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Politica e Società Uganda
Il generale Muhoozi Kainerugaba ottiene così una posizione ideale per una futura successione al potere
Uganda: Museveni nomina il figlio capo dell’esercito
22 Marzo 2024
Articolo di Redazione
Tempo di lettura 2 minuti
Il presidente Yoweri Museveni (a sinistra) e il figlio, generale Muhoozi Kainerugaba

Nell’ambito di un rimpasto di governo che ha visto il riposizionamento di cinque ministri, ieri il presidente dell’Uganda Yoweri Museveni ha nominato suo figlio, generale Muhoozi Kainerugaba, comandante dell’esercito (Uganda People’s Defence Forces – UPDF), in sostituzione del generale Wilson Mbasu Mbadi, diventato ministro aggiunto per il Commercio.

Una promozione per il 49enne primogenito che lo stesso padre aveva rimosso dalla carica di comandante delle forze di terra dell’esercito nell’ottobre del 2022, in seguito a una serie di infelici dichiarazioni postate sui social media che avevano rischiato di far scoppiare incidenti diplomatici con il vicino Kenya (che aveva minacciato di invadere) e con l’Italia (per un tweet su Giorgia Meloni).

Kainerugaba da allora aveva ricoperto il ruolo di consigliere presidenziale senior, responsabile delle operazioni speciali.

Ora, grazie alla recente introduzione (il 17 febbraio) dell’UPDF Establishment 2021, uno strumento che delega il comando, il controllo e l’amministrazione dell’esercito al capo delle forze armate, il generale ottiene il comando di tutti gli elementi delle forze di difesa ugandesi.

Una mossa che alimenta le speculazioni sulla futura successione al padre – 79 anni, salito al potere con un golpe militare nel 1986 e in seguito rieletto per ben sei volte – alle prossime elezioni, in programma nel 2026. Speculazioni peraltro avvallate dallo stesso Kainerugaba che in un tweet subito rimosso un anno fa aveva dichiarato la sua volontà di candidarsi alla presidenza.

E poco importa se entrambi, padre e figlio, siano accusati di crimini contro l’umanità dalla Corte penale internazionale per l’incarcerazione, le torture e l’abuso sistematico di oppositori durante mesi di sanguinose repressioni che hanno preceduto e seguito il voto del 2021.

La corsa alla successione del controverso generale sembra peraltro essere già cominciata con la creazione di un gruppo a suo sostegno, la Lega Patriottica dell’Uganda (PLU), e con una serie di affollati raduni da lui organizzati in tutto il paese, in violazione della legge che vieta agli ufficiali dell’esercito in servizio di impegnarsi in politica.  

Saranno proprio esercito e intelligence – dove alleati del generale sono strategicamente schierati in posizioni di comando -, secondo alcuni analisti, ad avere il maggior peso nella scelta della successione al potere, visto che nel suo partito, il Movimento di Resistenza Nazionale (NRM), Museveni non ha potenziali rivali.

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Congo (Rep. dem.) Nazioni Unite Rep. Centrafricana
758 denunce nel 2023 ai danni di staff e affiliati, il 90% di queste nelle missioni nella Repubblica democratica del Congo e nella Repubblica Centrafricana
Nazioni Unite: non si fermano le denunce di abusi sessuali
28 Marzo 2024
Articolo di Redazione
Tempo di lettura 2 minuti

Nello staff delle Nazioni Unite c’è un problema importante di abusi sessuali. 

A rivelarlo è la ONU stessa: come riportato nel loro ultimo report sull’argomento, solo nel 2023 ci sono state 758 denunce ai danni di personale dello staff, personale affiliato e partner, il 90% di queste nella Repubblica Centrafricana e Repubblica democratica del Congo. 

Nonostante l’impegno per contrastare il fenomeno, dal 2017 non sono stati fatti progressi significativi. Anzi, c’è stato un significativo peggioramento: l’anno scorso le denunce erano state 534 e nel 2018 265. 

Il numero rimane vertiginoso anche se si considera che nel 2023 quasi la metà delle denunce non riguardava personale interno ma partner affiliati e forze militari al di fuori dell’autorità delle Nazioni Unite. 

A incidere, secondo lo studio, anche l’aumento senza precedenti di crisi globali e la difficoltà da parte delle Nazioni Unite di reperire i fondi necessari per occuparsi adeguatamente della questione, soprattutto nelle zone più nevralgiche da un punto di vista umanitario e della sicurezza. 

Ad accompagnare il report, un videomessaggio del Segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, che ha dichiarato che lo sfruttamento sessuale e gli abusi vanno contro tutto ciò che le Nazioni Unite rappresentano e che si tratta di una piaga che cercheranno di estirpare a tutti i costi.

