana Leonardo.

Gli articoli, attraverso un minuzioso controllo di immagini e documenti e una puntuale ricerca di riscontri incrociati e testimonianze, documentano un traffico di armi prodotte in Bulgaria e destinate ai miliziani delle RSF.

Per aggirare l’embargo europeo al commercio di armi con il Sudan, in vigore in varie forme fin dal 1994, il committente era un importatore emiratino, considerato molto vicino all’emiro degli EAU. Per confondere ulteriormente le acque, la consegna avrebbe dovuto essere fatta da mercenari colombiani che le avevano trasportate attraverso il territorio libico controllato dal generale Kalifa Haftar, altro alleato degli EAU in Africa.

Ma il piano è naufragato perché, appena passato il confine sudanese, il convoglio è stato intercettato da una pattuglia delle Joint Forces, le milizie dei movimenti armati darfuriani alleati con l’esercito nazionale, che si è trovata di fronte ad una montagna di ordigni accompagnati da stranieri di cui non riusciva neppure a capire l’identità e la provenienza.

Secondo un comunicato delle Joint Forces, postato sulla loro pagina Facebook, il convoglio trasportava anche denaro destinato alle RSF.

Potrebbe sembrare la trama di un film, se non fosse una delle tante storie di cui si nutrono i traffici illeciti che fomentano instabilità, conflitti e inenarrabili sofferenze sui numerosi fronti di guerra e di frontiera di questi anni.

Parigi – Abu Dhabi – Al Jawj, il viaggio dei colombiani

L’inchiesta di France 24 Observer parte dalle foto e dai video postati sui social media dai miliziani che hanno intercettato il carico nel novembre dell’anno scorso.

Vi si possono leggere chiaramente le pagine anagrafiche di due passaporti da cui risulta la cittadinanza colombiana dei titolari. Di uno, tal Christian L., utilizzatore abituale dei social media, i giornalisti investigativi sono stati in grado di ricostruire il viaggio.

Dall’aeroporto Charles de Gaulle di Parigi (5 ottobre) ad Abu Dhabi (visto di uscita 11 ottobre). Infine il video di un tramonto in una zona desertica. La geolocalizzazione realizzata da Bellincat, un media outlet inglese pure specializzato in giornalismo investigativo, dice che si tratta di territorio libico, vicino alla cittadina di Al Jawf, l’ultima prima del confine sudanese. Territorio controllato da Kalifa Haftar.

Secondo le dichiarazioni di Ali Trayo – consigliere di uno dei movimenti darfuriani – raccolte dai giornalisti, «i mercenari colombiani sono stati uccisi o catturati sul confine con la Libia… Erano esperti in armi. Erano lì per addestrare le RSF».

La storia è confermata dai mass media colombiani, che nei giorni successivi all’uscita degli articoli di France 24 hanno raccolto le testimonianze di numerosi ex militari secondo le quali almeno 300 di loro sarebbero stati assoldati per addestrare e supportare i miliziani delle RSF. Stesse tappe del viaggio, stessi obiettivi dell’ingaggio e probabilmente stessa tipologia di merce da consegnare.

Il produttore bulgaro Dunarit

Le foto documentano anche il tipo e la provenienza delle armi, mediante un codice internazionale stampato sulle casse usate per il trasporto: BG-RSE-0082-HT. BG sta per Bulgaria.

Sul corpo delle bombe sono incisi altri codici per l’identificazione e il tracciamento. Secondo un esperto del modo di identificazione usato in Bulgaria, il numero 19, ricorrente su tutti gli ordigni, indica l’anno di costruzione mentre il numero 46 indica la ditta. È la Dunarit.

Il suo amministratore delegato ammette che sono bombe di costruzione della Dunarit, ma dice che la transazione è stata del tutto regolare e che mai e poi mai dalla sua compagnia sono partite armi per il Sudan.

