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Armi, Conflitti e Terrorismo Economia Politica e Società Tanzania
Il colosso della difesa ha firmato un contratto anche con la Tanzania per la cessione di due C-27J Spartan
Leonardo, affari d’oro in Nigeria
L’accordo con Abuja prevede la vendita di 24 aerei militari M-346. I primi 6 entro la fine del 2024. Il 17 aprile scorso un alto dirigente dell’azienda italiana ha incontrato il ministro della difesa per i dettagli finali. Per alcuni siti del settore si parla di un business da circa un miliardo di dollari
24 Aprile 2024
Articolo di Gianni Ballarini
Tempo di lettura 4 minuti

La Nigeria è il paese subsahariano a cui abbiamo venduto più armi nel 2023. Secondo la Relazione governativa italiana di import ed export di armamenti, il valore supera i 93 milioni di euro.

Briciole rispetto al business che Leonardo ha concluso con l’aeronautica militare nigeriana (Naf). Entro fine anno arriverà ad Abuja il primo lotto di sei aerei militari M-346 di Alenia Aermacchi. Ma i lotti in totale saranno 4 per un totale di 24 aeromobili da combattimento.

Il costo del singolo velivolo varia in base alla sua configurazione. Alcuni media di settore – come Air & Cosmos International o come Italian Defence Technologies – parlano di un affare da 1,2 miliardi di dollari.

Dipinti come aerei di addestramento, in realtà sono predisposti anche per missioni di attacco terrestre, marittimo e per missioni di pattugliamento. Le capacità multi-missione e gli armamenti avanzati che hanno in dotazione «rafforzeranno la capacità della Nigeria di rispondere a una serie di sfide sulla sicurezza». Così lo stato maggiore dell’aeronautica ha giustificato l’acquisto.

L’accordo di vendita era stato raggiunto due anni fa.

La visita di Sabatino

A sigillare definitivamente la vendita è arrivato ad Abuja, il 17 aprile scorso, Claudio Sabatino, vicepresidente marketing e vendite per l’Africa subsahariana di Leonardo Aircraft. L’alto dirigente ha fatto visita al quartier generale della Naf.

Sabatino ha rassicurato Hasan Bala Abubakar, capo di stato maggiore dell’aeronautica, che le 4 consegne non subiranno ritardi rispetto alla tempistica fissata e che l’accordo vincola Leonardo per 25 anni per il supporto alla manutenzione degli aerei.

Ma la sua visita è stata anche l’occasione per definire altri aspetti del progetto, come l’inizio della formazione dei piloti e dei tecnici nigeriani. All’inizio si era parlato di utilizzare, per lo scopo, la scuola internazionale di volo di Galatina e la base aerea di Decimomannu, in Sardegna.

Quali missili trasporta?

Secondo il sito specializzato Military.africa, l’ M-346 può trasportare diversi tipi di munizioni, «inclusi missili aria-aria a corto raggio Iris-T, o Aim-9 Siderwinder, vari missili aria-superficie, missili antinave, bombe e razzi a caduta libera e a guida laser».

Defence News ha scritto che «l’anno scorso Leonardo ha sottoscritto un accordo per montare il cannone 20M621 da 20 mm di Nexter»

Gli M-346 fanno parte di un pacchetto di nuovi aerei militari acquistati (o in procinto di essere acquistati) dalla Naf, tra cui sei elicotteri d’attacco T-129 delle industrie aerospaziali turche (un’evoluzione dell’elicottero A129 Mangusta, dell’italiana AgustaWestland); due aerei da trasporti Beechcraft King Air 360 di produzione americana; quattro aerei da sorveglianza Diamond DA-62 dell’azienda austriaca Diamond Aircraft Industries.

Un buon cliente

Ma tra gli acquisti ci sono anche 12 elicotteri Agusta A109 Trekker, sempre del gruppo Leonardo. La Naf, così, si rivela un buon cliente per la multinazionale italiana, almeno considerando gli ordini precedenti all’M-346, tra cui gli aeromobili C-27J Spartan, gli elicotteri AW139, gli AW189 e, appunto, gli AW109.

La Nigeria sta investendo sempre più nel militare. L’ultimo rapporto del Sipri (Stockholm International Peace Research Institute)  mostra che c’è stato un incremento del 20% della spesa della Nigeria, il principale finanziatore militare della subregione.

Spesa che ha raggiunto i 3,2 miliardi di dollari nel 2023 giustificati da Abuja per le numerose sfide alla sicurezza cui deve far fronte.

