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Ambiente Economia
Le fasi e i percorsi del contrabbando di legno pregiato attraverso il Kenya e l'Uganda
Le foreste della Rd Congo abbattute per il legname
Un traffico illecito di cui beneficiano le principali economie della Comunità dell’Africa orientale, in violazione dei loro impegni ambientali. Un florido commercio agevolato da funzionari e leader politici di tutta la regione
11 Aprile 2024
Articolo di Antonella Sinopoli (da Accra)
Tempo di lettura 5 minuti

Non solo oro, diamanti o coltan. Una delle materie prime più richieste e commerciate dalla Repubblica democratica del Congo è il legname. Commercio illecito, però. E che si muove soprattutto verso paesi dell’Africa orientale con complicità interne, ai confini e poi nei paesi di arrivo.

Sfruttando i molteplici conflitti interni, il debole tessuto sociale, e l’altrettanto debole governance, la deforestazione distrugge le aree, dà lavoro alle comunità rurali e arricchisce quelli che stanno in cima alla scala.

Un’inchiesta condotta da The Africa Report in collaborazione con il Pulitzer Rainforest Center Rainforest Investigations Network, mette in luce le fasi e i percorsi del contrabbando di legname dalla Rd Congo attraverso il Kenya e l’Uganda.

Negli ultimi due decenni, centinaia di milioni di dollari di legno africano protetto, come il mogano, sono stati saccheggiati e contrabbandati non solo in questi due paesi, ma anche in Rwanda e Tanzania.

Le principali economie della Comunità dell’Africa orientale, dunque, stanno tutte beneficiando di questo traffico violando palesemente i loro impegni ambientali.

Tra l’altro, si legge nel report, il commercio illecito è agevolato da “grandi uomini” vicini ai servizi di sicurezza e ai politici di tutta la regione, che garantiscono il passaggio dei controlli alle frontiere. Mazzette, falsi certificati, una rete elaborata di attori, ognuno esperto nella catena di approvvigionamento e smercio del legname, favoriscono questo traffico.

La rotta kenyana

Il Kenya è il maggiore importatore. Risulta, infatti, che faccia entrare nel paese dieci volte più legname di contrabbando rispetto al vicino Uganda. Il punto principale di passaggio è la cittadina di Lia, sul confine tra Rd Congo e Uganda. Una comunità rurale da tempo ormai trasformatasi in un frenetico centro di scambi, accordi, passaggio della merce. Attività che avvengono sotto gli occhi di tutti.

Secondo l’ONU – riporta l’inchiesta – per almeno 25 anni, gli alti funzionari ugandesi hanno chiuso un occhio sul saccheggio del legno duro proveniente dal bacino del Congo.

Un legname particolarmente richiesto, soprattutto quello del mogano delle Meliaceae che comprende cinque specie di mogano africano (genere Khaya) che si trovano nell’elenco protetto CITES (Convenzione sul commercio internazionale delle specie di fauna e flora selvatiche minacciate di estinzione). Un tipo di legname che piace particolarmente a clienti di alto profilo e che finisce anche come mobilio in uffici governativi.

La costruzione di una nuova strada ha reso più agevole – dal 2019 – il commercio che prima passava attraverso un altro punto di confine, Mpondwe, situato a circa 450 km a sud di Lia. Poi, nel 2022, sempre a Lia, è stata aperta una grande stazione di legname, portando quindi più denaro, traffico, persone e, ovviamente, la materia prima, come evidenziano immagini satellitari.

I commercianti di legname menzionano diverse province – Nord Kivu, Ituri (nella riserva naturale di Okapi), Tshopo e Haut-Uele – come fonte di approvvigionamento. Circa l’80% del legname che arriva a Lia è diretto in Kenya e i funzionari ugandesi si limitano a facilitarne il movimento.

La via ugandese

L’altra porzione di legname contrabbandato arriva a Kampala. Secondo le testimonianze raccolte nel corso dell’inchiesta, le persone coinvolte nel disboscamento illegale portano a casa il triplo del reddito di quanto, nella Rd Congo, paga il disboscamento legale.

Senza un certificato di origine, il legname non potrebbe essere autorizzato a entrare in Uganda o in qualsiasi territorio dell’Africa orientale ma questa è solo teoria. In pratica dall’atto del disboscamento alla consegna, agli spostamenti vengono assicurati documenti fittizi e ci sono sistemi per eludere i controlli.

In questi ultimi anni, poi, la presenza dei gruppi armati nell’est del paese ha spinto i taglialegna – prima fase del processo – a spostarsi in altre aree, allargando così la superficie forestale di abbattimento degli alberi. Oltretutto i conflitti e la mancanza di sicurezza hanno reso debole lo stato lasciando di fatto il territorio a milizie e predatori di risorse.

