Tanzania: un altro potenziale attacco ai maasai - Nigrizia
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La Maasai International Solidarity Alliance chiede la sospensione immediata di tutti i progetti di stoccaggio del carbonio al suolo
Tanzania: un altro potenziale attacco ai maasai
Nel nord del paese i maasai, che subiscono da decenni sfratti e accaparramenti di terra nel nome della conservazione della natura, ora rischiano ulteriori espropri a causa di nuovi progetti per la generazione di crediti di carbonio che hanno preso di mira le loro terre
20 Marzo 2025
Articolo di Bruna Sironi (da Nairobi)
Tempo di lettura 6 minuti
Giovani maasai nel Serengeti National Park, Tanzania (Credit: William Barby/Flickr/CC BY 2.0)

Il mercato dei crediti di carbonio è l’ennesimo attacco ai maasai, al diritto di usare la loro terra secondo una tradizione consolidata che ha favorito rapporti pacifici tra i diversi gruppi e ha permesso la sopravvivenza anche in condizioni climatiche sfavorevoli.

Lo afferma un rapporto preparato e diffuso nei giorni scorsi dalla Maasai International Solidarity Alliance (MISA), una rete internazionale formata da organizzazioni confessionali, per la protezione dei diritti umani, per l’aiuto di emergenza e per lo sviluppo, così come da gruppi di base, attivisti, ricercatori e avvocati che rappresentano i maasai in diversi casi che riguardano il loro diritto alla terra.

Molte le sigle, parecchie molto conosciute nel mondo della solidarietà internazionale, come Misereor, la “caritas” tedesca, che hanno cominciato a lavorare insieme per la difesa dei diritti delle popolazioni masaai del nord della Tanzania, in occasione degli sgombri forzati dalla zona di Loliondo. L’elenco degli aderenti alla rete si trova in calce al rapporto citato.

Il rapporto, intitolato: Soil carbon credits: another wave of land alienation in northern Tanzania?” (Crediti di carbonio dal suolo: un’altra ondata di espropri di terreno nella Tanzania settentrionale?) si interroga su due progetti per il mercato dei crediti di carbonio in due zone di territorio maasai.

I progetti prevedono che il carbonio sia intrappolato al suolo in vasti appezzamenti di terreno utilizzato per il pascolo. Si tratta precisamente dei progetti: The Longido and Monduli rangelands carbon project (Il progetto per crediti di carbonio sul terreno da pascolo di Longido e Monduli), sviluppato da Soils for the Future Tanzania Ldt e finanziato da Volkswagen Climate Partners; e RTEP, The resilient Tarangire ecosystem project (Progetto per rendere resiliente l’ecosistema di Tarangire), dell’organizzazione internazionale The Nature Conservancy (TNC) che opera nei distretti di Longido, Monduli e Simanjiro.

I due progetti non sono ancora operativi.

Precedente kenyano

Per quanto riguarda il primo, è interessante notare che Soil for the Future è una società a responsabilità limitata che si propone di riabilitare in Tanzania i terreni di pascolo degradati e l’ecosistema della savana mediante una partnership strategica con i gruppi etnici di allevatori.

La società opera anche in altri paesi africani, con il nome di Soils for the Future, Africa. In Kenya è coinvolta in un progetto per i crediti di carbonio della Northern Rangeland Trust (NRT), indagato da Survival International nel rapporto Blood Carbon: how a carbon offset scheme makes millions from indigenous land in northern Kenya (Carbonio insanguinato: come uno schema per i crediti di carbonio produce milioni dalle terre indigene del nord del Kenya).

Il rapporto documenta in modo approfondito che lo schema danneggia i diritti alla terra e l’economia dei gruppi di allevatori senza dare nessuna certezza che, grazie al progetto, venga intrappolato carbonio aggiuntivo.

Inoltre viene contestata la metodologia di coinvolgimento della popolazione che vive tradizionalmente sui territori interessati. Recentemente un tribunale kenyano, precisamente quello di Isiolo, ha condannato i progetti della NRT in due zone sotto la sua giurisdizione e li ha sospesi.

Soisl for the Future adotta gli stessi metodi anche nel suo progetto in Tanzania.

La voce delle donne

Il rapporto della MISA è stato presentato in una conferenza online tenutasi il 13 marzo. I relatori, tutti maasai, hanno messo in particolare evidenza tre tipi di problemi: il consenso informato che dovrebbe essere alla base del coinvolgimento della popolazione locale nelle azioni previste; l’impatto sull’economia tradizionale; i contratti, basati su una legislazione fragile e frammentaria che rischiano di diventare un capestro per la popolazione locale.

Nai, una giovane donna maasai vestita con il costume tradizionale, sottolinea che non solo le donne dei villaggi interessati, ma perfino i funzionari governativi locali hanno pochissime informazioni sui progetti che dovrebbero partire prossimamente. Questo fa nascere il sospetto che loro, i custodi della terra, potrebbero essere espropriati dei loro diritti, dopo che, nel passato, sono già stati vittime di land grabbing.

Stesso timore esprime Timan Tina, una combattiva donna anziana che dice di aver paura per il futuro. Ha il sentore che il diritto all’uso della terra sarà limitato tanto da precipitare il gruppo nella povertà, mentre altri si arricchirebbero per la vendita dei crediti di carbonio originati sulla loro pelle.

Mette in evidenza anche l’impatto sulle donne. Se la pastorizia non fosse più praticabile in modo redditizio, gli uomini emigrerebbero in cerca di nuovi lavori e le donne resterebbero al villaggio, praticamente senza mezzi di sostentamento.

Rischio conflitti

In gioco c’è infatti il tradizionale modo di vivere degli allevatori maasai, la loro mobilità, dice Saitoti Parmelo. Il progetto prevede la divisione in lotti del terreno di pascolo e la rotazione mensile delle mandrie dall’uno all’altro. Ma che succederà nei periodi di siccità? Il progetto distrugge i fondamenti dell’allevamento tradizionale su cui si basa la sopravvivenza della comunità.

Potrebbe anche innescare conflitti tra i vari gruppi perché scoraggia, anzi impedisce, la condivisione dei pascoli nei momenti di crisi, altra pratica tradizionale delle popolazioni pastorali della zona.

Yonas Masiaya, avvocato, commenta, invece, diversi problemi evidenziati nei contratti. Innanzitutto la durata. 30 anni, mentre nella zona i gruppi maasai ridistribuiscono le terre ogni 10 anni. Il gap rischia di creare un conflitto di interessi con tensioni e scontri tra i vari gruppi coinvolti nel progetto. Inoltre, aggiunge, non ci sono clausole che proteggano il diritto alla terra in futuro.

Obiettivi del MISA

Nella conferenza stampa sono dunque emersi diversi importanti problemi che rendono i due interventi non graditi alle comunità rappresentate dalla MISA che si pongono un primo obiettivo: fermarli, almeno per il momento.

Precisamente la MISA chiede un periodo di moratoria di 5 anni per i progetti sui crediti di carbonio nella zona, intanto che si informa e si educa la popolazione e si costruisce un quadro legale, internazionale e locale, che garantisca i diritti delle popolazioni pastorali che vivono sui territori eventualmente interessati da simili progetti.

Ma alcuni dei maasai presenti alla conferenza stampa esprimono dubbi sul fondamento stesso di quei progetti. “Cercare la soluzione ai cambiamenti climatici nei crediti di carbonio è completamente falso” dice un giovane in modo perentorio. Molti attivisti e parecchi esperti potrebbero certamente sottoscrivere la dichiarazione.

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