Sudan, l'orrore nel conflitto: le donne vittime di violenze inaudite
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"Ci hanno violentate tutte": Amnesty denuncia abusi sistematici sulle donne nel paese in guerra. Lunedì 14 sit-in di fronte alla Farnesina per chiedere all’Italia di agire
Sudan, l’orrore nel conflitto: le donne vittime di violenze inaudite
A due anni dall'inizio della guerra, Amnesty International pubblica un report agghiacciante sulle violenze sessuali di massa contro donne e ragazze, perpetrate soprattutto dalle milizie RSF. Il documento raccoglie testimonianze di stupri di gruppo, torture e schiavitù sessuale, evidenziando l'impunità e la mancanza di assistenza per le sopravvissute, richiamando la comunità internazionale ad agire con urgenza
11 Aprile 2025
Articolo di Bruna Sironi (da Nairobi)
Tempo di lettura 5 minuti
(Credit: UN News)

In occasione del secondo anniversario dello scoppio del conflitto sudanese, che cade il prossimo 15 aprile, Amnesty International ha diffuso un rapporto sugli abusi contro le donne: Sudan: “They Raped All of Us”: Sexual Violence Against Women and Girls in Sudan (Sudan: “Ci hanno violentate tutte”. Violenza sessuale contro donne e ragazze in Sudan).

I conflitti si combattono anche sul corpo delle donne. È purtroppo una storia che si ripete in tutti quelli di cui si ha memoria, ma sembra una costante soprattutto negli scontri di questi ultimi anni tumultuosi. In Sudan ha raggiunto livelli inimmaginabili ad opera di tutti e due i contendenti, l’esercito nazionale e le milizie delle Forze di supporto rapido (RSF), ma queste ultime si sono dimostrate particolarmente efferate.

Le accuse contro le RSF

“Gli attacchi delle RSF alle donne e alle ragazze sudanesi lasciano senza parole: sono atti depravati, compiuti per infliggere la massima umiliazione. Durante questa guerra le RSF hanno preso di mira la popolazione civile, in particolare le donne e le ragazze, con una crudeltà inimmaginabile”, ha dichiarato Deprose Muchena, direttore regionale di Amnesty International per l’Africa orientale ed australe.

I dettagli scioccanti delle violenze documentate

Il documento, fatto circolare il 10 aprile, riporta 36 episodi di stupri, anche di gruppo e contro ragazzine adolescenti, perpetrati dai miliziani delle RSF in quattro zone del Sudan – Khartoum e le città adiacenti di Omdurman e Khartoum Barhi; gli stati di Gezira e del Nord e Sud Darfur – in un arco di tempo limitato, dal 17 aprile 2023 alla fine di ottobre 2024. Si tratta perciò della punta di un iceberg che ha il valore della testimonianza diretta delle sopravvissute o di chi è stato presente alle violenze.

Le testimonianze raccolte nei campi profughi

I racconti sono stati raccolti nel corso di 30 interviste effettuate nei campi profughi dell’Uganda, paese in cui, all’inizio di aprile, erano registrati ufficialmente più di 76mila sudanesi, la metà dei quali donne e bambini.

Tutte le vittime di violenza intervistate hanno descritto gli enormi danni fisici e mentali patiti e l’impatto devastante sui loro familiari. Tutte sono state poi costrette, anche dal peso psicologico e fisico degli attacchi, a lasciare le proprie abitazioni.

Molte di loro hanno dichiarato di essere state stuprate perché sospettate di essere sostenitrici dell’esercito. Operatrici sanitarie hanno denunciato di essere state attaccate per non aver potuto salvare la vita a miliziani feriti. In un caso, un’infermiera è stata rapita da 13 soldati in un quartiere settentrionale di Khartoum ed è stata costretta a prestare cure mediche a soldati gravemente feriti prima di essere sottoposta a uno stupro di gruppo che le ha fatto perdere i sensi.

