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La missione della Sadc lascia il nord del paese e la lotta contro le milizie attive nella provincia
Mozambico: il vuoto dopo l‘uscita della SAMIM a Cabo Delgado
Nella regione restano però 3000 soldati rwandesi
19 Aprile 2024
Articolo di Luca Bussotti
Tempo di lettura 5 minuti
Nyusi e Kagame in visita a Cabo Delgado. Foto dal profilo Flickr di Kagame

Ciò che era stato preannunciato si è alla fine concretizzato: la missione della Sadc (Southern Africa Development Community), denominata Samim, sta ormai lasciando il terreno di guerra di Cabo Delgado, nord del Mozambico. Il termine dell’operazione Vikela, col ritiro delle truppe degli otto paesi che componevano la missione militare della Sadc (Angola, Botswana, Repubblica Democratica del Congo, Lesotho, Malawi, Sudafrica, Tanzania e Zambia) era stato annunciato sin dalla fine dello scorso anno, e poi ribadito a marzo di quest’anno; ciononostante, alcuni osservatori avevano ipotizzato un prolungamento della missione, vista la situazione di rinnovati attacchi da parte dei gruppi jihadisti, dopo una relativa calma per tutto il 2023.

Proprio nei giorni scorsi, a fronte della nuova ondata di confronti militari, dopo una loro relativa interruzione durante il Ramadan, le autorità inglesi avevano consigliato i propri cittadini a non intraprendere viaggi nella località di Chiure, da cui, da febbraio scorso, circa 100mila persone sono fuggite. Chiure si aggiunge alla lista che comprende buona parte della provincia di Cabo Delgado, fra cui Mueda, Nangade e Palma, all’estremo nord, e Mocímboa da Praia, Muidumbe, Meluco, Macomia, Quissanga e Ibo. Insomma, da nord a sud Cabo Delgado è adesso off limits, e l’uscita delle truppe della Sadc creerà un ulteriore vuoto in termini di presenza militare.

Le ragioni dell’uscita

Il governo, mediante il suo portavoce, Filimão Suaze, e il ministro della difesa, Cristóvão Chume, si è precipitato a dire che la situazione, adesso, è maggiormente controllata rispetto al 2021, quando la Sadc, subito dopo il Rwanda, decise di inviare le proprie truppe, al fine di contenere il terrorismo che rischiava di espandersi a tutta la regione. Chiamato a rispondere alle interrogazioni delle opposizioni in parlamento, Chume ha dichiarato che la Samim ha raggiunto i propri obiettivi, e che saranno le truppe mozambicane (insieme a quelle del Rwanda) a ricoprire il vuoto lasciato dall’esercito dell’organizzazione sub-regionale, che era stato collocato a sud (Chiure) e all’estremo nord (Nangade, Mueda).

L’altro motivo dell’uscita della Sadc da Cabo Delgado sarebbe legato a questioni finanziarie: mantenere un esercito di circa 1500 effettivi per anni in un paese della comunità ha un costo enorme, e tuttavia anche questa ragione potrebbe non essere quella reale. Alla base della decisione della Sadc, a fronte di una situazione che, al contrario di ciò che affermano le fonti ufficiali, sta sfuggendo di mano all’esercito regolare, vi sarebbero contrasti politici di notevole entità proprio col governo del Mozambico e col suo alleato preferenziale, il Rwanda.

Sin dall’inizio questo rapporto bilaterale preferenziale con Kagame non era stato giudicato positivamente dalla Sadc. Tutto era stato fatto senza la necessaria informazione che il governo mozambicano avrebbe dovuto dare ai propri partner regionali, mentre Nyusi si incontrava a Parigi con Macron e Kagame a maggio del 2021, ossia una quarantina di giorni prima dell’inizio della missione del Rwanda a Cabo Delgado ). Su questa base, la lotta al terrorismo si è svolta secondo piani paralleli di tre eserciti che non si sono mai integrati o, almeno, senza un rapporto di stretta collaborazione fra Samim e Rwanda. E proprio il Rwanda è stato il pomo della discordia: accusato sempre più frequentemente di finanziare i terroristi del gruppo M23 nelle province orientale della Repubblica democratica del Congo, la Sadc non poteva continuare a condividere un’operazione in Mozambico insieme a un partner – appunto il Rwanda di Kagame – che sta destabilizzando una delle aree centrali della stessa organizzazione di cui anche il Mozambico fa parte, e verso cui la Sadc intenderà, nei prossimi mesi, concentrare i propri sforzi militari, al fine di prevenire l’allargamento del conflitto in tutta la regione.

