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Armi, Conflitti e Terrorismo Mozambico Pace e Diritti Politica e Società Rwanda
L'Assemblea Nazionale ratifica l'intesa con Kigali. Gli esuli nel paese: «Ci sentiamo minacciati»
Mozambico: sdegno e polemiche dopo l’ok alle estradizioni in Rwanda
Kagame perseguita gli oppositori ma aiuta Maputo a Cabo Delgado. E il gioco è fatto
28 Marzo 2024
Articolo di Brando Ricci
Tempo di lettura 5 minuti
Nyusi e Kagame a Kigali. Foto dal profilo Flickr di Kagame

Il sostegno militare del Rwanda a Cabo Delgado non è gratuito, in cambio Kigali ha chiesto mano libera sui numerosi dissidenti politici che vivono in esilio e come rifugiati in Mozambico. È questa, a detta delle opposizioni politiche e di diversi attivisti e giornalisti, la chiave di lettura più adatta per comprendere il senso dell’accordo per l’estradizione fra i due paesi i che è stato appena ratificato dall’Assemblea Nazionale di Maputo.

Nel giugno 2022 Rwanda e Mozambico hanno firmato due accordi: uno per l’assistenza giudiziaria reciproca in materia penale e un altro per l’estradizione di detenuti dei due paesi presenti nelle reciproche carceri. La prima intesa è stata ratificata dall’Assemblea nazionale a fine febbraio mentre la seconda ha ricevuto il via libero definitivo dei deputati ieri, 27 marzo. Il documento è stato ratificato con 168 voti a favore e 42 contrari.

La distribuzione di queste preferenze è chiara: l’intesa è stata approvata dai deputati del partito di maggioranza, il Fronte di Liberazione del Mozambico (Frelimo) che governa il paese dal 1975. Il documento è stato invece bocciato dalle due formazioni di opposizione: la Resistenza Nazionale Mozambicana (Renamo) e il Movimento Democratico del Mozambico (Mdm).

Quanti casi sospetti 

Prima di entrare nel merito delle critiche al provvedimento e delle risposte del governo, è utile fornire un po’ di contesto. Il Mozambico è ritenuto tradizionalmente un paese aperto nell’accoglienza dei profughi. Nel 2012 i rifugiati e i richiedenti asilo che vivevano nel paese erano 14mila. A oggi, stando all’ultimo report dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), sono invece oltre 23mila. Di questi, circa 3.400 sono rwandesi. Si tratta della terza nazionalità più rappresentata dopo quelle di Repubblica democratica del Congo e Burundi.

Negli ultimi anni però, nel paese si sono verificati diversi omicidi di rifugiati o di attivisti ruandesi residenti nel paese. Molti dei tragici episodi sono riportati in un report dell’ong locale Centro per la democrazia e lo sviluppo (Cdd). Fra questi il caso di Revocant Karemangingo, imprenditore e vicepresidente dell’Associazione dei rifugiati ruandesi in Mozambico (Arrm) in esilio in Mozambico dagli anni ’90, ucciso nel settembre 2021 con un colpo di pistola a Matola, grande città nei pressi della capitale Maputo. Sempre nel 2021, gli attivisti mozambicani hanno anche denunciato la scomparsa del giornalista e rifugiato Ntamuhanga Cassien, pure residente nella provincia della capitale. Cassien, secondo alcune indiscrezioni, sarebbe stato arrestato e poi estradato in Rwanda per sostenere un processo per complicità in atti terroristici. La lista non termina qui. Esponenti della diaspora rwandese, riporta sempre il Cdd, hanno denunciato l’esistenza di una lista con almeno una ventina di oppositori che il governo rwandese del presidente Paul Kagame punterebbe a riportare in patria.

A colpire sono poi anche le tempistiche. Molti di questi episodi sono avvenuti subito prima o subito dopo il dispiegamento delle truppe rwandesi a sostegno dell’esercito mozambicano a Cabo Delgado, provincia settentrionale ricca di giacimenti di gas naturale e teatro da sette anni di un conflitto fra stato e milizie auto dichiarate affiliate al gruppo Stato islamico. I soldati di Kigali hanno giocato un ruolo di primo piano nella controffensiva che ha riportato sotto il controllo dello stato buona parte delle città che erano passate sotto i miliziani.