Mercato tanzaniano

Leonardo sta tuttavia estendendo il suo mercato anche in Tanzania.

Il 9 gennaio scorso, il ministro locale della difesa, Stergomena Tax, ha firmato un contratto con Leonardo per la consegna di due aerei da trasporto C-27J Spartan per il Comando dell’aeronautica militare.

L’Alenia C-27J Spartan è un aereo da trasporto militare sviluppato e prodotto dalla divisione velivoli di Leonardo. È un derivato avanzato del precedente G.222 dell’ex Alenia Aeronautica.

I C-27J Spartan saranno operativi presso la base aerea di Dar Es-Salaam/Julius Nyerere. Non è stata rivelata una loro data di consegna.

L’aereo da trasporto militare è stato scelto da operatori di 16 paesi in tutti i continenti.

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Armi, Conflitti e Terrorismo Chiesa e Missione Congo (Rep. dem.)
Il cardinale Fridolin Ambongo Besungu è intervenuto sulla drammatica situazione nell’Est del paese
Rd Congo: le denunce dell’arcivescovo di Kinshasa irritano il governo
23 Aprile 2024
Articolo di Redazione
Tempo di lettura 4 minuti
Il card. Fridolin Ambongo Besungu

Ha suscitato reazioni negative da parte di alcuni membri del governo di Kinshasa la coraggiosa denuncia che il cardinale Fridolin Ambongo Besungu, arcivescovo di Kinshasa, ha fatto riguardo al graduale degrado nelle regioni orientali della Repubblica democratica del Congo, in seguito al conflitto e alle violenze perpetrate anche verso la popolazione da decine di gruppi armati.

Una recente intervista da lui rilasciata all’agenzia Fides è stata interpretata dalle autorità governative come un’accusa diretta alle autorità civili, basata su tesi e argomenti di altrettante denunce contro Kinshasa da parte di nazioni attualmente in conflitto con la Rd Congo.

Un chiarimento al riguardo è stato fatto dalla stessa agenzia, secondo la quale le parole del cardinale sono state interpretate in modo errato. Ha infatti negato che il prelato abbia mai detto, ad esempio, che “il governo ha distribuito armi aggiuntive a diversi gruppi armati come gli wazalendo e ad alcuni membri delle Forze di liberazione del Rwanda (FDLR)”.

E ha voluto precisare la vera posizione di mons. Fridolin, che si pronuncia anche in nome dei vescovi del paese.

Il cardinale denuncia infatti che:

1) la guerra nella Rd Congo è causata dall’intento predatorio delle ricchezze del suolo e del sottosuolo da parte di entità e governi stranieri, così come dalla volontà espansionista di alcuni dei suoi vicini, compreso il Rwanda.

2) La guerra beneficia della complicità interna di agenti congolesi.

3) L’insicurezza generale e l’aumento di profughi e rifugiati avviene soprattutto a causa della proliferazione dei gruppi armati.

4) La soluzione alla crisi regionale non può essere di natura militare, ma deve passare essenzialmente attraverso il dialogo tra congolesi, altri governi e comunità internazionale.

Certamente la denuncia del presidente dei vescovi congolesi riguarda anche iniziative internazionali e decisioni che appaiono forme di “neocolonialismo”.

Ad esempio lo scorso 21 marzo, il card. Ambongo aveva denunciato con chiarezza l’accordo firmato tra l’Unione Europea e il Rwanda «per lo sfruttamento delle materie prime e di altre risorse che, in realtà, non si trovano in Rwanda ma nell’est della Rd Congo».

«Questo – aveva sottolineato l’arcivescovo di Kinshasa – è intollerabile e crea molta confusione in una regione, quella dei Grandi Laghi, che vive già forti tensioni».

Nella recente intervista il cardinale dichiarava: «Sempre più critica appare la situazione a Goma, capitale del Nord Kivu, nell’est del paese, dove i guerriglieri dell’M23 (sostenuti dal Rwanda, ndr) hanno ripreso le armi dal 2021 e hanno occupato diverse città. Ciò che temiamo di più è il rischio di insicurezza generale, soprattutto a Goma ma anche in generale in tutta la regione orientale».

Il cardinale menzionava tra l’altro il gruppo wazalendo (“patrioti” in lingua kiswahili), una coalizione di gruppi che hanno imbracciato le armi per difendere la popolazione contro l’M23.

