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Armi, Conflitti e Terrorismo Banche armate Pace e Diritti Politica e Società
Oggi a Roma le 80 realtà promotrici della campagna a difesa della misura che permette di monitorare l'export di armamenti
La sicurezza passa dai diritti, non dalle armi. Proteggiamo la legge 185
La Camera sta discutendo un progetto di norma che rischia di indebolire questo importante presidio di democrazia e pace
17 Aprile 2024
Articolo di Redazione
Tempo di lettura 3 minuti
L'incontro di oggi a Roma, Foto dalla pagina Facebook Servizio Civile e Pace - Comunità Papa Giovanni XXIII

Gli esponenti di oltre 80 organizzazioni della società civile italiana si sono ritrovati oggi presso la sede di Libera a Roma per rilanciare la mobilitazione in difesa della legge 185 del 1990 che disciplina il commercio e l’export di armi italiane. Questa legge – che aveva posto l’Italia all’avanguardia nel panorama europeo – è oggi oggetto di una radicale proposta di revisione avanzata dal Governo che mira a eliminare i principali presidi di trasparenza e di controllo parlamentare sulla produzione e sull’export di armi italiane verso il resto del mondo. Le modifiche sono già state approvate dal Senato e sono ora all’esame della Camera.

«Non esiste pace senza disarmo. Alla cattiva politica, quella che vuole togliere una serie di pilastri fondamentali di trasparenza, si può rispondere assumendoci più responsabilità – ha detto Don Luigi Ciotti – Nel mondo oggi ci sono 59 guerre; c’è una follia distruttiva. Bisogna ribadire con forza che il diritto alla sicurezza che tutti reclamano deve essere soprattutto sicurezza dei diritti, intesa come libertà, dignità e la vita delle persone. Non dimentichiamo che il mercato delle armi è il più soggetto a fenomeni di corruzione e che dove ci sono le guerre, le mafie fanno affari mentre il traffico delle droghe e delle armi vanno sempre a braccetto». Don Ciotti ha concluso citando Papa Francesco: «Tutti i conflitti nuovi pongono in rilievo le conseguenze letali di una continua rincorsa alla produzione di sempre più sofisticati armamenti, talvolta giustificate adducendo il motivo che se una pace oggi è possibile non può essere che la pace fondata sull’equilibrio delle forze. Occorre scardinare tale logica e proseguire sulla strada del disarmo integrale».

La petizione 

Padre Alex Zanotelli ha ribadito che: «Siamo prigionieri del complesso industriale militare» citando i dati relativi alle spese militari in continua crescita rispetto negli ultimi anni e che, di conseguenza, hanno fatto notevolmente aumentare anche il commercio internazionale di armi (+86% per l’Italia negli ultimi cinque anni).
Teresa Masciopinto, presidente di Fondazione Finanza Etica, a nome del Gruppo Banca Etica ha ricordato come le modifiche alla legge 185 mirino anche a cancellare la possibilità di sapere quali banche finanziano la produzione e l’export di armi, mentre Francesco Vignarca di Rete Italiana Pace e Disarmo ha ricordato che la legge 185 è nata 34 anni fa da una forte mobilitazione delle reti della società civile che oggi si stanno riattivando per difenderla e come le modifiche proposte alla legge non porteranno maggiore sicurezza.
Francesca Rispoli di Libera ha infine ricordato che un primo passo per difendere la legge è firmare la petizione disponibile sul sito qui.  

A sostegno della mobilitazione “Basta favori ai mercanti di armi!” sono intervenuti all’evento di questa mattina a Roma anche Raul Caruso, professore di Economia Internazionale presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano; Riccardo Noury, portavoce Amnesty International Italia; Alfio Nicotra, co-presidente Un ponte per e Consiglio nazionale AOI; Greta Barbolini, presidenza nazionale ARCI; Vincenzo Larosa, delegato dalla presidenza Azione Cattolica; Stefano Regio, presidente Federazione Lazio CNCA; Laura Milani, presidente CNESC e Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII; Gabriele Verginelli, per Legacoop; Emilia Romano, presidente Oxfam Italia, don Tonio dell’Olio, presidente Pro Civitate Christiana; Pierangelo Milesi, delegato Pace della Presidenza ACLI; Giuseppe Daconto, Centro Studi di Confcooperative; Maximilian Ciantelli, presidente Mani Tese Firenze; Alfredo Scognamiglio, del Movimento dei Focolari Italia; Maurizio Simoncelli, vicepresidente di Archivio Disarmo. Sono intervenuti anche i deputati Laura Boldrini (PD) e Riccardo Ricciardi (M5S) che hanno illustrato gli emendamenti presentati dall’opposizione alle proposte di modifica di legge.