Nessuna pietà

A Khartoum sono stati registrati anche episodi di schiavitù sessuale. Tra le altre, una donna sarebbe stata rinchiusa in una casa per un mese e stuprata quotidianamente.

Secondo le testimonianze raccolte, anche chi provava ad opporsi agli stupri subiva pestaggi, maltrattamenti e torture, talvolta fino a morirne. È il caso di un ragazzo di 11 anni picchiato a morte perché aveva cercato di aiutare sua madre.

Nessuna pietà neppure per le madri. Una donna ha subito violenza di gruppo dopo che le era stato strappato dalle braccia il neonato che stava allattando.

Appello alla comunità internazionale

“L’orrore dei casi che abbiamo documentato è schiacciante … Gli attacchi delle RSF alla popolazione civile sono vergognosi e codardi. Ogni stato che sostiene le RSF, ad esempio fornendo armi, deve provare la stessa vergogna”, ha commentato Deprose Muchena.

Anche la risposta della comunità internazionale è stata riprovevole, dice Amnesty International.

Nessuna delle donne intervistate ha potuto ricevere cure adeguate e tempestive. Non hanno potuto neppure rivolgersi ai presidi sanitari locali, in gran parte messi fuori gioco dal conflitto. La gran parte non ha neppure denunciato per timore di rappresaglie e dello stigma, ancora forte in una società influenzata da una forma di islam rigoroso.

Le vittime chiedono aiuti e giustizia

Tutte le vittime intervistate chiedono urgentemente le cure fisiche e psicologiche che sono loro necessarie per riprendersi. Nel suo comunicato stampa Amnesty International osserva che il taglio dei fondi USAID da parte dell’amministrazione Trump ha determinato la chiusura di molti presidi sanitari anche nei campi profughi. In particolare sono ormai chiusi tutti i progetti per il sostegno alla salute riproduttiva e mentale.

Le sopravvissute alla violenza chiedono infine giustizia: “Le donne non stanno partecipando al conflitto ma sono quelle che soffrono di più”, dice una di loro. E prosegue: “Voglio che il mondo intero conosca la sofferenza delle donne e delle ragazze del Sudan e assicuri che tutti gli uomini cattivi che ci hanno stuprate verranno puniti”.

L’appello è stato raccolto: “Il mondo deve agire per fermare queste atrocità, iniziando con l’impedire l’arrivo di armi in Sudan, poi pretendendo la fine della violenza sessuale e chiamando a rispondere gli autori, compresi gli alti comandanti, delle loro azioni”, conclude Muchena.

L’impegno di Amnesty Italia e dei Missionari Comboniani

Anche Amnesty Italia si mobilita, organizzando un presidio davanti alla Farnesina il 14 aprile alle ore 11, per chiedere il massimo impegno del nostro governo per un’immediata cessazione delle ostilità, il rafforzamento dell’embargo sulle armi verso il Darfur e la sua estensione a tutto il Sudan, nonché l’accesso agli aiuti umanitari libero da ogni ostacolo.

È un impegno condiviso anche da altri e in particolare dai Missionari Comboniani, particolarmente vicini alle vicende sudanesi, prima e primaria terra di missione della congregazione, nata dall’impegno di san Daniele Comboni in quella terra.

Il percorso di informazione ed advocacy intrapreso è descritto nell’editoriale di Nigrizia di questo mese. Iniziato lo scorso dicembre e condiviso con altre organizzazioni presenti in Sudan da molti anni, la Comunita di Sant’Egidio e Medici senza Frontiere in particolare, ha portato, lo scorso 12 marzo, ad un seminario in Parlamento e alla presentazione di un documento alle autorità italiane competenti.

Sono iniziative autorevoli che, si spera, potranno mobilitare solidarietà verso una popolazione tanto provata e suscitare l’attenzione del nostro governo e contribuire al cambiamento delle sue politiche.

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