E, durante il percorso, basta pagare ai posti di blocco e il passaggio (senza controlli) è assicurato. Il governo dell’Uganda, tra l’altro ha ammesso che il traffico di contrabbando tra i due paesi è enorme. Nel 2022, la Banca centrale ha stimato che il commercio informale valesse 275 milioni di dollari, più della metà di quello formale.

Politica a doppio binario

Per quanto riguarda il coinvolgimento di cosiddetti “big man” l’inchiesta mette per esempio in luce il comportamento contraddittorio di leader come Yoweri Museveni, capo di stato ugandese, che da una parte e a livello ufficiale si dice a favore della protezione dell’ambiente e in particolare del bacino del Congo, dall’altro promuove l’industria locale del mobile che usa legname importato illegalmente.

Assai nota è la produzione di mobili di alta qualità nelle carceri del paese. Mobili spesso acquistati da leader o uffici governativi. Un ordine del valore di circa 50 milioni di dollari è stato consegnato non molto tempo fa solo all’ufficio del presidente.

Stessa contraddizione viene rilevata per il presidente del Kenya, William Ruto, che difende e chiede la protezione dei bacini e delle foreste pluviali del mondo, compresa quella del Congo. «La loro integrità dovrebbe essere, senza dubbio, la massima priorità di tutta l’umanità», ha affermato al vertice dei tre bacini – Amazzonia, Borneo-Mekong-Sud-Est asiatico e Congo – tenutosi a Brazzaville nel 2023.

Nello stesso anno Ruto è stato inserito nella lista dei 100 influenti leader climatici del Times Magazine. Ma una persona intervistata per l’inchiesta ha affermato: in Kenya nel giro di un mese, possono arrivare circa 300 camion di legname e questo non soddisfa ancora la domanda.

Eppure i dati ufficiali riportano che, tra il 2020 e il 2022, circa 132 tonnellate, ovvero quattro camion, sono entrati in Kenya ogni giorno, ovvero meno della metà di quanto testimoniano i commercianti ugandesi al confine. Con buona pace del Green Belt Movement, fondato a suo tempo dall’ambientalista Wangari Maathai, premio Nobel per la pace.

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Botswana Pace e Diritti Politica e Società
Un progetto di riforma della Costituzione in questo senso è stato criticato fortemente da alcune organizzazioni cristiane
Botswana: stop alle discriminazioni contro le persone LGBT+, alcune chiese si oppongono
19 Aprile 2024
Articolo di Redazione
Tempo di lettura 4 minuti

Il Botswana prosegue nel suo cammino di depenalizzazione dell’omosessualità e di maggiore inclusione delle persone LGBTQ+, nonostante la ferma opposizione di molte Chiese del paese.

In settimana il ministro per la presidenza dello stato, Kabo Morwaeng, ha presentato all’Assemblea nazionale un emendamento della Costituzione che introduce nell’ordinamento del paese la «protezione e la proibizione delle discriminazione verso persone intersex». Di solito, con il termine intersex ci si riferisce in modo specifico a persone che sono nate con caratteristiche sessuali primarie o secondarie che non si adattano alle tipiche concezioni binarie di corpo maschile o femminile. In questo caso però, il termine sembra essere impiegato anche come sinonimo di omosessualità, stando al linguaggio utilizzato dai media che rilanciano la notizia. L’emittente radiofonica pubblica statunitense VOA parla infatti di misura a favore dei diritti dei gay, per quanto le persone intersessuali possono anche identificarsi come eterosessuali.  

La bozza di provvedimento è solo in fase di prima lettura in parlamento. Per la legge del Botswana, questo passaggio prevede anche un esame del documento da parte del Ntlo Ya Dikgosi, un organo consultivo costituito dai leader tradizionali delle sette principali comunità native del paese. La misura proposta dal governo è parte di una più ampia legge di riforma della Costituzione. Il provvedimento in questione recepisce i suggerimenti che una commissione per la riforma della Carta fondamentale ha consegnato all’esecutivo nel 2022, anche a seguito di un confronto con la società civile.  

L’apertura di un dibattito su questa modifica dell’ordinamento rientra in un più ampio processo di inclusione delle persone LGBTQ+ nel paese, partito almeno dal 2010, quando il governo di Gaborone ha cancellato alcune misure che discriminavano le persone sul posto di lavoro in base all’orientamento sessuale. Nel 2019, l’Alta corte del paese ha infine depenalizzato le relazioni fra individui dello stesso sesso con una storica sentenza. I giudici di Gaborone, in quell’occasione, hanno definito «incostituzionale» una legge risalente al periodo coloniale britannico che puniva l’omosessualità con condanne fino a sette anni di carcere. Due anni più tardi, lo stesso tribunale ha respinto un appello del governo contro quella decisione.