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Angola Economia Podcast Politica e Società
Intervista a Paolo Biondani sulle indagini dei Luanda Leaks e sulla parabola infelice della figlia del ex-Presidente angolano
IntrAfrica podcast / Angola – Isabel Dos Santos, la latitante più ricca d’Africa
17 Aprile 2024
Articolo di Brando Ricci
Tempo di lettura 2 minuti
L'imprenditrice, e al momento latitante, Isabel Dos Santos

La storia di Isabel dos Santos è molte cose. Da una parte, rappresenta l’archetipo del concetto di “nepotismo”. Figlia primogenita dell’uomo che ha governato l’Angola per 38 anni, dal padre ha ricevuto in sorte quote e partecipazioni, fino al controllo, di numerose società statali. Le ha trasformate in un patrimonio da miliardi di dollari e in una rete di influenze politiche enormi. È diventata la donna più ricca d’Africa, la prima miliardaria del continente. È anche una storia di grande giornalismo però, quella di Isabel dos Santos. Di cronisti di numerosi paesi che si mettono insieme, esaminano tonnellate di carte e si ritrovano appiccicata alle mani la patina dorata che copriva una vicenda fatta prima di corruzione e furto ai danni di un popolo, che di grandi capacità imprenditoriali e fiuto per gli affari. Esattamente non si sa dove si trovi ora, Isabel dos Santos, ma i suoi  beni sono stati congelati in Angola. E lo stesso è stato ordinato dalla giustizia britannica lo scorso dicembre. Avviene nell’ambito dei numerosi procedimenti giudiziari che sono partiti in almeno 4 paesi anche dopo le rivelazioni dei giornalisti. 

Chissà quindi, se quella di Isabel dos Santos diventerà anche una storia di giustizia, di potenti che smettono di essere intoccabili e finiscono davanti ai tribunali. Invece di essere, come la stessa interessata denuncia a mezzo stampa, l’ennesimo regolamento di conti in un paese governato da 50 anni dallo stesso partito.

Ne parliamo con Paolo Biondani, giornalista dell’Espresso che ha lavorato sull’inchiesta internazionale dei Luanda Leaks.

Puntata a cura di Brando Ricci. Produzione e montaggio: Roberto Valussi. Questo podcast è possibile grazie al sostegno dei nostri lettori e ascoltatori. Per dare spazio a più contenuti del genere, puoi abbonarti a Nigrizia.

Per orientarsi nella puntata:

02:35 – Chi è Isabel Dos Santos

06:27 – Come è diventata la donna più ricca d’Africa

08:36 – Cosa sono i Luanda Leaks

12:20 – La latitanza di Isabel Dos Santos

13:49 – Il whistleblower dietro i Luanda Leaks

17:37 – La discutibile lotta alla corruzione del Presidente Lourenço

 

 

 

 

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Congo (Rep. dem.) Costa d'Avorio Ghana Mozambico Politica e Società
Nuove ambasciate aperte in Ghana, Costa d’Avorio, Rd Congo e Mozambico
Cresce la presenza diplomatica dell’Ucraina in Africa
Kiev cerca di ritagliarsi nuovi spazi di influenza nel continente. L’obbiettivo è duplice: “contrastare” la presenza della Russia e consolidare i commerci bilaterali
17 Aprile 2024
Articolo di Antonella Sinopoli (da Accra)
Tempo di lettura 5 minuti

39 a 14. Sono i numeri delle ambasciate russe nel primo caso, ucraìne nel secondo, presenti in Africa. Il confronto vale nell’ottica delle motivazioni di queste presenze diplomatiche nel continente.

Quella della Russia acclarata e con connotazioni storiche che risalgono all’appoggio a molti paesi africani nelle lotte per l’indipendenza e alla natura socialista di alcuni dei nuovi governi dell’epoca; quella dell’Ucraìna che sta lavorando a creare legami e relazioni da un paio d’anni, dal momento in cui, cioè, ha subito l’invasione della Russia.

Tanto è vero che dai primi mesi del conflitto si cominciò a riparlare di “guerra fredda” su territorio africano con vari attori – a cominciare appunto da Russia e Ucraìna – alla ricerca di alleanze e appoggi.

È chiaro che quest’ultima ha avuto meno tempo storico, diciamo così, per intrecciare relazioni autonome con il resto del mondo, Africa compresa, visto che sono nel 1991 riuscì a proclamare la propria indipendenza.

