
Sull’esito della conferenza di Londra, organizzata in occasione dei due anni di guerra in Sudan, il 15 aprile, verrebbe da dire che la montagna ha partorito un topolino. Non solo dal punto di vista politico, per cui veti contrapposti hanno impedito di formulare una dichiarazione finale unitaria, ma anche dal punto di vista umanitario.
“Sudan Left in Free Fall as Conference Delivers Tepid Words, and Not Commitments” (Sudan lasciato in caduta libera, dal momento che la conferenza partorisce tiepide parole, non impegni), dice Reliefweb, il sito di OCHA, l’organizzazione dell’ONU per il coordinamento degli interventi umanitari. E si riferisce alla poca incisività del comunicato finale, ma soprattutto agli impegni per gli aiuti al paese ormai alla fame.
Promesse tiepide e Italia assente
Alla conferenza, organizzata da Gran Bretagna, Unione Europea, Francia, Germania e Unione Africana, con la partecipazione della Lega araba e di una ventina di donatori, per il territorio sudanese sono stati promessi circa 565 milioni di dollari, tutti dalla Commissione europea e da diversi stati membri; non una lira dall’Italia che non ha neppure partecipato.
Per la crisi umanitaria complessiva, che ha investito anche la regione, secondo le stime di OCHA, gli impegni sarebbero di 1,08 miliardi, in parte fondi già promessi in altre occasioni e ancora non versati. Meno della metà di quelli assicurati a Parigi, alla conferenza dell’anno scorso, anche se il bisogno è aumentato in maniera esponenziale.
Emergenza umanitaria drammatica: milioni di sfollati e rischio fame
Secondo un comunicato stampa di OCHA, diffuso pochi giorni prima della conferenza, sono 30 milioni i sudanesi che hanno bisogno di aiuto. Di questi 11,5 milioni sono sfollati, un terzo della popolazione; più di 3 milioni hanno passato i confini in cerca di protezione (dati). La maggior parte in paesi già fragili come il Sud Sudan, che ne ha accolto 1,1 milioni, il Ciad 984mila, l’Etiopia 167mila. 1,5 milioni di sudanesi sono in Egitto e diverse migliaia sono fuggiti anche nella Repubblica Centrafricana e in Libia.
In un recente monitoraggio di Concern, un’importante organizzazione non governativa irlandese, in almeno 5 zone del paese è già stata dichiarata una situazione di fame, ma in altre 17 il pericolo sarebbe ormai molto vicino e la dichiarazione imminente.
Inutile dire che donne e bambini sono le maggiori vittime di questa situazione catastrofica.
Appello ONU disatteso e aiuti in calo: prospettive fosche
Alla fine dell’anno scorso, OCHA aveva preparato un piano di intervento per il 2025 (Sudan’s 2025 Humanitarian Response Plan) in cui chiedeva 4,16 miliardi di dollari per supportare 20,9 milioni di persone.
L’8 aprile solo il 10% dell’appello era stato finanziato e le previsioni per i prossimi mesi sono pessime, dal momento che il maggior donatore, USAID, ha chiuso improvvisamente le operazioni e altri stanno diminuendo i loro interventi a fronte di un peggioramento della situazione internazionale.
Per mancanza di fondi, provenienti in gran parte proprio da USAID, hanno chiuso ormai anche la maggior parte delle cucine comunitarie e delle emergency room, organizzate dai giovani dei comitati di resistenza e dalle comunità locali, in cui centinaia di volontari per due anni hanno fornito cibo e assistenza sanitaria alla popolazione in zone che, per impedimenti dovuti al conflitto e ai veti dei due belligeranti, non poteva, e non potrà, essere raggiunta dagli aiuti internazionali.
OCHA si dice preoccupata anche dal prossimo arrivo della stagione delle piogge in cui sarà ancora più difficile raggiungere la popolazione che ne ha estremo bisogno. La conferenza di Londra, dice in uno dei suoi comunicati, avrebbe dovuto essere l’ultima finestra possibile per poter organizzare i soccorsi in tempo utile a scongiurare una imminente, e a lungo annunciata, catastrofe.
Orrore nel Darfur: distrutto campo profughi, silenzio a Londra
Invece i partecipanti non sono stati mossi neppure da uno dei più orrendi crimini di questa guerra già segnata da episodi di enorme gravità.
Proprio nei giorni precedenti la confererenza, dal 10 al 14 aprile, i miliziani delle Forze di supporto rapido hanno distrutto il campo profughi di Zamzam, nel Darfur settentrionale, a 15 chilometri della capitale El-Fasher, assediata da mesi e dove la fame è ormai di casa.
Zamzam, aperto nel 2004, ospitava centinaia di migliaia di sfollati che vi avevano trovato rifugio fin dal periodo del conflitto del Darfur, nel primo decennio di questo secolo. Si stima che, in meno di quattro giorni, poco meno di mezzo milione di persone abbia perso un riparo e la possibilià di ricevere almeno un minimo aiuto.
Le vittime sarebbero non meno di 300 e migliaia i feriti. Osservatori, intervistati da Radio Dabanga, autorevole fonte di informazione sul conflitto in Darfur, hanno definito quanto successo e le sue conseguenze come “la catstrofe finale” per la regione.
Eppure, nonostante che corressero sul web le informazioni relative ad un attacco di una violenza senza precedenti ad un campo profughi, gravissimo crimine di guerra secondo le convenzioni internazionali, a Londra i partecipanti alla conferenza non hanno trovato l’accordo per una condanna senza appello e neppure per formare un fondo minimamente decente per alleviare le continue e sempre più gravi sofferenze della popolazione.