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Mozambico Podcast Sudafrica
Altri Temi: Mozambico, meno soldi dalle banche a gas e petrolio, ma richiesta di gas aumenta
Africa Oggi podcast / Il Sudafrica in crisi in vista delle elezioni
28 Marzo 2024
Articolo di Luca Delponte
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Cyril Ramaphosa al Cremlino il 26 luglio 2018 (Credit: Presidenza della Federazione Russa/Wikimedia Commons/CC BY 4.0 DEED)
  • Ramaphosa, dopo sei anni di mandato consegna un Sudafrica in piena crisi – economica e di governance – e il 29 maggio si vota. Da Johannesburg, l’analisi di Efrem Tresoldi, già direttore di Nigrizia.
  • Mozambico, meno soldi dalle banche a gas e petrolio, ma richiesta di gas è in aumento. Di Gianni Ballarini

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Politica e Società Senegal
Per Bassirou Diomaye Faye è il momento delle celebrazioni. Finiti i festeggiamenti, dovrà far fronte ad un deficit di fiducia esterna, in quanto outsider e inesperto. E dovrà sapersi posizionare in un quadro politico regionale in rapido e burrascoso mutamento
Senegal, sfide post-epopea
27 Marzo 2024
Articolo di Roberto Valussi
Tempo di lettura 1 minuti

Breve riassunto di chi è Bassirou Diomaye Faye, neo-eletto presidente del Senegal, e di alcuni delle sfide che lo attendono.

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Politica e Società Sudafrica
L'ANC non riesce a bloccare la candidatura dell'MK, il partito di fatto guidato dall'ex presidente
Il Sudafrica al voto e il déjà-vu Jacob Zuma
Redivivo, non potrebbe candidarsi secondo l'ordinamento sudafricano. Ma il caos che produce già orienta il dibattito
27 Marzo 2024
Articolo di Brando Ricci
Tempo di lettura 6 minuti
L'allora presidente Zuma a una riunione dei BRICS nel 2015. Foto dal sito della presidenza russa

Mancano due mesi alle prossime elezioni generali del Sudafrica, fissate per il 29 maggio, e l’ex presidente Jacob Zuma è di nuovo al centro del dibattito politico. Questo nonostante l’opposizione sperticata che gli sta muovendo contro il suo ormai ex partito, l’African National Congress (ANC) che guida il paese da 30 anni. E soprattutto nonostante l’ordinamento sudafricano gli impedisca piuttosto chiaramente di puntare alla presidenza come invece pare proprio che stia facendo.

Per capire cosa succede e cosa c’è in gioco occorre fare una serie di passi indietro. Si può partire dalla fine. Ieri la Corte elettorale sudafricana ha respinto la richiesta dell’ANC di bloccare la candidatura alle elezioni dell’uMkontho we Siwze (MK), un partito registrato lo scorso settembre e di cui Zuma è diventato alcuni mesi dopo il leader de facto. Secondo i giudici sudafricani, le procedure seguite dall’MK e dalla Commissione elettorale del Sudafrica per registrare le liste del movimento alle prossime elezioni sono legittime, a differenza di quanto sostenuto dalla forza al governo.

L’esito del verdetto è stato celebrato da sostenitori del partito dell’opposizione, radunati fuori dal tribunale di Johannesburg dove si è svolto il procedimento.  La portavoce dell’African National Congress, Mahlengi Bhengu-Motsiri, ha affermato che il suo partito rispetta la decisione dei magistrati e che non è contrario alla presenza dell’MK al voto, ma pretende comunque che vengano rispettate «la giustizia e la legalità». 

La svolta di dicembre 

Zuma, classe 1942, alla guida del paese per due mandati fra il 2009 e il 2018, si è aggiunto alle file dell’MK lo scorso dicembre, dopo aver reso noto a sorpresa di non voler sostenere l’ANC alla successiva tornata elettorale. L’ex presidente è stato poi formalmente espulso dal partito il mese successivo. I retroscena dietro la decisione di Zuma sono numerosi.

Basti sapere che il suo voltafaccia è l’ultimo di una serie di tensioni con l’attuale leadership del suo ex partito, il presidente Cyril Ramaphosa, già suo vice presidente. Il capo di stato gli è succeduto dopo che questo era stato costretto alle dimissioni per il suo coinvolgimento in un gigantesco sistema di corruzione che per la sua capillarità si è guadagnato il nome di State Capture, traducibile come sequestro dello stato.

Ma il sostegno di Zuma all’MK porta con sé una storia ancora più lunga e articolata. uMkontho we Siwze, “lancia della nazione” in lingua xhosa, non è un nome nuovo nella storia sudafricana: si chiamava così il braccio paramilitare dell’ANC quando quest’ultimo era il principale promotore della lotta di liberazione contro l’apartheid. Il movimento è stato fondato dall’ex presidente Nelson Mandela e da altri compagni di lotta nel 1961, sulla scia di anni di violenze e abusi e soprattutto dello sdegno provocato dalla strage di Sharpeville. Con questo nome si ricorda l’uccisione di 69 manifestanti anti-apartheid, ammazzati dalla polizia durante una marcia il 21 marzo 1960.