Il fondatore del gruppo, Éphraïm Bisimwa, leader di una setta messianica locale, era stato condannato a morte lo scorso ottobre in seguito a gravi incidenti avvenuti il 30 agosto 2023 durante proteste contro la presenza dei caschi blu della missione ONU (MONUSCO) nel paese e a Goma, dove rimasero uccise oltre 50 persone.

«L’arresto e la condanna a morte del leader di wazalendo – aveva detto il cardinale – ha dimostrato che questo gruppo non è omogeneo. Alcuni dei suoi seguaci sono entrati addirittura nelle file dell’M23. È difficile controllare questi gruppi armati, che fanno capo a molti leader».

E aggiungeva: «I gruppi armati d’ogni sorta, alla fine diventano un pericolo per la popolazione, estorcono denaro ai cittadini, commettono rapine e omicidi, e si dedicano al commercio illegale di minerali estratti nelle miniere artigianali della regione».

I vescovi della provincia ecclesiastica di Bukavu, nel Sud Kivu, hanno diffuso a metà aprile una lettera pastorale che presenta un’analisi critica molto chiara della realtà nell’est del Congo.

«La Chiesa stessa nella regione opera in condizione di grande pericolo – ha sottolineato Fridolin – e i vescovi della provincia di Bukavu, come tutti noi a livello nazionale della Conferenza episcopale congolese (CENCO), abbiamo deciso di sostenere la popolazione in questo momento difficile. Questo è ciò che la Chiesa sta cercando di fare, pur nelle condizioni estremamente critiche in cui tutti si trovano immersi».

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Armi, Conflitti e Terrorismo Sudan
Il leader del RAC è la prima figura di alto livello della tribù mahamid-rizeigat a entrare in guerra contro le RSF
Sudan: Musa Hilal si schiera con l’esercito in Nord Darfur
23 Aprile 2024
Articolo di Redazione
Tempo di lettura 3 minuti
Musa Hilal (Screenshot)

È un annuncio che potrebbe comportare una svolta significativa nella guerra in corso da oltre un anno in Sudan, quello fatto ieri da Musa Hilal, importante leader tribale nel Nord Darfur, che ha dichiarato il suo sostegno alle forze armate (SAF) contro le Forze di supporto rapido (RSF), impegnate nella conquista dell’intera regione occidentale.

Hilal è capo del Consiglio del risveglio rivoluzionario (Revolutionary Awakening Council – RAC) e leader del ramo mahamid della tribù rizeigat, alla quale appartiene anche la famiglia del comandante delle RSF, Mohamed Hamdan Dagalo, detto Hemeti, così come molti altri vertici del gruppo paramilitare e delle milizie regionali sue alleate.

La rivalità e la lotta tra Hilal ed Hemeti per la supremazia tribale in Nord Darfur risale ai primi anni del 2010.

Assoldato dall’allora dittatore islamista Omar El-Bashir, Hilal guidò, a partire dal 2003, le famigerate milizie janjaweed che misero a ferro e fuoco la regione del Darfur, colpendo in particolare la popolazione non araba. I massacri fecero circa 300mila morti.

Come ricompensa, nel 2008, El-Bashir nominò Hilal suo consigliere personale e nel 2010 gli assegnò addirittura un seggio in parlamento. Ma l’idillio tra i due si interruppe quando Hilal, frustrato per la mancanza di attenzione da parte del governo verso lo sviluppo del Darfur, lasciò Khartoum per tornare nella sua regione natale.

Bashir assoldò allora Hemeti, un commerciante di cammelli ed ex combattente dei janjaweed, al quale assegnò la guida di una nuova milizia, le RSF, appunto. Uno dei primi compiti di Hemeti fu arrestare Hilal per essersi rifiutato di disarmare le sue forze.

Hilal fu incarcerato nel novembre 2017 e accusato davanti a un tribunale militare di indebolimento della Costituzione, incitamento alla guerra contro lo stato e provocazione di conflitti tribali. Fu liberato nel marzo 2021, due anni dopo il rovesciamento del regime di El-Bashir.  

Dallo scoppio della guerra, nell’aprile 2023, Musa Hilal non ha smesso di accusare le RSF e le milizie libiche e ciadiane affiliate di diffuse violazioni dei diritti umani contro i civili in Darfur – le stesse atrocità perpetrate, peraltro, vent’anni fa dai suoi uomini -, ma fino ad ora si era astenuto dal prendere parte ai combattimenti.  

