Sudan e Sud Sudan: reciproche interferenze - Nigrizia
Conflitti e Terrorismo Sud Sudan Sudan
Alleanze transfrontaliere minacciano la stabilità regionale
Sudan e Sud Sudan: reciproche interferenze
I due paesi, strettamente interconnessi, si trovano davanti a snodi che potrebbero avere conseguenze anche oltre i confini
04 Aprile 2025
Articolo di Bruna Sironi (da Nairobi)
Tempo di lettura 6 minuti

Mentre in Sudan l’esercito nazionale è rientrato nella capitale Khartoum, controllata per quasi due anni dai miliziani delle RSF, a Juba il vicepresidente e capo dell’opposizione, firmatario insieme al presidente dell’accordo di pace del 2018 che ha messo ufficialmente fine alla guerra civile, è agli arresti domiciliari insieme alla moglie, ministra degli Interni.

I due paesi – strettamente interconnessi per legami e recriminazioni storiche, alleanze o rivalità politiche, amicizie o inimicizie personali – si trovano davanti a snodi che potrebbero avere conseguenze anche oltre i confini, dicono gli analisti politici dell’area, contribuendo ad aggravare problemi già molto seri nell’intera regione.

La riconquista di Khartoum, osservano, non può essere considerata come un avvio alla conclusione del conflitto, per diversi e validi motivi.

Il primo, e probabilmente il più importante, è la volontà politica. Nel discorso per la festa che mette fine al mese di Ramadan, alla fine di marzo, il generale al-Burhan, capo dell’esercito e della giunta militare che funge da governo del Sudan, ha usato parole durissime nei confronti delle RSF. «… non ci saranno negoziati o compromessi con coloro che hanno violato la santità del popolo sudanese … Le forze armate sudanesi … continueranno la loro battaglia per eliminare la ribellione e sconfiggere la milizia terrorista».

Le RSF hanno risposto minacciando una nuova campagna militare per prendere il controllo delle regioni settentrionali del paese.

Rappresaglie e massacri

Inoltre la ripresa del controllo di Khartoum si è concretizzata dopo mesi di un’avanzata nel Sudan centrale che non potrà non lasciare strascichi. Sono stati registrati, infatti, gravissimi episodi di rappresaglia contro i civili sia da parte dell’esercito che delle RSF.

Secondo organizzazioni per la difesa dei diritti umani, molti avrebbero i connotati di massacri su base etnica. Efferati alcuni episodi nello stato di El Gezira in cui l’esercito ha arrestato, torturato e assassinato civili sudsudanesi percepiti come sostenitori delle milizie in cui combattevano come mercenari alcuni loro concittadini.

Le immagini fatte circolare sui social media hanno scatenato dimostrazioni, decisamente poco pacifiche, a Juba, la capitale del Sud Sudan. Attaccati cittadini sudanesi e razziate diverse loro attività economiche.

Tra i sudsudanesi i massacri nello stato di Gezira non potevano non risvegliare antiche e radicate acrimonie, dovute ai rapporti interetnici di esclusione della gente del sud che sono stati alla base della continua instabilità del Sudan e della secessione del Sud, decisa con il referendum di autodeterminazione effettuato nel 2011.  

Alleanze transnazionali

Altro importante elemento da considerare è la nascita, a febbraio, di un’alleanza tra movimenti armati, i maggiori dei quali sono le RSF e l’SPLM/A-N di Abdel Aziz al Hilu, forze politiche e associazioni della società civile sudanese – 24 gruppi – per la formazione di un governo parallelo e alternativo alla giunta militare che funziona da governo del paese, che opera da Port Sudan fin dalle prime settimane del conflitto, nel 2023.

L’alleanza, fortemente voluta dalle RSF, già di fatto in ritirata verso il Darfur, loro regione di origine, ha suscitato molte critiche perché considerata come un pericolo per l’unità del paese e come una complicazione in futuri negoziati di pace.

