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Migrazioni Rwanda
Incontro a Londra tra Rishi Sunak e Paul Kagame, mentre il disegno di legge per l'accordo è atteso alla camera dei Comuni lunedì
Patto Regno Unito-Rwanda: futuro sempre più incerto
10 Aprile 2024
Articolo di Redazione
Tempo di lettura 2 minuti

Per il Regno Unito, continuano gli ostacoli al piano di deportazione dei richiedenti asilo in Rwanda. Nonostante l’ostentato ottimismo delle dichiarazioni di Paul Kagame e Rishi Sunak dopo il loro incontro di ieri a Londra, l’esito di questa storia si fa sempre più opaco. 

Il prossimo lunedì è atteso alla Camera dei Comuni il disegno di legge necessario a rendere attuabile l’accordo, fermato precedentemente dalla Corte Suprema, per via dei rischi corsi dai richiedenti asilo in un paese come il Rwanda, dove i diritti umani non vengono garantiti. Sunak aveva però annunciato di non volersi fermare di fronte a nulla e un nuovo disegno di legge è stato preparato ad hoc per aggirare il provvedimento. 

Già passato alla Camera dei Comuni, è stato però fermato alla Camera dei Lord e ora deve tornare indietro per la revisione di alcuni articoli. 

Nel frattempo, emergono nuove perplessità. Per esempio, Sunak e Kagame insistono sulla partenza del primo volo di richiedenti asilo entro questa primavera. Ma ancora pare non sia stata trovata una compagnia aerea disposta a farlo. Non solo: pare che Kagame non sia stato proprio con le mani mano in questi due anni di attesa. Alcuni rapporti hanno anche affermato che le proprietà a Kigali destinate al programma in fase di stallo sono state nel frattempo vendute ad altri acquirenti locali. Il Times sostiene che il 70% delle 163 proprietà della capitale ruandese sono state acquistate, il che significa che ci sarebbe spazio solo per appena qualche decina di persone. Non certo le “decine di migliaia” che aveva promesso Boris Johnson agli albori dell’accordo due anni fa.  

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Ambiente Pace e Diritti
A chiederlo sono decine di organizzazioni preoccupate per i danni ambientali e alle popolazioni locali
Nigeria: Shell bonifichi le sue infrastrutture petrolifere prima di venderle
18 Aprile 2024
Articolo di Nigeria: Shell bonifichi le sue infrastrutture petrolifere prima di venderle
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(Credit: Friends of the Earth Europe)

La Shell non deve cedere le proprie strutture petrolifere in Nigeria senza avere prima effettuato una valutazione dell’inquinamento ambientale causato, provveduto a finanziarne la bonifica e pienamente consultato le comunità locali coinvolte.

A sostenerlo è un gruppo di 40 organizzazioni ambientali e per i diritti – tra cui Amnesty International, Friends of the Earth e l’italiana ReCommon – firmatarie di una lettera aperta all’autorità di regolamentazione dell’industria nigeriana (Nigerian Upstream Petroleum Regulatory Commission – NUPRC), nella quale chiedono al governo di bloccare la vendita delle attività petrolifere onshore di Shell nella regione meridionale del Delta del Niger – uno dei territori più inquinati del pianeta -, dove da molti decenni lo sfruttamento petrolifero causa gravi violazioni dei diritti umani e immensi danni ambientali.

“Le frequenti perdite di petrolio dalle infrastrutture e le pratiche inadeguate di manutenzione e pulizia hanno lasciato contaminate le acque sotterranee e le fonti di acqua potabile, avvelenato i terreni agricoli e la pesca e danneggiato gravemente la salute e i mezzi di sussistenza degli abitanti”, ha affermato Olanrewaju Suraju, presidente di Human and Environmental Development Agenda (HEDA).

“C’è ora un rischio sostanziale che la Shell si ritiri con miliardi di dollari dalla vendita di questa attività, abbandonando coloro che sono già danneggiati e affrontano continui abusi e danni alla salute… Non si deve permettere alla Shell di sottrarsi alle proprie responsabilità di ripulire e porre rimedio al diffuso retaggio di inquinamento nell’area”.