Già l’anno scorso l’esecutivo del presidente Mokgweetsi Masisia aveva provato a introdurre il riconoscimento dei diritti degli individui LGBTQ+ in Costituzione, anche a seguito della posizione assunta dalla magistratura. Il disegno di legge aveva trovato però la forte opposizione di diverse realtà religiose. Un copione che si sta ripetendo anche in questo frangente.

«Grave minaccia per il nostro stile di vita»

In una nota, la Apostolic Faith Mission del Botswana, branca locale della più grande Chiesa pentecostale sudafricana, ha affermato che la misura in discussione in parlamento «rappresenta una grave minaccia per il nostro stile di vita cristiano, la nostra democrazia e, in effetti, la nostra Repubblica come l’abbiamo conosciuta nel corso di molti decenni». In calce al testo, che si oppone anche a un’altra serie di modifiche della Costituzione in altri ambiti, i religiosi comunicano che si impegneranno a votare solo i parlamentari che voteranno contro l’introduzione della proibizione della discriminazione. Alla mobilitazione contro la misura partecipa anche la Coalizione delle Chiese cristiane del Botswana, che già si era espressa con forza contro la prima bozza di legge del 2023.

Thato Moruti, massimo dirigente della principale organizzazione di difesa dei diritti delle persoen LGBTQ+ nel paese, la Lesbians, Gay and Bisexuals of Botswana (Lagebibo), ha affermato dal canto suo: «La nazione deve separare le credenze religiose dalle questioni relative ai diritti umani». Il Botswana, ha aggiunto l’attivista, «in quanto faro internazionale di democrazia, deve riconoscere che questa democrazia include anche gruppi minoritari come la comunità LGBT».

In Africa, a oggi, i paesi che puniscono l’omosessualità per legge sono 32, sul totale di 54 che compongono il continente e sui 65 che ancora criminalizzano le persone LGBTQ+ nel mondo.

Le altre critiche agli emendamenti 

Le modifiche alla Costituzione proposte dal governo del Botswana stanno incontrando l’opposizione anche di altre realtà della società civile, per ragioni che però non hanno a che vedere con le misure di tutela delle persone LBTQ+. Anzi, nel suo comunicato, il Botswana Council of Non-Governmental Organisations (Bocongo), che rappresenta 44 organizzazioni, ha sottolineato come sia importante che gli emendamenti proposti alla Carta fondamentale partano da una prospettiva di genere e centrata sui diritti umani. Premesso questo, Bocongo ha accusato il governo di non aver coinvolto la società civile in modo adeguato durante il processo di elaborazione degli emendamenti e di aver pertanto prodotto una legge che manca nel rivedere i nodi centrali in fatto diritti umani, uguaglianza e democrazia.

Le 44 organizzazioni hanno pertanto chiesto all’esecutivo guidato da Mokgweetsi Masisi di tornare sui suoi passi e di avviare un nuovo percorso di consulatazione con gli attori sociali, così da arrivare a una nuova riforma della Costituzione.

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Un'indagine di Public Eye ha riscontrato oltre 6 grammi di zuccheri aggiunti a porzione nei prodotti venduti in paesi a medio e basso reddito
Nestlé: zuccheri aggiunti nei prodotti per bambini venduti nei paesi africani
19 Aprile 2024
Articolo di Redazione
Tempo di lettura 2 minuti

Nestlé continua a fare scandalo. Una delle più tristemente note multinazionali al mondo, da anni al centro di campagne di boicottaggio, è di nuovo sotto attacco. Questa volta, l’accusa di aggiungere zucchero nei prodotti per bambini venduti nei paesi a medio-basso reddito. 

A denunciarlo, Public Eye, organizzazione investigativa svizzera, che ha fatto esaminare alcuni campioni di articoli venduti in Africa, Asia e America Latina. I risultati hanno dimostrato la presenza di dosi importanti di zuccheri aggiunti sotto forma di saccarosio, miele e dolcificanti. Una prassi che mette gravemente a rischio la salute dell’infanzia. È l’ennesimo doppio standard rispetto ai paesi, per esempio, dell’Unione Europea e al Regno Unito, nei quali sono applicate le linee guida dell’OMS che vietano l’aggiunta di agenti dolcificanti negli alimenti per bambini al di sotto dei tre anni.

