
Un’azione “raccapricciante”. Ha definito così la coordinatrice umanitaria delle Nazioni Unite in Sudan Kristine Hambrouck l’attacco con droni che ha colpito la notte del 2 giugno scorso un convoglio di 15 camion carichi di aiuti umanitari del Programma alimentare mondiale (PAM) e dell’UNICEF diretti a El-Fasher, capitale del Darfur Settentrionale da oltre un anno sotto assedio.
L’attacco, avvenuto nei pressi di el-Koma, città controllata dalle milizie Forze di supporto rapido (RSF) , ha causato la morte di cinque persone, tutti sudanesi che lavoravano per le agenzie dell’ONU, il ferimento di diverse altre e il danneggiamento di rifornimenti umanitari vitali.
El-Koma è da giorni colpita da bombardamenti aerei dell’esercito sudanese (SAF) che hanno causato la morte e il ferimento di almeno 86 persone.
Dell’azione contro il convoglio di aiuti si accusano a vicenda le due parti protagoniste del conflitto civile che lacera il Sudan dall’aprile 2023 e che ha causato una delle più devastanti crisi umanitarie al mondo.
PAM e UNICEF fanno però sapere che tutte le parti erano state informate del passaggio del convoglio e dei suoi movimenti. Si tratterebbe perciò di un attacco voluto e pianificato.
I camion avevano percorso oltre 1.800 chilometri da Port Sudan, sulla costa del Mar Rosso, ed “erano a 80 chilometri da El-Fasher, parcheggiati sul ciglio della strada, in attesa di autorizzazione, quando sono stati attaccati”, fa sapere il portavoce dell’ONU Stéphane Dujarric.
Un attacco deliberato
Kristine Hambrouck denuncia: si è trattato di un “attacco deliberato contro i civili” e di una “palese violazione del diritto internazionale umanitario”. Non la prima, purtroppo, in un conflitto in cui entrambi i belligeranti hanno da tempo calpestato le leggi, scritte e non, che dovrebbero garantire la tutela della popolazione, e dei più fragili in particolare, ovvero donne e bambini, che risultano essere invece i più colpiti.
Un conflitto in cui la fame viene usata come arma di guerra e in cui strutture civili come ospedali e campi di sfollati, diventano obiettivi militari.
Popolazione stremata, tra bombe, rastrellamenti e carestia
Il convoglio attaccato il 2 giugno sarebbe stato il primo carico di aiuti a raggiungere El-Fasher dopo oltre un anno. Avrebbe potuto alleviare le indicibili sofferenze della popolazione, schiacciata nella morsa dell’assedio posto dalle RSF alla città, l’ultima rimasta sotto il controllo dell’esercito nella vasta regione occidentale.
Una popolazione di sfollati in perenne fuga dagli attacchi, l’ultimo dei quali, compiuto dalle RSF contro il vicino campo di sfollati di Zamzam, circa 500mila persone, raso al suolo e trasformato in una base logistica della milizia, che già mesi prima aveva bloccato l’ingresso al campo di beni di prima necessità, portando chi vi si era rifugiato alla carestia.
In quell’occasione erano state centinaia le persone massacrate e centinaia di migliaia quelle in fuga. Una massa di persone deboli e affamate, costrette a mettersi nuovamente e faticosamente in cammino per cercare di sopravvivere.
Basta attacchi a organizzazioni umanitarie e civili
“Gli attacchi contro il personale umanitario, gli aiuti, le operazioni, i civili e le infrastrutture civili in Sudan sono continuati per troppo tempo impunemente” e devono cessare immediatamente, denunciano PAM e UNICEF.
Le agenzie delle Nazioni Unite ricordano che nemmeno una settimana fa la sede del PAM a El-Fasher è stata bombardata e danneggiata, e che anche un ospedale internazionale ad El-Obeid, nel Kordofan Settentrionale, ha subito un attacco mortale con un drone.
Nigrizia ricorda che in Darfur la Corte penale internazionale sta indagando per crimini contro l’umanità, crimini di guerra ed anche per genocidio, proprio a causa dei massacri e delle operazioni di sterminio portate avanti fin dall’inizio del conflitto dalle RSF – sostenute militarmente dagli Emirati Arabi Uniti – contro le popolazioni non arabe o arabizzate, in particolare i gruppi fur, zaghawa e masalit.
Gli attacchi non hanno risparmiato neanche i giornalisti, testimoni scomodi dei crimini che stanno avvenendo nel paese.
La peggiore crisi umanitaria al mondo
Fin dall’avvio del conflitto l’accesso umanitario è stato fortemente limitato, e per lungo tempo decisamente impedito da entrambe le parti, rendendo estremamente difficile per gli aiuti raggiungere le comunità vulnerabili.
Un blocco che ha contribuito a diffondere la malnutrizione e le morti ad essa associate, con la carestia decretata in almeno 12 zone del paese.
Quasi tre quarti delle strutture sanitarie in Sudan non sono più operative. Malattie come il colera e il morbillo si stanno diffondendo rapidamente, rese ancora più letali dalla diffusa malnutrizione e dagli attacchi a strutture civili come bacini di acqua potabile, centrali elettriche, dighe, aeroporti e depositi di carburante.
Stime prudenti indicano che il conflitto ha ucciso almeno 150mila persone, e il numero continua a crescere.
Quasi 25 milioni di persone – più della metà della popolazione sudanese – ha urgente bisogno di assistenza umanitaria.
Circa 14 milioni sono stati costretti a fuggire, la stragrande maggioranza – oltre 10 milioni di persone – spostandosi all’interno del paese. È la più grande crisi di sfollamento al mondo.
La maggior parte sono donne e bambini, a 17 milioni dei quali è stata negata l’istruzione.