Il 16 gennaio Shell ha annunciato di aver raggiunto un accordo per vendere la sua controllata onshore nigeriana Shell Petroleum Development Company (SPDC) a Renaissance African Energy, un consorzio formato da quattro società di esplorazione e produzione con sede in Nigeria e da un gruppo energetico internazionale. Un’operazione del valore di 2,4 miliardi di dollari che deve essere approvata dal governo.

Ma, sostengono i firmatari dell’appello, il consorzio acquirente non ha i mezzi per far fronte agli ingenti investimenti necessari per ammodernare le infrastrutture obsolete che presentano perdite e per metterle in sicurezza, smaltrendo le parti dismesse.

“Renaissance è una nuova società. Non ha una storia finanziaria e ci sono poche informazioni disponibili di dominio pubblico sui dati finanziari di una qualsiasi delle società che compongono il consorzio” si legge. “Le dichiarazioni di Renaissance sono tutt’altro che rassicuranti”, in quanto “il consorzio precisa di avere una base patrimoniale di oltre 3 miliardi di dollari”.

Mentre la bonifica, nel solo stato di Bayelsa, stima la Commissione locale, costerebbe circa 4,2 miliardi di dollari.

Nella lettera si fa notare inoltre che il consorzio ha chiesto assistenza finanziaria alla Shell per l’acquisizione di SPDC, sotto forma di prestiti a termine fino a 1,2 miliardi di dollari. Un’ulteriore indicazione che “Renaissance non ha la forza finanziaria per affrontare una simile impresa” e che queste passività “potrebbero rendere la società insolvente”.

I firmatari ricordano un precedente simile, quando nel 2010 la Shell vendette la Oil Mining Lease 26 (OML 26) alla First Hydrocarbon Nigeria, società che fu poi messa in liquidazione, con l’amministratore delegato e il direttore operativo condannati nel Regno Unito per frode.

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Migrazioni Pace e Diritti Politica e Società
Dossier del Tavolo Asilo e Immigrazione su ispezione negli otto Centri di permanenza e rimpatrio
500 vite rinchiuse nei CPR tra psicofarmaci e violazione dei diritti
18 Aprile 2024
Articolo di Redazione
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Il CPR di Gradisca

«Luoghi di vera a propria “detenzione” in cui le persone sono “detenute” senza aver commesso alcun reato e con l’unico scopo – per lo più irrealizzabile, di fatto e di diritto, e irrealizzato – di essere rimpatriate, mentre non vedono garantiti i diritti previsti per i detenuti nelle carceri italiane».

È questa la definizione data degli 8 CPR (Centri di permanenza e rimpatrio) che il Tavolo Asilo e Immigrazione, composto da oltre 40 organizzazioni della società civile italiana, ha visitato. «In questi luoghi – si legge nel report, dove si trovano numeri e descrizioni delle situazioni riscontrate – i diritti fondamentali delle persone vengono calpestati quotidianamente. Le persone sono abbandonate a sé stesse, poco o per niente informate sui loro diritti e sul loro futuro.

Allo stato di abbandono si affianca “un abuso intollerabile di psicofarmaci”, la negazione del diritto alla difesa, praticamente impossibile, o gestito in maniera disomogenea e comunque arbitraria. Sembrerebbe non esserci niente di nuovo sotto questo sole che illumina ancora una volta queste carceri legalizzate dove da oltre 25 anni si consumano violazioni dei diritti aggravate dal fatto che nessuno degli scopi per le quali sono state pensate dall’oramai lontanissimo Testo Unico sull’Immigrazione del 1998 viene raggiunto.

Accanto al Tavolo, i parlamentari e consiglieri regionali delle forze di opposizione del governo attuale, forze che comunque non hanno mai provveduto a cambiar rotta rispetto a una stabilizzazione di questo sistema di contenimento delle persone migranti.

Sistema che, lo ricorda il report, ha all’attivo uno spreco di denaro pubblico, più di 40 morti da quando è stato istituito, violenze sistematiche e denunce di atti di autolesionismo e tentativi di suicidio da parte delle persone rinchiuse senza aver commesso alcun reato.

Il Tavolo è riuscito ad accedere nella maggior parte dei casi (due i centri in cui si è verificato ostruzionismo) nei centri. Questo ha dato la possibilità di raccogliere dati quantitativi e di rilevare aspetti qualitativi rispetto sia alle strutture che alle condizioni di trattenimento delle persone. Questi “luoghi-non-luoghi” dove si trovano «celle stipate di persone, dove il tempo non passa mai, situati per lo più lontano dalla vista dei cittadini comuni».