Per il Sud Sudan, l’accordo tra le RSF e il gruppo di Abdel Aziz al-Hilu, che controlla da anni i Monti Nuba nel Sud Kordofan e vasti territori nel Blue Nile, significa un confine che corre per 2mila chilometri, dal Darfur all’Etiopia, con ben poche interruzioni, al margine di zone controllate da forze militari amiche o potenzialmente tali.

Va considerato infatti che l’SPLM-N ha sempre goduto di un supporto logistico e politico speciale da parte del Sud Sudan. D’altra parte condividono una storia comune. L’SPLM-N è nato dall’SPLM, il partito al potere a Juba, al momento dell’indipendeza.

I governi sudanesi, compreso quello attuale, sono sempre stati convinti di questo speciale legame. Il generale al-Burhan ha recentemente dichiarato ad Al Jazeera: «Salva Kiir (il presidente del Sud Sudan, ndr) è sempre stato vicino all’SPLM-N».

Allo speciale rapporto con l’SPLM-N si aggiungerebbe ora anche quello con le RSF.

Un confine così lungo e “sicuro” apre possibilità di operazioni militari e di traffici più o meno legali infiniti che vanno a vantaggio di tutti gli interessati. Ma potrebbe essere anche un problema perché rende difficile ogni controllo.

La potenziale pericolosità della situazione è già apparsa evidente nei giorni scorsi, sul confine tra la regione sudsudanese dell’Upper Nile, zona di Nasir, e quella sudanese del Blu Nile.  

Nasir era in quei giorni in rivolta. Il White Army, una milizia locale formata da giovani nuer – gruppo etnico del vicepresidente Rieck Machar – aveva attaccato l’esercito nazionale, aveva occupato un suo avamposto e aveva preso il controllo della stessa cittadina di Nasir.

A Juba il governo aveva reagito con un giro di vite sull’opposizione, con arresti di suoi esponenti di rilievo nelle forze dell’ordine, nell’esercito e nel governo, compreso il vicepresidente, posto agli arresti domicialiari.

Il conflitto nell’Upper Nile e la modalità di risposta del governo di Juba ha fatto dire al partito di Machar, e anche a diversi osservatori, che l’accordo di pace del 2018 è ormai collassato. E questo indica la possibilità di un ritorno alla guerra civile o, come minimo, la necessità di rinegoziare i termini dei rapporti politici nel paese. Si tratta, comunque, di una situazione di grande fragilità.

Legami tra Juba e le RSF

Nella zona degli scontri e anche altrove, intanto, si verificavano episodi rivelatori. Secondo un documento del Consiglio di sicurezza, miliziani delle RSF si sarebbero ritirati in territorio sudsudanese e si sarebbero scontrati in diverse occasioni con uomini dell’SPLM-IO, il movimento di Machar. In uno degli scontri avrebbero fermato uomini del White Army in missione verso il confine, probabilmente allo scopo di ricevere armi dall’esercito sudanese.

Dunque si starebbe consolidando un’alleanza tra il governo di Juba e le RSF, e in un prossimo futuro il governo sudanese parallelo, che si potrebbe contrapporre a quella tra il governo di Port Sudan/Khartoum con l’opposizione sudsudanese.

Niente di nuovo per quest’area del mondo. Indebolire il vicino rafforzando la sua opposizione interna è un “gioco” popolare sui confini africani, e non solo.

Ma in questo momento sarebbe estremamente pericoloso sia per il Sudan che per il Sud Sudan.

I rischi di un conflitto regionale

Alan Boswell, esperto dell’International Crisis Group per i due paesi, ha dichiarato ad Al Jazeera: «Se il Sud Sudan crollasse, sarebbe molto difficile distinguere e separare la guerra in Sudan da quella in Sud Sudan». Con le conseguenze che si possono immaginare.

Nel conflitto potrebbero essere trascinati anche altri paesi dell’area. L’Uganda, che ha già dispiegato il suo esercito a difesa di Kiir e, in modo diverso, il Kenya, che ha ospitato quasi ufficialmente la nascita dell’alleanza guidata dalle RSF per la formazione di un governo sudanese alternativo all’attuale.   

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