Oppositori in cambio di aiuto militare 

Alla luce dei fatti descritti è forse più facile comprendere lo sdegno che ha causato la ratifica dell’accordo con Kigali. Secondo il deputato del Mdm Silvério Ronguane, il governo di Maputo usa gli esuli rwandesi come controparte nell’accordo per il sostegno militare a Cabo Delgado. Il parlamentare di Renamo Arnaldo Chalaua tocca un altro nodo politico: «Abbiamo votato contro la ratifica perché la nostra Costituzione non autorizza l’estradizione per scopi politici – ha affermato -. Sappiamo tutti che Kagame perseguita e uccide i suoi concittadini. Non possiamo farci complici di atti del genere». Le rimostranze delle opposizioni sono legittime anche a detta dell’ordine degli avvocati mozambicani, che ha promesso di monitorare l’implementazione dell’accordo.

Dubbi e critiche che diventano timori molto concreti per i rwandesi che vivono in Mozambico. Intervistato dall’emittente tedesca Deutsche Welle, Cleophas Habiyareme, presidente dell’Arrm, ha affermato che la comunità «si sente minacciata perché il Rwanda potrebbe ora inserire gli oppositori nelle liste delle persone da estradare». L’attivista ha quindi esortato anche l’Unhcr a vigilare su quanto potrebbe avvenire nel paese.

L’ong Cdd si è sempre dimostrata critica dell’intesa con Kigali. A detta degli attivisti poi, nella carceri rwandesi non c’è neanche un detenuto mozambicano. Un dato questo, che dimostrerebbe da solo l’unilateralità e la vocazione politica dell’accordo. Secondo il gruppo della società civile inoltre, il governo del presidente Filipe Nyusi sta cedendo la sovranità del paese in cambio del sostengo a Cabo Delgado.

Kigali, Mozambico 

Della stessa idea anche l’avvocato e giornalista rwandese Prudence Nsengumukiza, che vive in esilio in Belgio. «Il governo rwandese – ha detto il cronista a Nigrizia – ha utilizzato il suo intervento militare a Cabo Delgado per fare pressione sul governo mozambicano, nonostante il Mozambico fosse consapevole delle attività repressive del Ruanda all’interno dei suoi confini. Tuttavia – conclude l’esperto – Maputo si sente obbligato a firmare questo accordo per evitare di perdere il sostegno militare di Kigali».

Dal canto suo, il governo di Frelimo rifugge ogni critica, pur ammettendo che in Mozambico si sono verificati omicidi di cittadini rwandesi. Secondo la ministra della giustizia, Helena Kida, il patto con Kigali punta a far sì che il Mozambico non diventi «un rifugio per persone disoneste coinvolte nella commissione di crimini in un paese o nell’altro».

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Armi, Conflitti e Terrorismo Congo (Rep. dem.)
Decine di soldati degli EFG prepareranno un terzo battaglione “giungla” da inviare nelle province orientali
Dal Gabon nuovi addestratori francesi in Rd Congo
Arriveranno nella provincia del Congo Centrale dove verranno formati 750 soldati delle FARDC. A un mese dal parziale ritiro della missione MONUSCO situazione sempre più critica nell’est del paese
28 Marzo 2024
Articolo di Rocco Bellantone
Tempo di lettura 3 minuti
Istruttori degli Éléments Français au Gabon (Credit: EFG)

Una sessantina di soldati degli EFG, le unità militari francesi presenti in Gabon, inizierà presto ad addestrare un terzo battaglione “giungla” delle forze armate della Repubblica democratica del Congo (FARDC). Circa 750 soldati verranno formati, in particolare su come disinnescare gli ordigni esplosivi improvvisati (IED).

I corsi di addestramento si terranno nella provincia del Congo Centrale, situata nella parte più occidentale del Congo, l’unica con accesso all’Oceano Atlantico meridionale confinante a nord con la Repubblica del Congo e con la provincia di Kinshasa, a sud con l’Angola, a nord-ovest con l’exclave angolana di Cabinda e ad est con la provincia di Bandundu.

I primi due battaglioni “giungla” delle FARDC sono operativi dal 2021 e dal 2022. II primo è schierato nella provincia orientale del Nord Kivu e ha il compito di arginare le sortite dei gruppi armati locali. Nelle ultime settimane qui gli scontri si sono concentrati soprattutto attorno alle miniere di Rubaya, dove i ribelli del gruppo M23 controllano i traffici illegali di coltan.