Più di 500 le persone “ospiti/detenute”, in gran parte uomini, di provenienza varia, per lo più nordafricana (Tunisia, Marocco, Algeria, Egitto) e subsahariana (Nigeria, Gambia), che arriva dal carcere, dalla strada, ma anche dagli sbarchi. Diversi i richiedenti asilo che per legge non dovrebbero trovarsi lì. Tanto spaesamento, estraneazioni; in diversi prendono farmaci senza saperne il motivo e vengono somministrati psicofarmaci in maniera massiccia.

Davanti a questo quadro, nel centenario della nascita di Franco Basaglia, il tavolo sottolinea come colpisca «constatare che esistano istituzioni totali così disumanizzanti in piena Europa».

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Arena di Pace 2024 Armi, Conflitti e Terrorismo Banche armate Pace e Diritti Politica e Società
Il 17 aprile a Roma le 80 realtà promotrici della campagna a difesa della misura che permette di monitorare l'export di armamenti
La sicurezza passa dai diritti, non dalle armi. Proteggiamo la legge 185
La Camera sta discutendo un progetto di norma che rischia di indebolire questo importante presidio di democrazia e pace
17 Aprile 2024
Articolo di Redazione
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L'incontro di oggi a Roma, Foto dalla pagina Facebook Servizio Civile e Pace - Comunità Papa Giovanni XXIII

Gli esponenti di oltre 80 organizzazioni della società civile italiana si sono ritrovati oggi presso la sede di Libera a Roma per rilanciare la mobilitazione in difesa della legge 185 del 1990 che disciplina il commercio e l’export di armi italiane. Questa legge – che aveva posto l’Italia all’avanguardia nel panorama europeo – è oggi oggetto di una radicale proposta di revisione avanzata dal Governo che mira a eliminare i principali presidi di trasparenza e di controllo parlamentare sulla produzione e sull’export di armi italiane verso il resto del mondo. Le modifiche sono già state approvate dal Senato e sono ora all’esame della Camera.

«Non esiste pace senza disarmo. Alla cattiva politica, quella che vuole togliere una serie di pilastri fondamentali di trasparenza, si può rispondere assumendoci più responsabilità – ha detto Don Luigi Ciotti – Nel mondo oggi ci sono 59 guerre; c’è una follia distruttiva. Bisogna ribadire con forza che il diritto alla sicurezza che tutti reclamano deve essere soprattutto sicurezza dei diritti, intesa come libertà, dignità e la vita delle persone. Non dimentichiamo che il mercato delle armi è il più soggetto a fenomeni di corruzione e che dove ci sono le guerre, le mafie fanno affari mentre il traffico delle droghe e delle armi vanno sempre a braccetto».

Don Ciotti ha concluso citando Papa Francesco: «Tutti i conflitti nuovi pongono in rilievo le conseguenze letali di una continua rincorsa alla produzione di sempre più sofisticati armamenti, talvolta giustificate adducendo il motivo che se una pace oggi è possibile non può essere che la pace fondata sull’equilibrio delle forze. Occorre scardinare tale logica e proseguire sulla strada del disarmo integrale».

La petizione 

Padre Alex Zanotelli ha ribadito che: «Siamo prigionieri del complesso industriale militare» citando i dati relativi alle spese militari in continua crescita rispetto negli ultimi anni e che, di conseguenza, hanno fatto notevolmente aumentare anche il commercio internazionale di armi (+86% per l’Italia negli ultimi cinque anni).

Teresa Masciopinto, presidente di Fondazione Finanza Etica, a nome del Gruppo Banca Etica ha ricordato come le modifiche alla legge 185 mirino anche a cancellare la possibilità di sapere quali banche finanziano la produzione e l’export di armi, mentre Francesco Vignarca di Rete Italiana Pace e Disarmo ha ricordato che la legge 185 è nata 34 anni fa da una forte mobilitazione delle reti della società civile che oggi si stanno riattivando per difenderla e come le modifiche proposte alla legge non porteranno maggiore sicurezza.
Francesca Rispoli di Libera ha infine ricordato che un primo passo per difendere la legge è firmare la petizione disponibile sul sito qui.  

