Questo articolo è uscito nella sezione “Africa 54” del numero di Nigrizia di novembre 2025.
Questo articolo è uscito nella sezione “Africa 54” del numero di Nigrizia di novembre 2025.
Un’opera titanica, che mette l’Africa al centro della storia e restituisce al continente il suo posto, un posto fondamentale, nella narrazione globale e nella conoscenza. La Storia generale dell’Africa ha da oggi tre nuovi volumi, gli ultimi, che si vanno ad aggiungere agli otto realizzati nel corso degli anni.
Il progetto dell’UNESCO è uno di quelli davvero ambiziosi. Si conclude dopo 61 anni. Tanti ne sono serviti per quest’opera monumentale avviata nel 1964, proprio in quegli anni in cui vari paesi africani conquistavano l’indipendenza e si avviavano verso una nuova epoca.
Ma cos’era questo continente, che rimaneva legato a immaginari e racconti di altri? Quale è stato il suo percorso negli eventi della storia, quale contributo ha dato a questi eventi, che cammino ha percorso?
Ecco, questa enciclopedia (possiamo ben definirla con questo termine un po’ antico) offre uno strumento completo per scoprire l’Africa svuotandola delle astrazioni immaginarie e riempendola di fatti, di contenuti.
Dall’antichità alla modernità
Questa storia africana raccontata da una prospettiva africana ha visto impegnati in 61 anni oltre 550 esperti, la maggior parte dei quali africani. Docenti, studiosi, ricercatori, storici di fama come il burkinabé Joseph Ki-Zerbo, hanno lavorato a questi undici volumi che coprono il periodo che va dalle origini dell’umanità alle sfide contemporanee.
Il primo volume degli ultimi tre aggiorna i precedenti pubblicati tra il 1964 e il 1994, il secondo si concentra sulle diaspore africane e sul loro inestimabile contributo, il terzo esamina le sfide contemporanee dell'”Africa globale”.
Quello sulle diaspore, in particolare, traccia la diversità di queste esperienze (schiavitù, migrazioni volontarie, scambi accademici e commerciali), mettendo in luce un’identità diasporica pluralistica.
Uguaglianza di genere, globalizzazione, cambiamenti climatici, panafricanismo, salute pubblica, sono invece alcuni dei temi affrontati nel volume conclusivo.
Un’opera “democratica”
Insomma, si esplorano le attuali sfide e opportunità che l’Africa moderna sta affrontando. Un’Africa che già da tempo riveste una posizione centrale nella geopolitica così come nella narrazione globale e il cui approccio, oggi, ad ogni livello, non può prescindere dalla conoscenza.
L’opera, pionieristica nel suo genere, soprattutto in quegli anni in cui fu elaborata, non ha evidentemente solo un valore accademico ma soprattutto didattico. È una risorsa educativa a cui chiunque può fare riferimento. Si tratta, infatti, di un’opera aperta, “democratica”, accessibile in rete.
Una lettura africana
Valorizzare il pensiero africano, le varie identità culturali, le civiltà, le società e le istituzioni del passato era lo scopo di questo progetto che oggi diventa ancora più rilevante perché si lega al presente e al futuro del continente.
L’approccio, fin dall’inizio, è stato quello di superare e di liberarsi dalla prospettiva coloniale così piena di pregiudizi, stereotipi, razzismo. Intrisa, insomma, di suprematismo bianco.
Si è trattato, dunque, di ribaltare la narrazione, con fatti specifici, storie reali per ricondurre il lettore ad una memoria storica non falsata o manipolata. Per farlo gli autori – sottoposti al vaglio di un comitato scientifico – hanno integrato le tradizioni orali con gli archivi scritti, la ricerca scientifica e le scoperte archeologiche.
Ovviamente non è stato un lavoro semplice. Ha richiesto fondi, missioni di raccolta archivistica in tutto il mondo. E a questo scopo sono stati creati due centri a Niamey e Dar es Salaam.
L’opera di divulgazione di quest’opera è davvero importante. La Storia generale dell’Africa è stata pubblicata in 13 lingue, tra cui 3 lingue africane (fulani, hausa e swahili). I primi volumi sono disponibili gratuitamente anche sul sito web dell’UNESCO e le ultime tre pubblicazioni saranno disponibili a breve.
Un nuovo strumento didattico
Sono state sviluppate, inoltre, diverse risorse di utilizzo creativo dei volumi. Tra questi il Curriculum Pathway Tod, una sorta di guida didattica con piani di lezione per gli insegnanti. L’educazione alla storia dell’Africa in ogni contesto, formale o informale, continua di fatto ad essere dominata da prospettive eurocentriche.
Il nuovo modello di insegnamento, che può partire da questi volumi, mira proprio a ribaltare questo modello e a rendere la storia dell’Africa mainstream. Diffusa, studiata, conosciuta.