Il fornitore bulgaro ARM-BG e l’importatore emiratino

Infatti il contratto è stato stipulato, nel 2020, da un fornitore bulgaro, ARM-BG Ltd, con la International Golden Group, una compagnia emiratina. Uno dei suoi presidenti è Fadel al Kaabi (l’altro è l’americano William Cohen) la cui famiglia sarebbe il braccio operativo dell’emiro di Abu Dhabi.

Dalle indagini è risultato che il fornitore bulgaro può essere equiparato ad un ente di facciata, o poco più, mentre l’importatore emiratino è già conosciuto per aver fatto da tramite per consegne in zone sotto embargo.

La Golden Group e il ruolo di Haftar

L’inchiesta cita un rapporto del 2013 di un gruppo di esperti del Consiglio di sicurezza dell’ONU sulla Libia, in cui la compagnia è accusata di aver commercializzato armi provenienti dall’Albania e consegnate a Bengasi, capitale della regione controllata da Kalifa Haftar. L’operato, illegale, dell’International Golden Group è citato anche nei rapporti del 2016, del 2020 e del 2023.

Il contratto di cui tratta la ricerca riguarda decine di migliaia di diversi tipi di ordigno per un valore di circa 50 milioni di euro.

La quarta parte dell’inchiesta chiarisce che anche i movimenti darfuriani ora riuniti nella Joint Forces hanno beneficiato del supporto degli EAU nel passato, quando combattevano contro il governo di Khartoum. E che anche allora il passaggio avveniva attraverso Bengasi. (Ma le circostanze descritte per l’intercettazione del carico dello scorso novembre non lasciano dubbi sul fatto che in quel caso i destinatari finali fossero le RSF, ndr).

Non un’unica consegna

L’inchiesta è comunque stata in grado di documentare l’uso di ordigni del tipo di quelli in consegna in novembre anche in azioni belliche precedenti.

In particolare è citato un bombardamento delle RSF ad Omdurman, la città adiacente a Khartoum, nel settembre del 2023, dove sono stati fotografati ordigni dello stesso tipo e della stessa partita, contrassegnata dal numero 19. Ordigni usati su obiettivi civili.

Dunque, si deve dedurre che il traffico è iniziato probabilmente anche prima dell’inizio della guerra che sta devastando il paese dall’aprile 2023 ed è continuato almeno fino allo scorso novembre.

Non solo Dunarit

L’ultima parte dell’inchiesta di France 24 documenta come altri giganti europei che operano nel campo militare, tra cui l’italiana Leonardo, siano partner commerciali dell’International Golden Group e ora dell’Edge Group “un conglomerato di compagnie per la difesa finanziate dagli Emirati” che l’ha acquisita nel gennaio del 2024.

Questo nonostante la nomea della compagnia emiratina sia ben conosciuta e il suo operato stigmatizzato anche da rapporti ufficiali del Consiglio di sicurezza dell’ONU.

Ma questo aspetto della faccenda sarà approfondito in un prossimo articolo.

Sudan-UAE, tensione alle stelle

Intanto, nonostante le crescenti evidenze contrarie, gli Emirati Arabi Uniti continuano a dirsi estranei al commercio illegale di armamenti a favore delle RSF. Un’accusa fortemente sostenuta dall’esercito sudanese il cui Consiglio di Difesa ha annnciato ieri la rottura dei rapporti diplomatici con Abu Dhabi.

In una nota il ministro della Difesa Yassin Ibrahim ha fatto sapere che “il Consiglio ha deciso di dichiarare lo stato di aggressione negli Emirati Arabi Uniti, di interrompere le relazioni diplomatiche con essi e di ritirare l’ambasciata e il consolato generale sudanesi”, aggiungendo che il Sudan si riserva il diritto di “rispondere all’aggressione con ogni mezzo”.

Una mossa arrivata nel terzo giorno di attacchi con droni compiuti dalle RSF su obiettivi sensibili nella capitale de facto Port Sudan. Attacchi dietro ai quali, secondo il regime militare, ci sarebbero gli UAE, accusati di aver intensificato il supporto alla milizia con “armi strategiche avanzate”.

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