Possibili vie di uscita

A oggi, ciò che si sa è che a rimpiazzare a breve termine i 1500 effettivi della Samim dovranno essere in parte l’esercito mozambicano, e in parte quello rwandese, che ha già sul terreno circa 3000 uomini. Ipotesi entrambe problematiche, visto che, nel primo caso, l’efficienza degli effettivi locali è notoriamente bassissima, e nel secondo significherebbe consegnare la parte più ricca del paese a Paul Kagame, con conseguenze prevedibili in termini di do ut des.

Altri partner si sono offerti per soccorrere l’alleato in difficoltà; fra questi non poteva mancare la Russia di Putin, così come la Turchia di Erdogan, con cui, nel 2023 fu firmato un accordo nel settore della difesa, ratificato dal consiglio dei minstri del Mozambico a marzo di quest’anno, e che prevede soprattutto l’acquisto di armi da Ankara, in particolare droni da combattimento, ritenuti essenziali per la lotta al terrorismo a Cabo Delgado.

Con l’uscita della Samim nuovi scenari geopolitici si stanno aprendo, con le risorse di Cabo Delgado a fare da calamita per vari paesi, e con le popolazioni a fuggire dai propri villaggi, abbandonandoli al loro destino. Una situazione, forse, anche questa voluta, che lascerà campo libero ai vari investitori internazionali, alla ricerca di gas, diamanti, litio e altre materie prime di cui il nord del Mozambico ha grande disponibilità.

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Ambiente Economia Etiopia Politica e Società Unione Europea
L’Unione Europea assorbe oltre il 30% del caffè prodotto nel paese
Etiopia: la legge UE contro la deforestazione allarma i produttori di caffè
Milioni di piccoli coltivatori - denunciano i sindacati - non saranno in grado di soddisfare i criteri imposti dalla nuova normativa europea EUDR. Insieme ai produttori di cacao di Ghana e Costa d’Avorio, chiedono che la sua entrata in vigore, prevista nel 2025, sia posticipata
19 Aprile 2024
Articolo di Redazione
Tempo di lettura 5 minuti

Il caffè, tra le maggiori coltivazioni dell’Etiopia, copre un terzo dei proventi delle sue esportazioni e rappresenta la principale fonte di valuta estera. L’Unione Europea, che assorbe oltre il 30% del caffè prodotto, è il mercato più grande al quale viene destinato. Nella regione del Kafa, nel sud-ovest dell’Etiopia, da dove molti affermano che il prodotto abbia preso nome, l’80% dei chicchi prodotti viene esportato in Germania.

Si contano in Etiopia oltre 5 milioni di piccoli proprietari e famiglie che possiedono al più un ettaro di piantagione, e che dipendono dalla coltivazione del caffè. Altri 10 milioni di lavoratori, poi, vengono ingaggiati per la raccolta, il lavaggio e il trasporto delle bacche.

Insieme al khat (noto anche come chat o qat), le cui foglie masticate producono uno stato di alterazione simile a quello dell’anfetamina e conducono all’assuefazione, anche il caffè è stato per decenni basilare per la crescita economica del paese.

Allarmi per il nuovo regolamento UE

Oggi, tuttavia, i produttori non nascondono la propria preoccupazione, temendo che la nuova legislazione europea relativa al Regolamento UE sui prodotti legati alla deforestazione (EUDR), che dovrebbe entrare in vigore nel 2025, rappresenterebbe un rischio fatale per le loro coltivazioni. L’EUDR, infatti, vieta la vendita di caffè, gomma, cacao e altri prodotti se le aziende non riescono a dimostrare con documentazione scritta che non provengono da terreni deforestati.

Se da un lato gli ambientalisti ritengono un risultato storico la nuova legge europea, l’industria del caffè in Etiopia sostiene che le nuove regole ignorano che quasi tutto il caffè etiopico viene coltivato da piccoli agricoltori molto poveri. Costoro possiedono piccoli appezzamenti di terreno e non hanno le competenze per raccogliere i complessi dati necessari per dimostrare la conformità delle loro piccole piantagioni rispetto alla nuova legge.

A milioni di loro, infatti, viene chiesto di fornire documenti per dimostrare che la loro terra non è stata deforestata, anche se sono del tutto ignoranti riguardo a ciò, dato che il caffè viene coltivato dalle loro famiglie da diverse generazioni.  

«La legge dell’EUDR cambierà tutto, poiché soddisfare i criteri dell’UE richiede strumenti tecnologici e manodopera che semplicemente non abbiamo», sostiene Abebe Megnetto, manager del sindacato del caffè nel Kafa, e rappresentante di 13.676 coltivatori.

