Sudan: prosegue la controffensiva dell’esercito - Nigrizia
Conflitti e Terrorismo Sudan
Le forze armate e la rivale milizia RSF sono accusate di esecuzioni sommarie di civili
Sudan: prosegue la controffensiva dell’esercito
Sanzioni USA ai vertici delle due opposte fazioni per le violenze contro i civili. Per le Forze di supporto rapido le accuse sono anche di genocidio. Insieme al conflitto, si aggrava di giorno in giorno anche la già catastrofica situazione umanitaria
17 Gennaio 2025
Articolo di Bruna Sironi (da Nairobi)
Tempo di lettura 7 minuti
Bombardamenti dell'esercito su Khartoum

Il 2025 si presenta come un altro anno a dir poco difficile per il Sudan e i sudanesi.

La guerra tra l’esercito nazionale (SAF) e le milizie delle Forze di supporto rapido (RSF) continua a devastare ampie regioni del paese. Gli scontri sono quotidiani e si sono recentemente estesi anche in regioni  finora non troppo coinvolte nel conflitto, come il Blue Nile e il Sud Kordofan.

Da mesi, invece, si combatte a El Fasher, capitale del Darfur Settentrionale, unica città importante della regione ancora controllata dall’esercito. È una città martire, assediata dalle RSF, dove ormai infrastrutture, servizi pubblici e mercati sono stati gravemente danneggiati o distrutti.

È stata descritta in un reportage pubblicato congiuntamente all’inizio di gennaio da Radio Dabanga e dal Sudan Tribune come un luogo dove, tra le rovine, si aggira gente tanto scheletrica da risultare irriconoscibile, e tuttavia resiliente.

Nelle ultime settimane l’esercito sembra aver iniziato una controffensiva. Ha ripreso il controllo, più o meno stabile, di aree di cruciale importanza che erano nelle mani delle RSF dallo scoppio del conflitto, nell’aprile del 2023. Tra le altre, alcuni quartieri della capitale Khartoum e delle sue città gemelle, Omdurman e Khartoum Nord (detta anche Khartoum Bahri). Al prezzo di centinaia di morti tra i civili.

Le SAF riconquistano Wad Madani

Sabato 11 gennaio le SAF sono rientrate anche a Wad Madani, capitale dello stato di El Gezira, da cui si erano dovute ritirare nel dicembre del 2023. Secondo tutti gli osservatori, si tratta di un importante sviluppo che potrebbe condizionare l’andamento futuro del conflitto.

Infatti Wad Madani è nel centro del Sudan, della sua area più fertile e di uno degli schemi irrigui più vasti del continente, in cui si potrebbero produrre cereali sufficienti a sfamare l’intera popolazione. È anche un importante nodo stradale da cui passano le principali vie di comunicazione con le altre regioni del paese che ora sono più facilmente accessibili per l’esercito e praticamente irraggiungibili per le RSF.

RSF: massacri etnici a Gezira e in Darfur

Nello stato di El Gezira le RSF si sono macchiate di gravissime violazioni dei diritti umani, perpetrando massacri di cui sono stati vittime centinaia di civili inermi, compresi donne e bambini, non raramente trucidati per la loro appartenenza etnica. Episodi “giustificati” come ritorsioni per un presunto supporto all’avversario.

Era già successo, e continua a succedere, anche in Darfur. Particolarmente efferato quanto avvenuto nelle prime settimane del conflitto nel Darfur Occidentale, con epicentro la capitale, El Genina, dove si sono contati decine di migliaia di morti tra i masalit, gruppo etnico di radici e cultura africane originario della zona.

Sanzioni USA al capo delle RSF e accuse di genocidio

Per tutto questo all’inizio di gennaio il Dipartimento di Stato americano, su proposta del segretario di Stato Antony Bliken, ha accusato la milizia di genocidio e ha comminato sanzioni per il suo leader e padrone, Mohammad Hamdan Daglo, conosciuto come Hemeti, e per sette società di proprietà sua o di membri della sua famiglia, basate negli Emirati Arabi Uniti, i cui proventi verrebbero impiegati per sostenere il conflitto.

Organizzazioni sudanesi osservano che, in base alle convenzioni internazionali, potrebbe considerarsi come genicidario anche il recentissimo attacco delle RSF alla diga di Merowe e all’impianto per la produzione di energia elettrica che copre il 40% del fabbisogno del paese. Ora l’erogazione è interrotta. La privazione di un servizio tanto essenziale non fa che peggiorare le già terribili condizioni di vita della popolazione.