Hilal diventa la prima figura di alto livello della tribù mahamid-rizeigat a sostenere l’esercito. «Siamo dalla parte delle forze armate», ha dichiarato parlando alla folla a Um Sunt, nel Nord Darfur. «La difesa della nostra patria richiede tutta la forza. Molte tribù del Darfur mi hanno esortato a dare priorità alla stabilità dello stato e alla pace».

Il Consiglio del risveglio rivoluzionario si unisce così ad altri due importanti gruppi armati darfuriani che lo scorso novembre hanno annunciato il loro schieramento con le SAF: il Movimento di liberazione del Sudan (SLM-MM) guidato da Minni Minawi e il Movimento per la giustizia e l’uguaglianza (JEM) di Gibril Ibrahim.

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Migrazioni Pace e Diritti Politica e Società
Le Camere britanniche approvano la legge. Le Nazioni Unite si appellano alle compagnie aeree perché boicottino i voli
Patto Rwanda-Regno Unito: via libera alle deportazioni
23 Aprile 2024
Articolo di Redazione
Tempo di lettura 2 minuti
Il premier britannico Rishi Sunak

«Non ci sono se e non ci sono ma. I primi voli decolleranno entro 10/12 settimane». Dopo una nottata di discussioni è questo il commento con cui il premier Rishi Sunak chiude l’annoso capitolo del controverso patto Rwanda, che prevede il trasferimento nel paese africano dei richiedenti asilo che arrivano nel Regno Unito senza documenti. Nell’attesa di una presa in carico della loro richiesta d’asilo, le persone che arrivano attraversando la Manica in barchini di fortuna verranno deportate.

A sentire il primo ministro gli aerei sarebbero pronti, per cui i vari organismi internazionali e le realtà associative di attivisti per i diritti umani si dovrebbero arrendere una volta per tutte. «Nessun tribunale internazionale ci fermerà». Sarà per questo che gli esperti delle Nazioni unite ieri si appellavano alle compagnie aeree e alle autorità aeronautiche chiedendo di boicottare i “traslochi illegali”.

Stando a quanto commentano gli esperti ONU, queste realtà si renderebbero complici delle violazioni dei diritti umani che sono garantiti per legge e che sono già stati richiamati in passato dai tribunali che hanno bocciato l’accordo Regno Unito-Rwanda. «Come sottolineano i principi guida delle Nazioni Unite su imprese e diritti umani, i regolatori dell’aviazione, le organizzazioni internazionali e gli attori economici sono tenuti a rispettare i diritti umani».

Ma ieri, a tarda notte, è di fatto finito il rimpallo tra le camere dei Lord e dei Comuni. L’ostruzionismo della prima, la settimana scorsa, aveva respinto l’ennesimo tentativo della camera dei Comuni di modificare e portare a casa l’accordo deportazione, ma ora c’è il via libera parlamentare. Il decreto legge è passato, e Sunak e i conservatori hanno ottenuto di considerare il Rwanda paese terzo sicuro, nonostante report internazionali raccontino tutt’altra storia.

Ultimo step sarà la promulgazione, da parte di re Carlo III, della legge. Cosa che, stando a quanto scritto dai giornali britannici, potrebbe avvenire a stretto giro visto che, emendamento su emendamento, richiesta dopo richiesta, tutto è caduto sotto il voto dei conservatori che hanno la maggioranza alla camera dei Comuni.

Maggioranza che si è di fatto arrogata il potere di ignorare il diritto internazionale e nazionale sui diritti umani, bypassando di fatto una sentenza della Corte suprema del Regno Unito secondo cui l’invio di migranti con un biglietto di sola andata a Kigali è illegale.  

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Pace e Diritti Politica e Società Zimbabwe
Incluse persone che erano state condannate alla pena di morte, commutata poi in ergastolo
Zimbabwe: Mnangagwa grazia 4mila detenuti
Le carceri del paese restano sovrappopolate
22 Aprile 2024
Articolo di Redazione
Tempo di lettura 4 minuti
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Sono oltre 4.000 i detenuti che hanno ritrovato la libertà in Zimbabwe per effetto di un’amnistia concessa dal presidente Emmerson Mnangagwa. Il provvedimento è il secondo di questo tipo in meno di un anno e mira ad alleviare lo stato di sovrappopolamento in cui versano le carceri del paese. Fra i reclusi che sono stati liberati figurano anche alcune persone che erano state originariamente condannate a morte e la cui pena è stata poi commutata in ergastolo.