Molti funzionari che lavorano nel settore del caffè, peraltro, sostengono che i chicchi del sud Etiopia sono più sostenibili di quelli di altri grandi produttori, come l’industria brasiliana, dove la maggior parte delle piantagioni di caffè sono vaste monocolture ritagliate dalla giungla, sostenute da fertilizzanti e prive di alberi. La coltivazione del caffè in Etiopia, al contrario, si basa sul mantenimento dei boschi, data l’ombra che forniscono, che serve a proteggere le piante di caffè dal caldo.

Commesse in calo

Tuttavia è già stato notato un rallentamento delle ordinazioni da parte degli acquirenti europei, che rischiano multe fino al 4% del loro fatturato se scoperti a introdurre prodotti non conformi alla legislazione dell’UE.

«Gli acquirenti esitano ad acquistare il nostro caffè perché non sono sicuri che possiamo dimostrare la conformità con il regolamento, stiamo perciò pensando di indirizzarci verso altri mercati, ma questo richiederà molto tempo», spiega Tsegaye Anebo, manager del sindacato dei coltivatori di caffè nello stato-regione del Sidama, 200 km a est di Kafa.

Altra preoccupazione consiste negli eventuali costi di adeguamento alle regole che potrebbero rendere il caffè etiopico non competitivo a causa della sua forte dipendenza dai piccoli proprietari terrieri. Le catene di approvvigionamento del paese, infatti, sono frammentate e coinvolgono diversi intermediari, e una singola spedizione di caffè verso l’Europa include chicchi di migliaia di piccoli coltivatori.

Un dirigente di una grande società commerciale che importa caffè etiopico in Europa ha spiegato: «In paesi come il Brasile è facile visitare piantagioni anche molto vaste e raccogliere i dati necessari richiesti dall’EUDR. In Etiopia invece si dovrebbero mappare uno per uno tutti i piccoli possedimenti. Un esercizio certamente molto costoso».

Va tra l’altro segnalato che anche i produttori di cacao in Ghana e in Costa d’Avorio, oltre che in Indonesia dove si produce olio di palma, hanno chiesto – così come l’Etiopia – che venga posticipata l’introduzione della nuova politica legata all’EUDR.

«Il caffè che produciamo – afferma con orgoglio Abebe del sindacato del caffè di Kafa – dà anche un contributo inestimabile per la costruzione di scuole, centri sanitari, strade e altre infrastrutture. Senza poter esportare verso il mercato europeo, perderemmo anche tutto questo».

Antica cultura

I germogli del caffè, pianta che appartiene alla famiglia delle rubiacee, fioriscono più volte prima di trasformarsi in bacche rosse e rotonde, pronte per la raccolta verso ottobre. Vengono poi lavorati per l’esportazione e spediti inizialmente ad Addis Abeba e smistati all’estero.

Il caffè nel Kafa, ma anche in tutta l’Etiopia, non rappresenta semplicemente una bevanda ma ha un grande valore simbolico, ancor più nel Kafa, ritenuto il luogo di nascita del caffè di qualità Arabica, che cresce in modo spontaneo nelle foreste pluviali temperate.

Nelle regioni in cui viene prodotto, il caffè è parte integrante dell’identità e della cultura della popolazione, al punto che non solo viene consumato in abbondanza ma costituisce un fattore basilare di aggregazione famigliare e sociale, basti pensare alle elaborate cerimonie di preparazione della bevanda.

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Un'indagine di Public Eye ha riscontrato oltre 6 grammi di zuccheri aggiunti a porzione nei prodotti venduti in paesi a medio e basso reddito
Nestlé: zuccheri aggiunti nei prodotti per bambini venduti nei paesi africani
19 Aprile 2024
Articolo di Redazione
Tempo di lettura 2 minuti

Nestlé continua a fare scandalo. Una delle più tristemente note multinazionali al mondo, da anni al centro di campagne di boicottaggio, è di nuovo sotto attacco. Questa volta, l’accusa di aggiungere zucchero nei prodotti per bambini venduti nei paesi a medio-basso reddito. 

A denunciarlo, Public Eye, organizzazione investigativa svizzera, che ha fatto esaminare alcuni campioni di articoli venduti in Africa, Asia e America Latina. I risultati hanno dimostrato la presenza di dosi importanti di zuccheri aggiunti sotto forma di saccarosio, miele e dolcificanti. Una prassi che mette gravemente a rischio la salute dell’infanzia. È l’ennesimo doppio standard rispetto ai paesi, per esempio, dell’Unione Europea e al Regno Unito, nei quali sono applicate le linee guida dell’OMS che vietano l’aggiunta di agenti dolcificanti negli alimenti per bambini al di sotto dei tre anni.