A sostegno della mobilitazione “Basta favori ai mercanti di armi!” sono intervenuti all’evento di questa mattina a Roma anche Raul Caruso, professore di Economia Internazionale presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano; Riccardo Noury, portavoce Amnesty International Italia; Alfio Nicotra, co-presidente Un ponte per e Consiglio nazionale AOI; Greta Barbolini, presidenza nazionale ARCI; Vincenzo Larosa, delegato dalla presidenza Azione Cattolica; Stefano Regio, presidente Federazione Lazio CNCA; Laura Milani, presidente CNESC e Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII; Gabriele Verginelli, per Legacoop; Emilia Romano, presidente Oxfam Italia, don Tonio dell’Olio, presidente Pro Civitate Christiana; Pierangelo Milesi, delegato Pace della Presidenza ACLI; Giuseppe Daconto, Centro Studi di Confcooperative; Maximilian Ciantelli, presidente Mani Tese Firenze; Alfredo Scognamiglio, del Movimento dei Focolari Italia; Maurizio Simoncelli, vicepresidente di Archivio Disarmo. Sono intervenuti anche i deputati Laura Boldrini (PD) e Riccardo Ricciardi (M5S) che hanno illustrato gli emendamenti presentati dall’opposizione alle proposte di modifica di legge.

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Migrazioni Politica e Società Tunisia Unione Europea
La presidente del Consiglio in Tunisia per la quarta volta in meno di un anno. Tra accordi e appelli, danaro e motovedette
Meloni da Saied per fermare i migranti
17 Aprile 2024
Articolo di Redazione
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Quattro visite in meno di un anno. Ma anche quella odierna ha lo stesso scopo delle precedenti: rafforzare gli accordi che si hanno con la Tunisia, soprattutto nella gestione dei flussi migratori, e rincuorare della presa in carico delle istanze di sollecito di quei 900 milioni di euro che il paese non ha ancora visto dall’Europa.

Così per prima cosa, in un incontro durato all’incirca un’ora, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, ha ribadito il suo grazie «alle autorità tunisine e al presidente Saied per il lavoro che cerchiamo di portare avanti insieme contro i trafficanti di esseri umani».

Insieme, vista la rivendicazione da parte di Kais Saied, a dicembre dello scorso anno, di aver bloccato 70mila persone migranti intercettate nel 2023 mentre tentavano di attraversare il Mediterraneo per arrivare in Italia; e tenuto conto della prevista consegna di sei motovedette in regalo dall’Italia, che ripete con lo stato nordafricano il modello di patto con la Libia.

Regalo costoso (4 milioni e 800mila euro) oggetto di contestazione da parte di Asgi,  Arci, ActionAid, Mediterranea, Spazi Circolari e Le Carbet, che hanno impugnato il finanziamento deciso dal ministero dell’Interno, attraverso un’istanza cautelare di fronte al Tar del Lazio, che ha già calendarizzato un’udienza a proposito per il prossimo 30 aprile.

Azione che si aggiunge a quella portata avanti da 36 organizzazioni della società civile tunisina, tra cui il Forum tunisien pour les droits economiques et sociaux, Avocats Sans Frontières e Migreurop, che fanno notare come, a poco più di un anno dal discorso razzista del presidente Saied, la violenza e gli abusi continuino a essere sistematici da parte delle autorità tunisine contro le persone provenienti dall’Africa subsahariana.

Gravi e sistematiche violazioni dei diritti umani che rimangono impunite e sembrano essere invisibili agli occhi di un’Italia che fa accordi e un’Europa che ha promesso soldi a un dittatore purché svolga il “lavoro sporco” capace di frenare il fenomeno migratorio.

Ma il lavoro sporco ha un prezzo che va incassato e il presidente Saied lo rivendica con sempre eguale minaccia: bloccare o meno le partenze. Da inizio anno i dati degli arrivi in Italia dicono che le partenze dalla Tunisia sono in diminuzione, motivo di autoelogio da parte del governo che rivendica l’accordo sui flussi stretto con il paese africano.

Ma nelle ultime settimane è proprio da questo paese che si è registrata un’impennata del numero degli arrivi. In trenta giorni si è registrato il 337% degli sbarchi in più rispetto al mese precedente: 5.587 le persone migranti partite da Sfax. Un numero considerevole, se si conta che dall’inizio dell’anno al 15 aprile le persone sbarcate sono 16.090.

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