La misura è stata annunciata in occasione del 44esimo anniversario dell’indipendenza del paese, raggiunta dalla Gran Bretagna il 18 aprile 1980 dopo circa 90 anni di dominazione coloniale. Il ritorno alla sovranità dello Zimbabwe ha portato all’abbandono del vecchio nome Rhodesia e soprattutto al superamento, dopo oltre 15 anni dl lotta di liberazione, di un regime di segregazione razziale che vigeva nel paese dal 1964. Da quando, ovvero, la minoranza bianca della popolazione aveva preso il comando e dichiarato unilateralmente l’autonomia da Londra. Anche le politiche della precedente amministrazione britannica erano comunque segnate da una netta gerarchizzazione su base razziale a favore dei bianchi.

Stando a quanto riportato dai media locali, la grazia annunciata da Mnangagwa riguarda solo gruppi specifici di detenuti. Fra questi vi rientrano tutte le donne e i minori di età che hanno scontato almeno un terzo della pena e tutti gli uomini di età superiore ai 60 che hanno trascorso dietro le sbarre l’equivalente di almeno un decimo della condanna, oltre che i detenuti malati terminali e le persone non vedenti o con altre gravi disabilità che hanno trascorso in carcere almeno un terzo del tempo previsto dalla giustizia di Harare. Libere anche le persone in carcere senza un’accusa formale da almeno 48 mesi. A beneficiare dell’amnistia anche quei carcerati che si erano visti commutare la pena da condanna a morte in ergastolo e che hanno passato in prigione almeno 20 anni. Oltre a questo, tutti i condannati a morte che hanno passato in carcere almeno 10 anni si sono visti convertire la pena in ergastolo.

Sono stati invece esclusi dalla grazia le persone che si sono macchiate di una serie di reati fra i quali: reati sessuali, rapina, violenza pubblica, possesso illegale di armi da fuoco, traffico di esseri umani e furto o vandalismo di infrastrutture elettriche e di telecomunicazioni. Non hanno potuto beneficiare dell’amnistia anche i carcerati che erano già stati liberati in passato grazia a misure simili, quelli condannati da tribunali dell’esercito e quelli che hanno all’attivo un tentativo di evasione.

Utile ricordare che l’amnistia arriva in un momento in cui lo Zimbabwe è a un passo dall’abbandonare la pena di morte in forma definitiva. La legge che sancisce la rimozione di questa pratica dall’ordinamento del paese è stata già approvata dal governo a febbraio e aspetta ora solo un ultimo, apparentemente scontato lascia passare del Parlamento, che l’ha già esaminata e avallata in prima istanza a novembre. I condannati a morte nel paese sono fra i 60 e 80 – a seconda delle fonti – e non è chiaro quanti di questi siano stati liberati per merito della grazia annunciata in questi giorni dal capo di stato.

Problema radicato 

Già a maggio Mnangagwa aveva promosso un’amnistia nell’ottica di migliorare le condizioni dei centri di detenzione. Secondo il World Prison Brief, un database del Birkbeck College dell’Università di Londra, il tasso di sovraffollamento dei carceri in Zimbabwe era pari al 131% con dati del 2022. Nelle prigioni del paese africano si trovavano infatti 21mila detenuti a fronte di una capienza complessiva di 17mila. Numeri comunque inferiori di quelli forniti da Moses Chihobvu, alla guida dell’agenzia statale che si occupa dei centri di detenzione. Il dirigente ha affermato infatti che «prima dell’amnistia c’erano 24mila reclusi; ora con 4mila in meno – ha aggiunto parlando dell’amnistia -, le strutture restano ancora piene».

Rispetto ai fattori all’origine di questa situazione, il criminologo locale Obert Muzembe, ascoltato dall’emittente pubblica statunitense Voa, ha puntato il dito anche contro l’alto tasso di inflazione che caratterizza l’economia del paese – e che la Banca centrale ha provato ad alleviare emettendo una nuova moneta, la sesta dal 2008 -: «È una dinamica che esercita pressione sulla società e molte persone vulnerabili finiscono per ricorrere a mezzi illegali per sopravvivere». Ne consegue la necessità di lavorare su più livelli, «educando la società», ha suggerito Muzembe , che a questo proposito a poi chiamato a un maggiore impegno le Chiese locali.

Oltre a essere sovrappopolati, gli istituti penitenziari dello Zimbabwe sono noti per le pessime condizioni igieniche e i trattamenti disumani. Famigerato da questo punto di vista è il carcere di massima di sicurezza Chikurubi nella capitale Harare, dove fino a quel mese fa era rinchiuso anche un oppositore politico di primo piano come Job Sikhala.

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