L’obesità infatti, è sempre più un’emergenza nei paesi africani, dove i bambini sovrappeso al di sotto dei cinque anni sono aumentati del 23% dal 2000, con quasi un miliardo di persone affette dalla malattia a livello globale, di cui 36 milioni di bambini. 

Il rapporto di Public Eye, realizzato in collaborazione con l’International Baby Food Action Network, testimonia che dell’oltre 1 miliardo e mezzo di dollari di vendite di Cerelac, uno dei prodotti incriminati insieme a Nido, buona parte proviene dai paesi a medio e basso reddito, il 40% solo da India e Brasile. 

In Etiopia sono stati scoperti 5,2 grammi di zuccheri aggiunti per ogni porzione, 6 in Senegal, in Nigeria addirittura 6,8. E rigorosamente non dichiarati nella confezione, fatta eccezione per il Sudafrica, con 4,2 grammi. 

Lo stesso dicasi per Nido, latte in polvere, anche se in misura minore.

Il 70% dei campioni analizzati presentava zuccheri aggiunti. Fa sorridere, molto amaramente, se si tiene conto che si tratta dei due prodotti di punta della campagna condotta da Nestlé per promuovere una vita più sana tra i bambini. Ma a quanto pare, si fa riferimento soltanto ai bambini occidentali, per i quali i prodotti vengono venduti in modo effettivamente aderenti agli standard dell’Oms. (AB)

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Ambiente Arena di Pace 2024 Pace e Diritti Politica e Società
PLUS
Verso Arena 2024 / 3 Ecologia integrale e nuovi stili di vita
Il futuro è oggi. Si vince o si perde tutti insieme
Il tempo che viviamo è il tempo della cura. Dobbiamo mobilitarci facendo la nostra parte per la salvaguardia del Creato. La passività è l’atteggiamento più sbagliato
19 Aprile 2024
Articolo di Federico Sartori e Marta Bobbio
Tempo di lettura 1 minuti
Arena 2024 - Gruppo di lavoro sul tema ecologia integrale e nuovi stili di vita

Questo articolo è uscito nella sezione “Africa 54” della rivista Nigrizia di aprile 2024.

Cosa c’entra il termine pace con il concetto di ecologia integrale e nuovi stili di vita? Questa è una delle 5 sfide che il percorso Arena di pace ha lanciato pochi mesi fa e su cui ci siamo soffermati nei tavoli di lavoro: accanto a questa, gli ideatori di Arena24 hanno chiesto di declinare la […]
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Burkina Faso Politica e Società Russia
Continua l’opera di allontanamento dall’ex potenza coloniale, sulla scia di Mali e Niger
Burkina Faso: espulsi tre diplomatici francesi accusati di “attività sovversive”
19 Aprile 2024
Articolo di Redazione
Tempo di lettura 2 minuti
Il capo della giunta militare al potere Ibrahim Traoré (Credit: Presidence Faso)

Rapporti sempre più tesi tra la giunta militare al potere in Burkina Faso e la Francia dopo l’espulsione, decretata ieri, di tre diplomatici francesi, due dei quali sarebbero consiglieri politici.

Senza fornire spiegazioni ufficiali sui motivi della decisione, le autorità hanno dato a Gwenaelle Habouzit, Herve Fournier e Guillaume Reisacher 48 ore per lasciare il paese saheliano.

In una lettera del ministero degli Esteri visionata dalle agenzie di stampa Reuters e Agence France-Presse (AFP), si legge che i tre sono accusati di non meglio precisate “attività sovversive”. Citando una fonte con conoscenza diretta della situazione, Reuters afferma che la loro espulsione è dovuta a incontri avuti con i leader della società civile.

La mossa segna un ulteriore passo nella politica di allontanamento dall’ex potenza coloniale, iniziato subito dopo il golpe del settembre 2022 con la cacciata delle truppe francesi, la sospensione di alcuni media francesi e con ripetute accuse di spionaggio nei confronti di funzionari d’oltralpe.

Su quest’ultimo fronte i primi a lasciare il paese, nel dicembre 2022, furono due cittadini francesi che lavoravano per un’azienda burkinabé, accusati di spionaggio. Con la stessa accusa il 1° dicembre scorso sono stati arrestati quattro agenti dell’intelligence di Parigi, il Servizio di informazioni all’estero (DGSE), tutt’ora detenuti ai domiciliari a Ouagadougou.

Sulla scia delle giunte militari golpiste di Mali e Niger, anche il Burkina Faso si è progressivamente avvicinato alla Russia per ottenere sostegno nella lotta ai movimenti jihadisti. Un drastico cambio di rotta che ha portato a un allontanamento da Parigi e che ha sancito anche un’alleanza fra i tre paesi del Sahel.    

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