Per mettere in piedi il terzo battaglione “giungla” delle FARDC Parigi ha inviato al momento nella provincia del Congo Centrale una manciata di suoi militari. Il percorso di formazione è supervisionato dalla Direzione francese per la cooperazione in materia di sicurezza e difesa (DCSD) che all’Ecole de Guerre de Kinshasa (EGK), nella capitale, sta formando un quarto gruppo di alti ufficiali delle FARDC.

Nella cabina di regia della cooperazione tra Francia ed Rd Congo siede Themiis, società francese privata specializzata nella formazione nell’ambito della sicurezza e difesa, e dal 2016 coinvolta nella gestione del CHESD, il Collège des Hautes Études de Stratégie et de Défense di Kinshasa.

Peggiora la crisi umanitaria

Il 27 marzo Bintou Keita, rappresentante speciale del segretario generale dell’ONU in Rd Congo e a capo della missione MONUSCO, ha lanciato un nuovo allarme sull’acuirsi della crisi umanitaria nel paese, resa ancora sempre più grave dagli scontri armati nelle provincie di Nord Kivu, Ituri e nel Sud Kivu.

Secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari, in Rd Congo più di 7,1 milioni di persone sono state sfollate, 800mila solo negli ultimi tre mesi. Di queste, 5,7 milioni sono concentrate nelle tre province orientali.

L’insicurezza alimentare interessa 23,4 milioni di persone, ovvero un congolese su quattro, facendo della RDC il paese più affamato al mondo. Nel solo mese di gennaio 2024 sono stati denunciati 10.400 casi di violenza di genere.

La situazione nella parte orientale del paese è peggiorata progressivamente dopo le ultime elezioni di fine dicembre scorso che hanno confermato per un secondo mandato il presidente Félix Tshisekedi. Qui l’M23, sostenuto dal Rwanda, ha guadagnato terreno in modo pressoché indisturbato.

Per frenarne l’avanzata sta entrando nel vivo una missione istituita nel dicembre scorso dalla Comunità di sviluppo dell’Africa australe (SADC). Circa 2.900 militari, finanziati in larga parte dal Sudafrica, sosterranno fino al dicembre di quest’anno un’altra missione già dispiegata nell’area, la missione dell’Africa meridionale nella RDC (SAMIDRC), in sostituzione di una forza regionale della Comunità dell’Africa orientale (EAC), il cui intervento dal novembre del 2022 è stato del tutto inefficace.

Nella zona interverrà presto anche l’Unione Africana, come stabilito il 4 marzo dal suo Consiglio di pace e sicurezza. L’Africa si sta dunque attrezzando in vista del completamento della prima fase di ritiro della missione MONUSCO, prevista per il prossimo 30 aprile. Un passaggio di consegne pieno di incognite e rischi.

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Mozambico Podcast Sudafrica
Altri Temi: Mozambico, meno soldi dalle banche a gas e petrolio, ma richiesta di gas aumenta
Africa Oggi podcast / Il Sudafrica in crisi in vista delle elezioni
28 Marzo 2024
Articolo di Luca Delponte
Tempo di lettura 1 minuti
Cyril Ramaphosa al Cremlino il 26 luglio 2018 (Credit: Presidenza della Federazione Russa/Wikimedia Commons/CC BY 4.0 DEED)
  • Ramaphosa, dopo sei anni di mandato consegna un Sudafrica in piena crisi – economica e di governance – e il 29 maggio si vota. Da Johannesburg, l’analisi di Efrem Tresoldi, già direttore di Nigrizia.
  • Mozambico, meno soldi dalle banche a gas e petrolio, ma richiesta di gas è in aumento. Di Gianni Ballarini

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Politica e Società Senegal
Per Bassirou Diomaye Faye è il momento delle celebrazioni. Finiti i festeggiamenti, dovrà far fronte ad un deficit di fiducia esterna, in quanto outsider e inesperto. E dovrà sapersi posizionare in un quadro politico regionale in rapido e burrascoso mutamento
Senegal, sfide post-epopea
27 Marzo 2024
Articolo di Roberto Valussi
Tempo di lettura 1 minuti

Breve riassunto di chi è Bassirou Diomaye Faye, neo-eletto presidente del Senegal, e di alcuni delle sfide che lo attendono.

