Sudan: che succede tra i nuba? - Nigrizia
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Un’altra tessera del puzzle della complessità del conflitto sudanese
Sudan: che succede tra i nuba?
La regione dei Monti Nuba è controllata dall’SPLM-N di Abdel Aziz al-Hilu. Rimasto a lungo neutrale, il movimento si è ora alleato con i miliziani delle RSF, in guerra contro l’esercito sudanese, per dar vita a un governo parallelo. Nigrizia ha incontrato Kuku Jagdoul, rappresentante del SPLM-N nel comitato che lavora alla formazione di tale governo, che ci ha spiegato i motivi e gli obiettivi di questo controverso progetto politico
10 Aprile 2025
Articolo di Bruna Sironi (da Nairobi)
Tempo di lettura 7 minuti
Abdel Aziz al-Hilu, leader dell'omonima fazione dell'SPLN-N (Credit: The Sudan Times)

I Monti Nuba, nello stato del Sud Kordofan, Sudan meridionale, sono tra le regioni più note del Sudan e i nuba tra i gruppi etnici più conosciuti, grazie al lavoro di antropologi e fotografi famosi, tra cui Leni Riefenstahl che li ha immortalati in scatti indimenticabili.

Della loro storia recente, documentata da noti giornalisti come Nicholas Kristof, vincitore di due premi Pulitzer, e da artisti come George Clooney, si ricorda la ferma partecipazione alla guerra di liberazione contro il governo di Khartoum, conclusasi nel 2005 con un accordo di pace che ha facilitato l’indipendenza del Sud Sudan.

In quell’accordo ai nuba non è stato riconosciuto il diritto di autoderminazione ma solo una consultazione popolare riguardante l’assetto amministrativo, cui il governo centrale di Khartoum frapponeva continui ostacoli mentre continuava ad imporre politiche discriminatorie.

Nel 2011 scoppiò, perciò, un altro conflitto, combattuto tra l’esercito nazionale e l’SPLM-N (Movimento popolare per la liberazione del Sudan-ala Nord) nato al momento dell’indipendenza del Sud Sudan e formato dalle forze che avevono partecipato alla guerra civile e che erano rimaste in Sudan.

Questa guerra dei nuba, sotto la guida politica e militare di Abdel Aziz al-Hilu, continua anche oggi.

L’SPLM-N controlla la zona dei Monti Nuba (ora anche vasti territori nello stato del Nilo Blu), e la governa da Kauda. Del suo modo di operare gli analisti dell’area sottolineano la disciplina delle truppe e il rispetto per i civili. Nelle zone sotto il suo controllo sono garantiti i servizi essenziali e si progetta il futuro, seppur nel limite che la difficile situazione di isolamento permette.

Abdel Aziz al-Hilu, infatti, ha sempre rifiutato alleanze basate su obiettivi solo parzialmente condivisi. Il suo movimento non ha preso parte alla rivolta popolare che ha portato al rovesciamento del regime islamista del presidente Omar al-Bashir e non ha partecipato al periodo di transizione, con il governo a guida civile di cui era presidente Abdalla Hamdok.

Nella guerra in corso da due anni tra esercito e miliziani delle Forze di supporto rapido (RSF) è rimasto a lungo neutrale tra i due contendenti, pur cercando di avvantaggiarsi della situazione. Per questo molti osservatori e amici dei nuba si sono stupiti della sua recente alleanza con le RSF.

In febbraio L’SPLM-N, a guida Abdel Aziz (il movimento si è ulteriormente diviso mantenendo lo stesso nome con diverse specificazioni), insieme ad una ventina di altri piccoli movimenti armati, partiti e gruppi della società civile – non tra i più rappresentativi del contesto sudanese, per la verità – ha infatti firmato la carta politica che li impegna alla formazione di un governo alternativo a quello allineato all’esercito, che agisce di fatto come il governo del paese. L’alleanza ha già prodotto una Costituzione provvisoria e si aspetta la formazione del promesso governo.

Ne abbiamo parlato con Kuku Jagdoul, rappresentante del SPLM-N di Abdel Aziz al-Hilu nel comitato che ha messo a punto sia la carta politica che la Costituzione transitoria e che sta ora lavorando alla formazione del governo alternativo.

Che cosa vi ha convinti a firmare la Carta per un governo sudanese alternativo?

La firma è stata preceduta da approfondite analisi che hanno identificato le radici dei conflitti sudanesi. Per la prima volta nella nostra lunga storia di negoziati, abbiamo trovato un comune interesse a metterle al centro della ricerca delle possibili soluzioni.