E c’è anche un videogioco, African Heroes, con dieci figure africane emblematiche (Toussaint Louverture, la regina Nzinga…) provenienti da cinque sottoregioni africane e da diversi periodi storici. L’obiettivo è ampliare la diffusione della conoscenza rendendo l’apprendimento interattivo.
Un “ponte digitale” tra noi e la storia africana attraverso alcuni dei suoi personaggi. Insomma, lo strumento per imparare l’Africa c’è. Ora bisogna cominciare ad usarlo.
Nuovo capitolo della repressione che ha preceduto, accompagnato e seguito le elezioni generali del 29 ottobre in Tanzania.
Lo scorso 8 novembre la polizia ha arrestato Amani Golugwa, vicesegretario generale di CHADEMA, il principale partito di opposizione. L’uomo era ricercato, assieme ad altre nove persone, tra cui il segretario generale del partito John Mnyika e la responsabile delle comunicazioni Brenda Rupia, in relazione alle indagini avviate sui disordini elettorali.
Golugwa è il terzo alto funzionario di CHADEMA finito in manette, dopo il vicepresidente nazionale John Heche, arrestato dalla polizia a Dodoma il 4 novembre, e il leader storico e potenziale candidato alla presidenza Tundu Lissu, da sette mesi in carcere e sotto processo con l’accusa di tradimento.
Centinaia a processo per tradimento
Tradimento e cospirazione per commettere tradimento sono anche i capi d’imputazione per oltre 250 persone arrestate per aver partecipato alle proteste elettorali, divenute in alcuni casi violente.
“Le forze di polizia, in collaborazione con altre agenzie di difesa e sicurezza, stanno continuando una seria caccia all’uomo”, ha affermato la polizia in una dichiarazione. Per CHADEMA il governo intende “azzoppare la leadership del partito” e “paralizzarne l’operatività”.
Elezione insanguinata
Le proteste sono scoppiate nelle principali città del paese il giorno del voto che ha sancito l’elezione della presidente Samia Suluhu Hassan con quasi il 98% dei consensi e il totale dominio del suo partito, Chama Cha Mapinduzi (CCM), all’Assemblea Nazionale.
La polizia, affiancata dall’esercito, aveva imposto il coprifuoco e interrotto le comunicazioni via Internet, avviando una sanguinosa repressione.
Almeno 3mila morti, secondo gruppi per i diritti umani
“Al 7 novembre, almeno 3mila persone sono state uccise dalle forze di sicurezza tanzaniane e migliaia risultano ancora disperse”, denuncia un rapporto diffuso ieri a Nairobi dal movimento “Jumuiya Ni Yetu” (La comunità è nostra, in kiswahili) e dal Pan-African Solidarity Collective – che riuniscono 40 organizzazioni per i diritti umani e della società civile di 10 paesi africani -, in cui si parla di “crimini contro l’umanità” e di un “massacro orchestrato dallo stato”.
“A causa dei continui tentativi di insabbiamento, facilitati dal continuo blackout di Internet, questo numero potrebbe essere inferiore di migliaia di unità rispetto al bilancio effettivo delle vittime”, avverte il collettivo, chiedendo l’incriminazione dei responsabili, le dimissioni immediate della presidente Hassan, l’avvio di una transizione verso un governo ad interim che attui “riforme politiche a lungo rimandate” e prepari elezioni credibili sotto una supervisione indipendente.
Fosse comuni e raid nelle case
Affermando di essere in possesso di prove fotografiche e video delle uccisioni arbitrarie, il movimento denuncia che le autorità stanno “scavando fosse comuni in tutta la Tanzania, soprattutto a Mabwepande (circoscrizione amministrativa nella regione di Dar es Salaam, ndr)”, per nascondere le prove dei massacri.
Nel report si denuncia inoltre che polizia e intelligence sorvegliavano gli ospedali, “confiscando telefoni, cancellando filmati e impedendo ai parenti delle vittime di identificare i corpi”, e imponendo al personale medico di uccidere le persone gravemente ferite da colpi di arma da fuoco.
Vi si parla ancora di “agenti di sicurezza che sfondano porte durante raid notturni, dando la caccia a uomini e ragazzi di età superiore ai 15 anni”, alcuni “picchiati brutalmente e trascinati via”, e altri “assassinati nelle loro stesse case”.
Appello alla comunità internazionale
Il collettivo chiede una missione internazionale indipendente di accertamento dei fatti e una sessione d’emergenza del Consiglio per la pace e la sicurezza dell’Unione Africana, esortando la Comunità di sviluppo dell’Africa australe (SADC) e la stessa UA – che al pari dell’Unione Europea hanno definito il voto “non libero né democratico” – a dispiegare immediatamente missioni di monitoraggio.