Ma oggi di queste relazioni ha assolutamente bisogno e se non pochi osservano che quello di oggi è solo un interesse strumentale, visto che in 30 anni ha aperto solo una decina di uffici diplomatici nel continente, per chi sta lavorando a intrecciare rapporti più stretti tra Ucraìna e Africa, l’invasione della Russia è stata solo una spinta a darsi da fare.

Diplomazie e commerci

Una delle ultime ambasciate inaugurate è quella di Accra, in Ghana, pochi giorni fa. In realtà, gli uffici avevano aperto a fine dicembre 2023 come risultato della visita in Ghana del ministro degli Esteri ucraìno Dmytro Kuleba, nell’ottobre 2022. Nell’ottica di un avvicinamento al continente africano cominciato subito dopo l’inizio del conflitto.

Il taglio del nastro della sede di Cantonment è stato affidato a Maksym Subh, inviato speciale dell’Ucraìna per Africa e Medio Oriente, accompagnato dal viceministro degli Esteri ghanese Kwaku Ampratwum-Sarpong. L’accento dei discorsi di rito è stato posto sulle relazioni amichevoli tra i due stati, sulla volontà di costruire rapporti bilaterali ancora più stretti e sulla cooperazione nella sfera politica come in quella commerciale.

Del resto, come riporta il sito della Scuola di Economia di Kyiv, l’Ucraìna ha importazioni rilevanti da molti paesi africani. A cominciare dalla Costa d’Avorio e dal Ghana, principali esportatori di fave, pasta e polvere di cacao. Questi due paesi da soli rappresentano circa l’80% delle forniture di prodotti a base di cacao dell’Ucraìna.

Inoltre, l’Ucraìna dipende dal Malawi per l’importazione di tabacco, pari al 25%, mentre Egitto e Sudafrica insieme rappresentano oltre il 20% delle esportazioni di agrumi verso Kiev. Altri prodotti provengono da Zimbabwe, Mozambico, Etiopia e Uganda.

Questo solo per quanto riguarda il commercio agro-alimentare, a cui vanno aggiunte le esportazioni di minerali. A partire dal 2021, 39 dei 54 paesi africani hanno esportato in Ucraìna 168mila tonnellate di prodotti agricoli per un valore di 380 milioni di dollari. Invece, le esportazioni dell’Ucraìna verso il Ghana nel 2021, secondo il database COMTRADE delle Nazioni Unite, sono state di 136,99 milioni di dollari.

Al di là del commercio e degli scambi oggi pesano fortemente gli accordi bilaterali e le alleanze, che oltretutto sono facilitatori degli accordi commerciali tra i paesi. Dopotutto, proprio Maksym Subh, inaugurando l’ambasciata ad Accra l’ha definita «la porta commerciale dell’Africa».

Mentre il viceministro ghanese gli ha fatto eco ricordando il sostegno all’integrità territoriale dell’Ucraìna, dimostrata tra l’altro con l’adesione alla risoluzione dell’Assemblea generale dell’ONU per condannare l’aggressione della Russia, nel marzo del 2022.

Lo stesso fece la Costa d’Avorio, dove qualche giorno prima che in Ghana è stata inaugurata la nuova sede diplomatica ucraìna. In quell’occasione il delegato era ritornato sugli “effetti collaterali” del conflitto. «Questa guerra – ha detto Subkh – può sembrare molto lontana. Ma il catastrofico aumento dei prezzi alimentari ha già avuto un impatto sulla vita di milioni di famiglie africane».

Sede aperta anche a Kinshasa, nella Repubblica democratica del Congo e in Mozambico. Insomma, quattro nuove ambasciate ucraìne in Africa inaugurate nel giro di una settimana circa. I nomi degli ambasciatori? Non si conoscono. Per ora pare che le sedi siano tenute da “chargé d’affaires“.

Comunque, l’intenzione – annunciata a suo tempo dal presidente Volodymyr Zelensky – è quella di continuare a gettare le basi di più strette relazioni con questo continente che risulta sempre più strategico non solo dal punto di vista commerciale ma da quello geopolitico. E l’intento, ovviamente, è contrastare l’influenza di Mosca.

Annunciata già l’apertura di altre sedi diplomatiche in Rwanda e Botswana che porterebbero a 16 il numero delle sedi diplomatiche ucraìne in territorio africano.

Intanto, a gennaio dello scorso anno Russia e Ghana hanno celebrato il 65° anniversario dell’instaurazione delle relazioni diplomatiche tra i due paesi che, tra gli alti e bassi della storia, non hanno mai smesso il loro legame.