Abbiamo concordato su punti per noi non negoziabili, come la laicità dello stato, compresa la netta divisione tra la legislazione e la religione, il riconoscimento delle diversità etniche e culturali della popolazione, la gestione del territorio e la formazione del futuro governo, per cui è importante il modello, che dovrà prevedere una governance decentrata. Siamo tutti interessati a come sarà governato il paese, non a chi siederà nei posti chiavi del potere.

Non vi imbarazza un’alleanza con le RSF, accusate di crimini orrendi nei confronti dei civili?

Sappiamo chi sono. Abbiamo denunciato e continueremo a denunciare le loro nefandezze, ma pensiamo che la prospettiva di una responsabilità di governo possa servire anche a mettere loro un freno. D’altra parte anche l’esercito non si comporta in modo diverso.

Molti osservatori, parecchi sudanesi e gran parte della comunità internazionale pensano che un altro governo possa minare l’unità del paese…

Nella Carta si dice esplicitamente che la divisione del paese è del tutto al di fuori della nostra agenda politica. Anzi, siamo convintamente per un Sudan unito, con un unico esercito nazionale.

D’altra parte, nelle zone fuori dal controllo dell’esercito era necessario un governo. La gente non aveva più servizi essenziali, come la scuola, la circolazione di una moneta valida (dopo che il governo di Port Sudan aveva cambiato quella circolante prima del conflitto), l’emissione di documenti di identificazione personale, come il passaporto.

La presa di Khartoum da parte dell’esercito e il ritorno delle RSF verso il Darfur cambia la situazione nel paese. Questo avrà un impatto sul vostro progetto?

Direi di no. In un conflitto ci sono sempre fasi diverse, e questa non è che una fase. Stiamo lavorando alla formazione del governo, che sarà annunciato presto. Sarà il governo del nuovo Sudan.

Come finirà questa guerra?

L’SPLM combatte da 42 anni quasi ininterrottamente. Non abbiamo nessun interesse a prolungare il conflitto, che porta sofferenze gravissime alla popolazione. Ma siamo condizionati dalle decisioni del governo di Port Sudan.

Pensiamo che la soluzione migliore sia quella politica, ma siamo anche pronti a combattere perché dobbiamo pensare al futuro della nostra gente.

Qual è il vostro sogno per il futuro?

Avere un paese e un governo che rispetti la sua gente. L’esercito del governo di Port Sudan non lo sta facendo.

Le difficili, talvolta estreme, condizioni di vita della popolazione nuba ce le descrive Yunas Musa Kunda, direttore esecutivo dell’Agenzia sudanese per l’aiuto e la ricostruzione (Sudan Relief and Rehabilitation Agency – SRRA), il settore umanitario del SPLM-N, ala Abdel Aziz al-Hilu.

Com’è la situazione umanitaria sui Monti Nuba?

Molto preoccupante. Abbiamo 1,3 milioni di nuovi sfollati, provenienti dalle zone di conflitto in Sudan e da quelle instabili del Sud Sudan. Ci sono delle aree in cui le agenzie dell’ONu hanno dichiarato una situazione di carestia già alcuni mesi fa. Il governo di Port Sudan, invece, ha sempre negato che nel paese ci sia la fame.

Da dove arrivano gli aiuti umanitari?

Il World Food Programme e poche ONG riescono a distribuire qualcosa passando dal Sud Sudan. Ma una parte degli aiuti arrivano anche da Port Sudan e vengono trasportati in aereo a Kadugli, la capitale del Sud Kordofan. Da lì raggiungono i Monti Nuba per via di terra.

Si aspetta cambiamenti dopo l’alleanza con le RSF?

Si, ci aspettiamo problemi maggiori di quelli che già ci sono. Con il governo del Sud Sudan i rapporti sono buoni e quella strada continuerà ad essere operativa, ma Kadugli è controllata dall’esercito e il ponte aereo, che non ha mai funzionato come avrebbe dovuto, potrebbe ora essere interrotto del tutto.

E poi, dopo diversi anni, sono ripresi i bombardamenti. Il 19 marzo sono stati bombardati villaggi nella contea di Alshargi. Nei giorni successivi hanno colpito in altre zone.

Come pensate di affrontare la situazione?

Stiamo lavorando molto per rendere la popolazione resiliente e il più possibile autosufficiente per quanto riguarda la produzione di cibo. Negli ultimi anni, in cui non ci sono state operazioni militari, abbiamo lavorato parecchio per sviluppare l’agricoltura. I nuba sono una popolazione di agricoltori e hanno risposto bene anche alle novità introdotte. Si tratta comunque di agricoltura per la sussistenza, dipendente dalle piogge. E il cambiamento climatico si fa sentire anche da noi, con stagioni di siccità sempre più lunghe ed imprevedibili.

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