
Nemmeno una settimana dopo la storica firma – il 31 agosto a Juba, in Sud Sudan – degli accordi di pace tra il governo transitorio e i principali gruppi armati attivi nel paese, il primo ministro sudanese porta a casa un altro successo diplomatico: un memorandum d’intesa sottoscritto da una delle due fazioni armate che non hanno preso parte ai negoziati, l’Splm-Nord di Abdel Aziz Adam al-Hilu.
Si tratta di un altro passo importante verso una completa pacificazione e democratizzazione del paese, ancor più significativo in quanto nella dichiarazione firmata il 3 settembre nella capitale etiopica Addis Abeba, il governo sudanese si impegna chiaramente a favore della creazione di uno stato laico, dopo trent’anni di regime islamista.
Da sempre è questa la pre-condizione imposta da al-Hilu per intavolare un dialogo e abbandonare la lotta armata, come ci racconta un nostro contatto a Khartoum, protetto da anonimato.
Nel documento si legge che “il Sudan è una società multirazziale, multietnica, multireligiosa e multiculturale” la cui “completa uguaglianza politica e sociale dev’essere garantita dalla legge”. Che “lo stato non stabilirà una religione ufficiale” e che “nessun cittadino potrà essere discriminato in base alla propria religione”.
“In Sudan dovrà essere instaurato uno stato democratico dove i diritti di tutti i cittadini siano garantiti”, si legge ancora, e “la Costituzione dovrà basarsi sul principio della ‘separazione tra religione e Stato’ in mancanza della quale deve essere rispettato il diritto all’autodeterminazione”.
Riguardo alle popolazioni dei Monti Nuba e del Blu Nile, queste “manterranno lo status quo che include l’auto protezione fino a quando gli accordi di sicurezza non saranno stati concordati dalle parti in conflitto e fino a quando la separazione tra religione e stato non sarà attuata”.
Le due parti hanno inoltre convenuto di istituire seminari di negoziazione informale per risolvere questioni ancora controverse.
Dalle trattative di pace resta fuori ancora il Slm, fazione di Abdel Waid al-Noor (che ha la sua roccaforte nella regione darfuriana del Jebel Marra) che per sedersi al tavolo chiede una completa stabilizzazione del Darfur con la risoluzione delle cause di instabilità e insicurezza.