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Arte e Cultura Costa d'Avorio
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Musica / L’album
Tiken Jah Fakoly si riscopre in acustico
Con il suo ultimo lavoro l’artista ivoriano, da anni residente in Mali anche per motivi politici, dà nuova voce a 13 cavalli di battaglia della sua carriera. Un percorso che lo ha portato alla vetta della scena reggae continentale
17 Aprile 2024
Articolo di Marcello Lorrai
Tempo di lettura 1 minuti
Tiken Jah Fakoly (Credit: Wikimedia Commons / BY-SA 4.0)

Questo articolo è uscito nella sezione “Afroculture” del numero di Nigrizia di aprile 2024.

Emerso negli anni sessanta, il reggae è stato accolto prontamente e con grande entusiasmo un po’ in tutta l’Africa. Ma la Costa d’Avorio in particolare ha stabilito con questo genere una speciale sintonia. Se non sono mancati importanti protagonisti africani del reggae di altre nazionalità, come il nigeriano Majek Fashek (1963-2020) e il sudafricano Lucky […]
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Armi, Conflitti e Terrorismo Libia Nazioni Unite Politica e Società
Abdoulaye Bathily accusa i leader libici e gli alleati stranieri di voler mantenere lo status quo
L’inviato delle Nazioni Unite in Libia lascia l’incarico
17 Aprile 2024
Articolo di Redazione
Tempo di lettura 3 minuti
Abdoulaye Bathily (Credit: UNSMIL)

Il suo mandato è durato 18 mesi e alla fine, come tutti i suoi predecessori, anche Abdoulaye Bathily, rappresentante speciale del segretario generale e capo della missione di supporto delle Nazioni Unite in Libia (UNSMIL), si è visto costretto a gettare la spugna.

Bathily ha annunciato ieri al Consiglio di sicurezza le sue dimissioni, accolte dal segretario generale dell’ONU Antonio Guterres. Una resa che segna l’ennesima sconfitta per i tentativi delle Nazioni Unite di portare il paese alla stabilità.

Le motivazioni dietro la decisione dipingono un quadro estremamente cupo per il paese, dilaniato da caos politico e insicurezza dal 2011, in seguito al rovesciamento del regime di Gheddafi, e di fatto governato da due esecutivi rivali e controllato da una miriade di milizie.

Il politico e diplomatico senegalese si è detto molto scoraggiato e deluso di fronte a persone che mettono “i loro interessi personali al di sopra dei bisogni del paese”, denunciando “la mancanza di volontà politica e di buona fede da parte dei due leader libici che sono a proprio agio con l’attuale situazione di stallo”.

“La determinazione egoistica degli attuali leader nel mantenere lo status quo attraverso manovre e tattiche dilatorie, a scapito del popolo libico, deve finire”, ha aggiunto. “Sotto la mia direzione la missione ha compiuto molti sforzi”, incontrando “resistenza ostinata, aspettative irragionevoli e indifferenza verso gli interessi della popolazione” e “negli ultimi mesi la situazione è peggiorata”.

Annunciando al Consiglio di sicurezza il rinvio a data da destinarsi della conferenza nazionale di riconciliazione interlibica prevista per il 28 aprile, Bathily ha affermato che “in queste circostanze, l’ONU non ha alcuna possibilità di agire con successo”, e che non c’è “spazio per una soluzione politica”.

Interessi stranieri nella destabilizzazione

Il questo senso il diplomatico ha indicato un secondo fattore rilevante, ovvero le crescenti interferenze di attori esterni (il riferimento è in particolare a Turchia e Russia).

Parlando di un paese trasformato in un “campo di battaglia”, Bathily ha avvertito che la Libia sta per perdere la sua sovranità. Gli sforzi fin qui compiuti dall’ONU per evitare che ciò accada, ha spiegato, sono stati minati da attori esterni.

“Il Consiglio di sicurezza dovrebbe assumersi la responsabilità perché è stato il Consiglio di sicurezza che nel 2011 ha deciso di intervenire in Libia”. “Ma finora, nonostante tutti gli sforzi compiuti, invece di migliorare, la situazione sta peggiorando, anche a causa della mancanza di coordinamento degli Stati membri.”

Bathily ha quindi concluso chiedendo al Consiglio di dimostrare unità “per costringere le parti interessate libiche e regionali a sostenere gli sforzi dell’UNSMIL per ripristinare l’unità e la legittimità delle istituzioni libiche attraverso un dialogo politico”.

Abdoulaye Bathily era stato posto alla guida della missione di sostegno delle Nazioni Unite in Libia nell’agosto 2022, dopo le dimissioni del suo predecessore Stephanie Williams, e prima di lei di Jan Kubis, nel novembre 2021. La sua missione era quella di condurre il paese verso elezioni che dovrebbero far uscire la Libia dal lungo periodo di transizione. Un obiettivo che oggi appare sempre più complicato da raggiungere.

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