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Politica e Società Sudafrica
L'ANC non riesce a bloccare la candidatura dell'MK, il partito di fatto guidato dall'ex presidente
Il Sudafrica al voto e il déjà-vu Jacob Zuma
Redivivo, non potrebbe candidarsi secondo l'ordinamento sudafricano. Ma il caos che produce già orienta il dibattito
27 Marzo 2024
Articolo di Brando Ricci
Tempo di lettura 6 minuti
L'allora presidente Zuma a una riunione dei BRICS nel 2015. Foto dal sito della presidenza russa

Mancano due mesi alle prossime elezioni generali del Sudafrica, fissate per il 29 maggio, e l’ex presidente Jacob Zuma è di nuovo al centro del dibattito politico. Questo nonostante l’opposizione sperticata che gli sta muovendo contro il suo ormai ex partito, l’African National Congress (ANC) che guida il paese da 30 anni. E soprattutto nonostante l’ordinamento sudafricano gli impedisca piuttosto chiaramente di puntare alla presidenza come invece pare proprio che stia facendo.

Per capire cosa succede e cosa c’è in gioco occorre fare una serie di passi indietro. Si può partire dalla fine. Ieri la Corte elettorale sudafricana ha respinto la richiesta dell’ANC di bloccare la candidatura alle elezioni dell’uMkontho we Siwze (MK), un partito registrato lo scorso settembre e di cui Zuma è diventato alcuni mesi dopo il leader de facto. Secondo i giudici sudafricani, le procedure seguite dall’MK e dalla Commissione elettorale del Sudafrica per registrare le liste del movimento alle prossime elezioni sono legittime, a differenza di quanto sostenuto dalla forza al governo.

L’esito del verdetto è stato celebrato da sostenitori del partito dell’opposizione, radunati fuori dal tribunale di Johannesburg dove si è svolto il procedimento.  La portavoce dell’African National Congress, Mahlengi Bhengu-Motsiri, ha affermato che il suo partito rispetta la decisione dei magistrati e che non è contrario alla presenza dell’MK al voto, ma pretende comunque che vengano rispettate «la giustizia e la legalità». 

La svolta di dicembre 

Zuma, classe 1942, alla guida del paese per due mandati fra il 2009 e il 2018, si è aggiunto alle file dell’MK lo scorso dicembre, dopo aver reso noto a sorpresa di non voler sostenere l’ANC alla successiva tornata elettorale. L’ex presidente è stato poi formalmente espulso dal partito il mese successivo. I retroscena dietro la decisione di Zuma sono numerosi.

Basti sapere che il suo voltafaccia è l’ultimo di una serie di tensioni con l’attuale leadership del suo ex partito, il presidente Cyril Ramaphosa, già suo vice presidente. Il capo di stato gli è succeduto dopo che questo era stato costretto alle dimissioni per il suo coinvolgimento in un gigantesco sistema di corruzione che per la sua capillarità si è guadagnato il nome di State Capture, traducibile come sequestro dello stato.

Ma il sostegno di Zuma all’MK porta con sé una storia ancora più lunga e articolata. uMkontho we Siwze, “lancia della nazione” in lingua xhosa, non è un nome nuovo nella storia sudafricana: si chiamava così il braccio paramilitare dell’ANC quando quest’ultimo era il principale promotore della lotta di liberazione contro l’apartheid. Il movimento è stato fondato dall’ex presidente Nelson Mandela e da altri compagni di lotta nel 1961, sulla scia di anni di violenze e abusi e soprattutto dello sdegno provocato dalla strage di Sharpeville. Con questo nome si ricorda l’uccisione di 69 manifestanti anti-apartheid, ammazzati dalla polizia durante una marcia il 21 marzo 1960.

Contesa sui simboli (o sul consenso?)