L’obesità infatti, è sempre più un’emergenza nei paesi africani, dove i bambini sovrappeso al di sotto dei cinque anni sono aumentati del 23% dal 2000, con quasi un miliardo di persone affette dalla malattia a livello globale, di cui 36 milioni di bambini. 

Il rapporto di Public Eye, realizzato in collaborazione con l’International Baby Food Action Network, testimonia che dell’oltre 1 miliardo e mezzo di dollari di vendite di Cerelac, uno dei prodotti incriminati insieme a Nido, buona parte proviene dai paesi a medio e basso reddito, il 40% solo da India e Brasile. 

In Etiopia sono stati scoperti 5,2 grammi di zuccheri aggiunti per ogni porzione, 6 in Senegal, in Nigeria addirittura 6,8. E rigorosamente non dichiarati nella confezione, fatta eccezione per il Sudafrica, con 4,2 grammi. 

Lo stesso dicasi per Nido, latte in polvere, anche se in misura minore.

Il 70% dei campioni analizzati presentava zuccheri aggiunti. Fa sorridere, molto amaramente, se si tiene conto che si tratta dei due prodotti di punta della campagna condotta da Nestlé per promuovere una vita più sana tra i bambini. Ma a quanto pare, si fa riferimento soltanto ai bambini occidentali, per i quali i prodotti vengono venduti in modo effettivamente aderenti agli standard dell’Oms. (AB)

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Ambiente Arena di Pace 2024 Pace e Diritti Politica e Società
PLUS
Verso Arena 2024 / 3 Ecologia integrale e nuovi stili di vita
Il futuro è oggi. Si vince o si perde tutti insieme
Il tempo che viviamo è il tempo della cura. Dobbiamo mobilitarci facendo la nostra parte per la salvaguardia del Creato. La passività è l’atteggiamento più sbagliato
19 Aprile 2024
Articolo di Federico Sartori e Marta Bobbio
Tempo di lettura 1 minuti
Arena 2024 - Gruppo di lavoro sul tema ecologia integrale e nuovi stili di vita

Questo articolo è uscito nella sezione “Africa 54” della rivista Nigrizia di aprile 2024.

Cosa c’entra il termine pace con il concetto di ecologia integrale e nuovi stili di vita? Questa è una delle 5 sfide che il percorso Arena di pace ha lanciato pochi mesi fa e su cui ci siamo soffermati nei tavoli di lavoro: accanto a questa, gli ideatori di Arena24 hanno chiesto di declinare la […]
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Burkina Faso Politica e Società Russia
Continua l’opera di allontanamento dall’ex potenza coloniale, sulla scia di Mali e Niger
Burkina Faso: espulsi tre diplomatici francesi accusati di “attività sovversive”
19 Aprile 2024
Articolo di Redazione
Tempo di lettura 2 minuti
Il capo della giunta militare al potere Ibrahim Traoré (Credit: Presidence Faso)

Rapporti sempre più tesi tra la giunta militare al potere in Burkina Faso e la Francia dopo l’espulsione, decretata ieri, di tre diplomatici francesi, due dei quali sarebbero consiglieri politici.

Senza fornire spiegazioni ufficiali sui motivi della decisione, le autorità hanno dato a Gwenaelle Habouzit, Herve Fournier e Guillaume Reisacher 48 ore per lasciare il paese saheliano.

In una lettera del ministero degli Esteri visionata dalle agenzie di stampa Reuters e Agence France-Presse (AFP), si legge che i tre sono accusati di non meglio precisate “attività sovversive”. Citando una fonte con conoscenza diretta della situazione, Reuters afferma che la loro espulsione è dovuta a incontri avuti con i leader della società civile.

La mossa segna un ulteriore passo nella politica di allontanamento dall’ex potenza coloniale, iniziato subito dopo il golpe del settembre 2022 con la cacciata delle truppe francesi, la sospensione di alcuni media francesi e con ripetute accuse di spionaggio nei confronti di funzionari d’oltralpe.

Su quest’ultimo fronte i primi a lasciare il paese, nel dicembre 2022, furono due cittadini francesi che lavoravano per un’azienda burkinabé, accusati di spionaggio. Con la stessa accusa il 1° dicembre scorso sono stati arrestati quattro agenti dell’intelligence di Parigi, il Servizio di informazioni all’estero (DGSE), tutt’ora detenuti ai domiciliari a Ouagadougou.

Sulla scia delle giunte militari golpiste di Mali e Niger, anche il Burkina Faso si è progressivamente avvicinato alla Russia per ottenere sostegno nella lotta ai movimenti jihadisti. Un drastico cambio di rotta che ha portato a un allontanamento da Parigi e che ha sancito anche un’alleanza fra i tre paesi del Sahel.    

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