Le autorità tanzaniane negano le accuse definendole “invenzioni volte a destabilizzare il paese” e finora non hanno reso noto il bilancio delle vittime.
Questo articolo è uscito nel numero di Nigrizia di novembre 2025.
Chi si è messo di traverso per far sì che l’Accordo di Parigi, che i governi del mondo trovarono 10 anni fa per provare a contrastare efficacemente la crisi climatica, venisse ostacolato?
I soliti noti, verrebbe da dire leggendo l’ultimo rapporto di ReCommon Dieci anni perduti – Come i protagonisti dell’estrattivismo fossile italiano hanno minato l’Accordo di Parigi.
Alla COP21 tenutasi nella capitale francese i paesi firmatari dell’accordo, compresa l’Italia, avevano promesso di «tenere le temperature ben al di sotto di 2 gradi rispetto ai livelli pre-industriali, e proseguire l’azione volta a limitare l’aumento di temperatura a 1,5 gradi rispetto ai livelli pre-industriali».
L’associazione da anni conduce campagne e inchieste sulle principali aziende fossili italiane, ENI e SNAM, ma anche sulle istituzioni finanziarie come Intesa Sanpaolo (la più importante banca del nostro paese) e SACE (l’assicuratore pubblico, che ha a disposizione miliardi di fondi pubblici).
Eni senza freni
Dalla COP21 di Parigi, in Italia si sono succeduti cinque governi ed ENI ha prodotto in totale circa 6,39 miliardi di barili equivalenti di petrolio e gas, dichiarando ogni anno la propria volontà di aumentare la produzione di combustibili fossili almeno fino al 2030.
Così la più importante multinazionale italiana potrebbe sforare del 73% (2024) e dell’89% (2025) i parametri previsti dagli scenari di zero emissioni nette (NZE) dell’Agenzia Internazionale dell’Energia per raggiungere l’obiettivo di limitare l’aumento di temperatura entro 1,5 gradi.
Il lavoro di lobby di SNAM
Nello stesso lasso di tempo, SNAM e le altre grandi società di trasporto del gas hanno speso fino a 900mila euro in attività di lobbying a Bruxelles, riuscendo a ottenere quasi 50 incontri con i massimi funzionari politici della Commissione europea per discutere i loro progetti di gasdotti da costruire o acquisire.
La società di San Donato Milanese è divenuta in pochi anni il più grande operatore della rete di trasporto del gas in Europa per infrastrutture controllate, corrispondenti a oggi a una rete di oltre 40mila chilometri di gasdotti, terminal di rigassificazione per 28 miliardi di metri cubi di capacità annua gestita, depositi di stoccaggio per 16,9 miliardi di metri cubi.
Piani di investimento incentrati su petrolio e gas che non sarebbero possibili senza la mediazione e il supporto delle istituzioni finanziarie, a partire da quelle pubbliche.
Tutti “assicurati”
Come già accennato, SACE è l’agenzia di credito all’esportazione italiana, controllata dal ministero dell’economia e delle finanze. Il suo ruolo è quello di rilasciare garanzie – cioè un’assicurazione pubblica – sia alle aziende, i cui progetti all’estero possono essere assicurati, sia alle banche commerciali, per garantire i prestiti ai progetti esteri delle aziende.
Negli ultimi 10 anni, SACE ha accordato garanzie per il settore dell’energia fossile pari a 22,18 miliardi di euro. È l’operatività di SACE a fare dell’Italia il primo finanziatore pubblico dell’industria fossile in Europa e il quarto a livello globale.
Intesa Sanpaolo finanzia
C’è, infine, il più grande gruppo bancario privato italiano: Intesa Sanpaolo. Secondo gli ultimi dati disponibili, nel solo 2024 i finanziamenti a carbone, petrolio e gas da parte della banca di Corso Inghilterra sono aumentati del 18% rispetto all’anno precedente, raggiungendo la cifra di 11 miliardi di dollari, mentre gli investimenti sono saliti del 16% (10 miliardi a inizio 2025). ENI si conferma come la corporation fossile più finanziata da Intesa Sanpaolo; forte è anche la crescita del sostegno a Snam (+60% negli investimenti e +96% di finanziamenti nel 2024).
La COP30 parte con cattivi auspici
Purtroppo anche gli altri attori fossili internazionali, troppo spesso “aiutati” dai loro governi, dall’Accordo di Parigi hanno continuato il loro business as usual, a danno del pianeta.
La COP30 che sta per iniziare in Brasile non si apre certo sotto dei buoni auspici, al netto della solite ambizioni del paese ospitante. Il mondo aspetta ancora un cambio di passo sulla lotta alla crisi climatica, che gioco forza dovrà comportare che i responsabili del disastro, in primis i giganti fossili, paghino per quanto provocato da decenni di loro attività.