L’applicazione della Convenzione per prevenire e punire il crimine di genocidio, adottata dall’assemblea generale  dell’ONU il 9 dicembre 1948,  è cosa piuttosto rara – ma in Sudan è giá stata usata contro l’ex presidente, Omar al-Bashir; tre accuse per genocidio per la conduzione della guerra in Darfur nel primo decennio del 2000 – e potrebbe preludere ad altre azioni della comunità internazionale sia per difendere i civili sotto attacco sia per processare gli accusati.

SAF: attacchi ai civili su base etnica

Sanzionato dagli Stati Uniti anche il presidente di fatto del paese, il generale al-Burhan. L’esercito, infatti, non ha finora agito in modo sostanzialmente diverso dalle RSF. Gli ultimi episodi denunciati sono di pochi giorni fa, dopo la ripresa di Wad Madani.

Secondo notizie credibili provenienti da diversi villaggi nelle vicinanze della città, alcuni gruppi etnici, percepiti come sostenitori delle RSF, sarebbero stati vittime di attacchi mirati. Il comunicato stampa di Fikra for Studies and Development, ad esempio, parla di crimini efferati contro civili inermi perpetrati mentre la popolazione festeggiava il ritorno dell’esercito che avrebbe dovuto liberarli dagli abusi della milizia e proteggerli.

Gli alti gradi dell’esercito, coincidenti di fatto con la giunta militare che governa da Port Sudan, hanno condannato, finora a parole. Nel comunicato si chiede invece un’assunzione di responsabilità, l’individuazione e la punizione dei colpevoli. Mai avvenuti in altri casi simili nei quasi due anni di conflitto.

Sudsudanesi nel mirino

Tra i gruppi presi di mira ci sono anche i rifugiati sudsudanesi, ancora numerosi nello stato di El Gezira e altrove, forse perché mercenari sudsudanesi starebbero combattendo nelle fila delle RSF. La situazione è tale che ieri, 16 gennaio, l’ambasciatore sudanese è stato convocato al ministero degli Esteri a Juba per fornire spiegazioni.

In città la tensione provocata dalle notizie delle esecuzioni sommarie perpetrate a Wad Madani è sfociata in disordini. Durante la notte sono state razziate e danneggiate attività commerciali appartenenti a cittadini sudanesi che sono stati anche minacciati e in alcuni casi attaccati.

La polizia ha sparato in aria per contenere la folla. Il presidente Salva Kiir ha invitato alla calma, assicurando che il governo si è già mosso per chiedere la protezione dei sudsudanesi che si trovano in Sudan. Ma la situazione è tale che gli sviluppi potrebbero essere imprevedibili. Anche per questo la polizia ha imposto un coprifuoco notturno.

Catastrofe umanitaria

Insieme al conflitto, si aggrava di giorno in giorno anche la situazione umanitaria. Durante l’incontro del Consiglio di sicurezza dell’ONU sulla situazione in Sudan, Edem Wosornu, direttrice per le operazioni e l’advocacy di OCHA, agenzia dell’ONU per il coordinamento degli affari umanitari, ha affermato che quella sudanese “è una crisi umanitaria di sconvolgenti proporzioni”.

In cinque zone, tre delle quali sono campi profughi che ospitano molte decine di migliaia di persone in Darfur, la crisi ha raggiunto l’ultimo stadio, quello della carestia e dunque della fame conclamata.

Le procedure ONU per dichiarare ufficialmente lo stato di carestia sono molto lunghe e complesse e implicano che le morti giornaliere per inedia siano numerose, continue e verificate. Giusto per far comprendere la situazione, quella di Gaza è definita dall’ONU come ad alto rischio di carestia, una delle fasi precedenti. Se la situazione rimarrà quella attuale, altre cinque zone potrebbero essere dichiarate in carestia nei prossimi mesi.

Aiuti bloccati

Il problema, infatti, è l’accessibilità degli aiuti, in assenza, per ora, di accordi tra i due belligeranti. Per esempio a Khartoum il primo convoglio umanitario dall’inizio del conflitto, composto da 28 camion, una goccia nel mare del bisogno, è arrivato da Port Sudan il 25 dicembre, dopo che l’esercito aveva ripreso il controllo delle vie di comunicazione che collegano il porto alla città.

In Darfur, dove gran parte del territorio è controllato dalle RSF, gli aiuti di fatto non arrivano. I rari convogli che partono dal Ciad sono frequentemente razziati dai miliziani o confiscati dall’esercito, con la scusa che potrebbero nascondere armi.

Per quest’anno le agenzie dell’ONU hanno chiesto 4,2 miliardi di dollari per sostenere 21 milioni di persone in Sudan e 1,8 miliardi di dollari per i rifugiati nei paesi confinanti. L’anno scorso, alla fine di agosto, solo il 51% dei 2,7 miliardi richiesti era stato ricevuto.

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