L’ANC ha fin da subito criticato la scelta di battezzare una nuova formazione politica con questo nome e ha più volte chiesto a chi guida il partito di cambiare dicitura. Si sono mostrati della stessa linea anche le maggiori associazioni di rappresentanza dei veterani dell’antico gruppo armato- nonostante alcuni ex membri del primo MK siano poi entrati nel nuovo partito – che hanno anche accusato Zuma e soci di manipolare la memoria del movimento per fini elettorali. L’ANC si è rivolto all’Alta corte di Durban per costringere l’MK a rinunciare a nome e logo della vecchia ala paramilitare sulla base di un’accusa di violazione di copyright.

L’inizio del processo è previsto per oggi 27 marzo. Secondo l’avvocato del partito di governo, Gavion Marriot, «nella mente dei sudafricani c’è un legame inscindibile fra l’ANC e l’uMkonto we Sizwe». Gli esponenti dell’MK sostengono invece che simbolo e logo non siano mai stati registrati formalmente e che la formazione che guida il paese abbia solo timore della minaccia rappresenta dal partito alle urne.

Paure che hanno trovato un primo riscontro nei dati. Una ricerca condotta a febbraio dal think-tank locale Social Research Foundation ha mostrato che l’MK potrebbe addirittura dimezzare il sostegno all’ANC nella provincia del KwaZulu-Natal, terra di origine di Zuma, tradizionale roccaforte dei suoi sostenitori nonché seconda provincia del paese per numero di elettori registrati.

Secondo questo sondaggio, basato su interviste a oltre 800 persone, la nuova formazione potrebbe addirittura finire per essere il secondo partito della regione, ottenendo il 24% dei voti contro il 25% del partito di governo, che in questa stessa area ha ottenuto il 54% dei consensi all’ultimo voto del 2019. Una dinamica in linea con quanto si riscontra in tutto il paese. Per la prima volta dal ritorno alla democrazia l’ANC rischia seriamente di scendere sotto il 50% dei consensi stando a diverse rilevazioni concordanti.

Strada sbarrata, almeno in teoria 

Calcoli prematuri però,  ma soprattutto inutili, per quanto riguarda il destino di Zuma. Almeno se si prende in considerazione quello che stabilisce l’ordinamento sudafricano. L’ex presidente, principale catalizzatore di consenso in un partito composto altrimenti da figure poco note, non potrebbe infatti neanche candidarsi. Principalmente per una ragione: l’ex leader infrange una delle condizioni per poter essere eletto all’Assemblea Nazionale in quanto ha subito una condanna a più di 12 mesi di prigione. L’ex capo di stato è stato infatti condannato a 15 mesi di carcere nel 2021 per non essersi presentato alle udienze della Commissione Zondo, l’ente da lui stesso istituito per far luce sul sistema di corruzione già citato, noto col nome di State Capture.

Per ora l’MK sembra ignorare queste disposizioni. Il nome di Zuma è il primo della lista dei candidati presentati dal partito a inizio mese. Il documento verrà approvata ufficialmente nei prossimi giorni, dopo che la Commissione elettorale avrà preso in esame le obiezioni che la cittadinanza ha il diritto di presentare fino a domani. La retorica degli esponenti del partito a riguardo è stata fino a oggi piuttosto aggressiva.

Il presidente ufficiale dell’MK Jabulani Khumalo, è stato lapidario: «Da oltre 20 anni i media stanno tentando di mettere Zuma in prigione, ma hanno fallito perché è un uomo semplice. Zuma sarà il presidente, che gli piaccia o no». E nei giorni scorsi esponenti del partito erano andati anche oltre, minacciando violenze nel caso in cui la Commissione elettorale avesse precluso la partecipazione al voto di maggio all’MK.

Il timore di violenze 

Minacce che vengono prese molto sul serio in Sudafrica. Nel 2021, l’arresto di Zuma fece da detonatore a giorni di violenze e saccheggi in cui morirono circa 300 persone. Le rivolte, va notato, si verificarono in un contesto anche esasperato dalla crisi socio-economica scatenata dalla pandemia di Covid-19.

Non è quindi ancora possibile capire se Zuma potrà o meno partecipare al voto. È lecito chiedersi che tipo di informazioni riceveranno in merito i cittadini sudafricani. Stando a un report del centro locale di monitoraggio dei social media Centre for Analytics and Behavioural Change (CABC), nelle ultime settimane profili riconducibili all’MK hanno diffuso notizie false o disinformazione su vari argomenti, e in modo particolare con l’obiettivo di screditare la Commissione elettorale.

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