
In Sudan, nel solo periodo tra gennaio 2024 e marzo di quest’anno, gli operatori di Medici senza Frontiere (MSF) hanno curato 659 sopravvissute alla violenza sessuale nella regione del Darfur Meridionale.
Numeri che fanno paura ma il vero terrore sta negli occhi di chi tali abusi li ha subiti. Le donne del Darfur invaso dalle milizie Forze di supporto rapido (RSF) e dai loro alleati, che combattono contro l’esercito, affrontano la costante minaccia di violenza sessuale.
La tragedia in corso è nei numeri e nelle testimonianze raccolte dall’organizzazione umanitaria che ha appena pubblicato un nuovo report dal titolo agghiacciante: Violenza sessuale in Sudan. “Ci hanno picchiate e violentate proprio lì, sulla strada, in pubblico”.
La maggior parte di queste donne (il 56%) ha dichiarato di essere stata aggredita da uomini in divisa e di aver subito ulteriori violenze fisiche nel corso dello stupro. Il 31% aveva meno di 18 anni, il 7% meno di 10 anni e il 2,6% meno di 5 anni.
Sono statistiche inquietanti e probabilmente – come riporta MSF – rappresentano una sottostima della reale portata di quanto sta accadendo in Darfur. Che è tra l’altro la regione con il maggior numero di sfollati in Sudan.
Nessun rifugio sicuro
Non c’è posto sicuro per le donne. Non è solo durante gli attacchi a villaggi e città o durante il viaggio verso la salvezza che le persone vengono violentate e picchiate. La scarsa assistenza umanitaria – spiega la ONG – costringe a correre rischi per sopravvivere. E dunque a percorrere lunghe distanze a piedi per soddisfare i bisogni primari.
Perché chi decide di non correre il rischio viene tagliato fuori dalle fonti di reddito e dall’accesso ad acqua, cibo e assistenza sanitaria. Dunque, le donne vengono aggredite mentre si recano nei campi, mentre cercano acqua o rifugio dalla violenza, o persino quando sono al lavoro come è avvenuto ad una infermiera di 27 anni, da combattenti che l’accusavano di curare soldati dell’esercito sudanese.
Donne che non sono al sicuro nemmeno nelle loro case. Quando le milizie arrivano, hanno raccontato, gli uomini si nascondono, perché è molto probabile che sarebbero altrimenti uccisi. Così come è avvenuto molte volte durante i raid.
Prima vengono eliminati gli uomini, i ragazzi, persino i bambini, dopo si passa ad abusare pesantemente delle donne a cui prima è stata riservata la tortura di vedere morire i propri parenti e membri della comunità.
Nessuna assistenza medica o psicologica
La violenza sulle donne è diventata una prassi quasi inevitabile in un conflitto (e in tutti gli altri che prendono di mira i civili), che sta non solo distruggendo il paese ma minando la salute mentale dei suoi cittadini.
Le donne del Darfur, denuncia MSF, sono di fatto abbandonate a sé stesse, con le loro ferite fisiche e psicologiche. I presidi medici sono quasi inesistenti, conseguenza della distruzione in atto, ma anche in quelle poche strutture che potrebbero dare soccorso e magari supporto psicologico, le donne abusate evitano di andarci.
I motivi sono diversi: lo stigma, la paura di ritorsioni e magari anche la rassegnazione che le porta a pensare che niente può cambiare. Dall’aprile 2023, il Darfur ha assistito a un’impennata di violazioni dei diritti umani, con la presa del controllo delle RSF guidate dal generale Mohamed Hamdan Dagalo, meglio conosciuto con il nome di battaglia Hemeti.
Crimini di guerra e pulizia etnica
Una forza paramilitare responsabile da un decennio di numerosi attacchi contro la popolazione civile e che si ritiene abbia perpetrato – e continui a farlo – azioni riconducibili alla sfera dei crimini contro l’umanità. La situazione sul campo è notevolmente peggiorata soprattutto nella città e nei dintorni di El-Fasher, capitale del Darfur Settentrionale da oltre un anno sotto assedio.
Persino i campi profughi – dove la gente dovrebbe trovare conforto e rifugio – sono sotto attacco. La situazione più grave riguarda il campo di Zamzam, ormai sotto il controllo delle RSF.
A tenere nota di quanto sta accadendo lì è la Strategic Initiative for Women in the Horn of Africa (SIHA), coalizione di gruppi per i diritti delle donne. All’aumento di casi di stupro si aggiungono i rapimenti a scopo di estorsione e le denunce di scomparse.
Inoltre il furto dei telefoni cellulari ha reso quasi impossibile alle persone comunicare con l’esterno e le comunicazioni da quell’area sono praticamente interrotte.
Una situazione ormai deteriorata, resa più difficile già prima dell’attuale conflitto a causa del ritiro di una missione di peacekeeping delle Nazioni Unite e dell’Unione Africana che in qualche modo dava protezione alla popolazione.
Colpiti i più deboli e vulnerabili
Ad aprile scorso, a due anni dall’inizio della guerra, Amnesty International aveva pubblicato un report sugli abusi contro le donne in Sudan. Ora le evidenze di quello che in particolare accade in Darfur provocano ulteriore sdegno e la sensazione dello stato di abbandono di questa popolazione, soprattutto quella femminile, che sta subendo atti mostruosi e criminali.
Come mostruoso e criminale è stato il recente attacco di un convoglio di 15 camion carichi di aiuti umanitari del Programma alimentare mondiale (PAM) e dell’UNICEF diretti a El-Fasher. Un attacco voluto e pianificato, secondo le Nazioni Unite.
Infine, secondo quanto riportato da MSF, la situazione di pericolo per le donne è simile in altri luoghi, come il Ciad orientale, che attualmente ospita oltre 800mila rifugiati sudanesi. Anche qui sono numerose le vittime di violenza, anche bambini, intercettate dall’organizzazione.
Molti sopravvissuti hanno raccontato di essere stati violentati da più di una persona. Le violenze di gruppo sono ormai diventate cosa “normale” in questo conflitto disumano.