Contesa sui simboli (o sul consenso?)

L’ANC ha fin da subito criticato la scelta di battezzare una nuova formazione politica con questo nome e ha più volte chiesto a chi guida il partito di cambiare dicitura. Si sono mostrati della stessa linea anche le maggiori associazioni di rappresentanza dei veterani dell’antico gruppo armato- nonostante alcuni ex membri del primo MK siano poi entrati nel nuovo partito – che hanno anche accusato Zuma e soci di manipolare la memoria del movimento per fini elettorali. L’ANC si è rivolto all’Alta corte di Durban per costringere l’MK a rinunciare a nome e logo della vecchia ala paramilitare sulla base di un’accusa di violazione di copyright.

L’inizio del processo è previsto per oggi 27 marzo. Secondo l’avvocato del partito di governo, Gavion Marriot, «nella mente dei sudafricani c’è un legame inscindibile fra l’ANC e l’uMkonto we Sizwe». Gli esponenti dell’MK sostengono invece che simbolo e logo non siano mai stati registrati formalmente e che la formazione che guida il paese abbia solo timore della minaccia rappresenta dal partito alle urne.

Paure che hanno trovato un primo riscontro nei dati. Una ricerca condotta a febbraio dal think-tank locale Social Research Foundation ha mostrato che l’MK potrebbe addirittura dimezzare il sostegno all’ANC nella provincia del KwaZulu-Natal, terra di origine di Zuma, tradizionale roccaforte dei suoi sostenitori nonché seconda provincia del paese per numero di elettori registrati.

Secondo questo sondaggio, basato su interviste a oltre 800 persone, la nuova formazione potrebbe addirittura finire per essere il secondo partito della regione, ottenendo il 24% dei voti contro il 25% del partito di governo, che in questa stessa area ha ottenuto il 54% dei consensi all’ultimo voto del 2019. Una dinamica in linea con quanto si riscontra in tutto il paese. Per la prima volta dal ritorno alla democrazia l’ANC rischia seriamente di scendere sotto il 50% dei consensi stando a diverse rilevazioni concordanti.

Strada sbarrata, almeno in teoria 

Calcoli prematuri però,  ma soprattutto inutili, per quanto riguarda il destino di Zuma. Almeno se si prende in considerazione quello che stabilisce l’ordinamento sudafricano. L’ex presidente, principale catalizzatore di consenso in un partito composto altrimenti da figure poco note, non potrebbe infatti neanche candidarsi. Principalmente per una ragione: l’ex leader infrange una delle condizioni per poter essere eletto all’Assemblea Nazionale in quanto ha subito una condanna a più di 12 mesi di prigione. L’ex capo di stato è stato infatti condannato a 15 mesi di carcere nel 2021 per non essersi presentato alle udienze della Commissione Zondo, l’ente da lui stesso istituito per far luce sul sistema di corruzione già citato, noto col nome di State Capture.

Per ora l’MK sembra ignorare queste disposizioni. Il nome di Zuma è il primo della lista dei candidati presentati dal partito a inizio mese. Il documento verrà approvata ufficialmente nei prossimi giorni, dopo che la Commissione elettorale avrà preso in esame le obiezioni che la cittadinanza ha il diritto di presentare fino a domani. La retorica degli esponenti del partito a riguardo è stata fino a oggi piuttosto aggressiva.

Il presidente ufficiale dell’MK Jabulani Khumalo, è stato lapidario: «Da oltre 20 anni i media stanno tentando di mettere Zuma in prigione, ma hanno fallito perché è un uomo semplice. Zuma sarà il presidente, che gli piaccia o no». E nei giorni scorsi esponenti del partito erano andati anche oltre, minacciando violenze nel caso in cui la Commissione elettorale avesse precluso la partecipazione al voto di maggio all’MK.

Il timore di violenze 

Minacce che vengono prese molto sul serio in Sudafrica. Nel 2021, l’arresto di Zuma fece da detonatore a giorni di violenze e saccheggi in cui morirono circa 300 persone. Le rivolte, va notato, si verificarono in un contesto anche esasperato dalla crisi socio-economica scatenata dalla pandemia di Covid-19.

Non è quindi ancora possibile capire se Zuma potrà o meno partecipare al voto. È lecito chiedersi che tipo di informazioni riceveranno in merito i cittadini sudafricani. Stando a un report del centro locale di monitoraggio dei social media Centre for Analytics and Behavioural Change (CABC), nelle ultime settimane profili riconducibili all’MK hanno diffuso notizie false o disinformazione su vari argomenti, e in modo particolare con l’obiettivo di screditare la Commissione elettorale.

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