
Quanto siano alti e contrapposti gli interessi geopolitici internazionali in gioco nella guerra che da due anni devasta il Sudan, lo rivela l’esito della Conferenza svolta il 15 aprile a Londra per tentare di istituire un blocco di coordinamento politico, sotto l’egida dell’Unione Africana, capace di spingere le due parti in conflitto – l’esercito (SAF) e le milizie Forze di supporto rapido (RSF) – verso una sempre più improbabile trattativa di pace.
Al termine dell’intensa giornata, infatti, Egitto, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti hanno rifiutato di apporre la loro firma a una dichiarazione unificata, rivelando così per la prima volta chiaramente le posizioni dei tre stati arabi riguardo alle forze in campo in Sudan.
La Conferenza si è quindi conclusa con una dichiarazione congiunta dei ministri degli Esteri di Regno Unito, Francia, Germania, Unione Africana e UE nella quale si parla, tra l’altro, di “respingere tutte le attività, comprese le interferenze esterne, che accrescono le tensioni o prolungano o favoriscono i combattimenti”.
A contrapporsi sono Egitto e Arabia Saudita, che sostengono più o meno apertamente e anche militarmente le Forze armate sudanesi, e gli Emirati, che appoggiano fin dall’avvio del conflitto le RSF attraverso il vicino Ciad.
Un supporto che Abu Dhabi ha finora sempre decisamente negato, ma che è documentato da autorevoli inchieste giornalistiche (New York Times e Wall Street Journal, tra i primi), del governo statunitense (che ha imposto anche sanzioni mirate a entità riconducibili alle RSF con sede negli Emirati) e da rapporti di esperti delle Nazioni Unite.
Sull’ultimo di questi, aleggia però il sospetto di azioni di lobbing da parte di Abu Dhabi.
Si tratta di un rapporto interno contrassegnato come altamente riservato, redatto da un gruppo di cinque esperti, completato a novembre 2024 e inviato al Comitato per le sanzioni al Sudan del Consiglio di sicurezza ONU.
Nel documento, descritto in modo dettagliato dal quotidiano britannico The Guardian, che ha potuto visionarlo, si documenta “un modello coerente di voli cargo di Ilyushin Il-76TD (almeno 24 tracciati lo scorso anno, ndr) provenienti dagli Emirati Arabi Uniti” verso il Ciad, dove gli esperti hanno identificato almeno tre rotte terrestri potenzialmente utilizzate per il trasporto di armi oltreconfine, nella regione sudanese del Darfur, sottoposta a un embargo sull’importazione di armi e teatro di massacri su base etnica da parte delle RSF.
Nel rapporto di 14 pagine si parla di una regolarità di voli tali da aver creato di fatto un “nuovo ponte aereo regionale”. I ricercatori ONU hanno osservano inoltre che i cargo sparivano dai tracciati per “segmenti cruciali” del volo, “sollevando dubbi su possibili operazioni segrete”.
Nonostante nel rapporto si evidenzi che alcuni dei voli identificati erano collegati ad operatori precedentemente coinvolti in “logistica militare e trasferimenti illeciti di armi”, gli stessi esperti sostengono però di non essere riusciti a individuare prove che trasportassero materiale bellico.
Il punto decisivo è proprio questo, tanto che, come fa notare ancora The Guardian, non solo nel rapporto finale di 39 pagine, la cui pubblicazione è prevista a giorni, i numerosi voli cargo emiratini tracciati, diretti in Ciad, non sarebbero menzionati, ma dal report sarebbe sparito addirittura qualsiasi riferimento agli Emirati Arabi Uniti, se non in relazione ai colloqui di pace.
Insomma, “l’ultimo rapporto del panel di esperti delle Nazioni Unite chiarisce che non ci sono prove concrete che gli Emirati Arabi Uniti abbiano fornito alcun supporto alle RSF o siano coinvolti nel conflitto”. A precisarlo è proprio una puntuale nota di Abu Dhabi, nella quale si ribadisce che “le accuse contro di noi non hanno raggiunto la soglia probatoria del panel. I fatti parlano da soli”.
Un messaggio che sembra indirizzato direttamente all’Aja, dove la Corte Internazionale di Giustizia sta esaminando la denuncia inoltrata dal regime militare sudanese in cui si accusano gli Emirati di “complicità nel genocidio” in Darfur proprio per il loro sostegno militare e logistico alle RSF.