Nigrizia

Conflitti e Terrorismo Mali Politica e Società
Il rapimento dell'imam sufista Thierno Amadou Hady Tall segna una svolta nella strategia jihadista, che ora punta a silenziare le voci moderate dell'islam
Mali: cambio di strategia per il jihadismo. Ora nel mirino anche l’islam sufista
15 Gennaio 2025
Articolo di Redazione
Tempo di lettura 3 minuti
Immagine d'illustrazione. Credit: Canva

Di attacchi jihadisti in Mali si parla poco. La loro frequente ricorrenza – proseguono sotto forme diverse dal 2012 – li rende poco ‘notiziabili’ e li relega al lancio d’agenzia.

Tornano sotto i riflettori in casi ritenuti eccezionali, come l’annuncio di un qualche bilancio ‘record’ delle vittime, oppure per un qualche dato politico/strategico che sfugge alla morsa del presente. 

È in quest’ultima categoria che possiamo includere il rapimento in Mali di Thierno Amadou Hady Tall, un imam guida della confraternita Tidjaniya, una branca sufista (e quindi non-violenta) dell’islam diffusa in Africa occidentale.

La natura pacifica del suo credo ha portato al rapimento avvenuto il 26 dicembre scorso nella località di Nioro du Sahel, nell’ovest del Mali, non lontano dal confine con la Mauritania. Di recente i sermoni di Tall avevano invitato i giovani a non farsi reclutare dalle formazioni jihadiste. 

A rivendicare l’azione, è stata il Gruppo di sostegno all’islam e ai musulmani (GSIM), la sigla terroristica di matrice islamica nel Sahel affiliata ad Al-Qaeda. 

In seguito, il GSIM ha annunciato il decesso di Tall, che sarebbe avvenuta prima ancora di passare davanti al proprio tribunale. La ferita da arma da fuoco subita durante il sequestro gli sarebbe stata fatale.

Le autorità religiose del Mali sono però scettiche sulla veridicità della dichiarazione e conservano speranza di saperlo vivo. 

Cambio di rotta

Il rapimento di Tall rappresenta una rottura significativa rispetto alla pratica corrente in cui i gruppi jihadisti avevano generalmente evitato di colpire figure religiose dell’islam. Non si assisteva a un attacco contro simboli dell’islam dal 2012, quando vennero distrutti i mausolei sufi a Timbuctù.

Questo cambiamento di strategia può essere interpretato come un tentativo dei gruppi jihadisti, in particolare dello GSIM, di colpire l’islam sufi rappresentato dalle confraternite come la Tidianiya.

Per i jihadisti, che promuovono una visione estremista e puritana dell’islam, il sufismo è spesso considerato una deviazione che va eliminata. 

Bakary Sambe, direttore del Timbuktu Institute a Dakar, ha spiegato all’emittente francese RFI come «il messaggio inviato dallo GSIM è innanzitutto quello di attaccare coloro che difendono un islam pacifista, coloro che scoraggiano il reclutamento jihadista, coloro che costruiscono contro-narrative rispetto all’ideologia che lo GSIM difende.

È anche sicuramente un messaggio politico per dire alle autorità [maliane di transizione, ndr]: “la lotta accanita che portiamo contro di voi sarà condotta anche contro tutti coloro che vi sono vicini”. E questo, in un momento in cui il regime di Bamako sembra avere un po’ di difficoltà a respingere i gruppi jihadisti.»

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Mozambico Politica e Società
Solo due i presidenti: Sudafrica e Guinea-Bissau. Non c'è neanche il capo di Stato del Rwanda presente nel paese militarmente
Mozambico: assenze importanti all’investitura del nuovo presidente Chapo
Daniel Chapo parla di "nuova era" ma sembra affacciarsi lo spettro dell'isolamento internazionale
15 Gennaio 2025
Articolo di Luca Bussotti
Tempo di lettura 4 minuti
L'investitura del nuovo presidente Chapo (al centro). Dalla pagina Facebook del Frelimo

Il nuovo ciclo politico di cinque anni (almeno, con diritto di replica) si apre in Mozambico all’insegna dell’incertezza.

Un’incertezza che caratterizza un po’ tutti gli attori in gioco nel giorno in cui giura il presidente eletto stando al conteggio ufficiale delle elezioni dello scorso 9 ottobre: Daniel Chapo del Frelimo. Il partito guida il paese dall’indipendenza, strappata nel 1975 dal Portogallo.

Si parte con la società mozambicana, ancora scossa da manifestazioni popolari contro un voto fraudolento a cui la polizia locale sta rispondendo sparando e uccidendo perfino in occasioni a basso rischio, come il ritorno, qualche giorno fa, del “presidente eletto dal popolo” Venâncio Mondlane

E poi le opposizioni, divise se partecipare o no alla cerimonia parlamentare di investitura del nuovo presidente.

Infine, c’è anche una comunità internazionale in gran parte frastornata e incerta sul daffarsi, sia per quanto riguarda il riconoscimento di un’elezione largamente irregolare che, di conseguenza, sulla presenza alla cerimonia di giuramento del presidente.

È il segno inequivocabile della crisi di un intero sistema di relazioni bilaterali e multilaterali: una rete che per 50 anni ha caratterizzato, pur con alti e bassi, i rapporti fra il partito-stato Frelimo e i vari partners internazionali.

Questo sistema è giunto oggi a un punto critico, col paese precipitato ormai verso un autoritarismo aperto a cui soprattutto i partners occidentali ancora non hanno deciso come rispondere.

Le tante criticità del paese sono state citate da Chapo nel suo discorso inaugurale. Nel suo intervento, il nuovo presidente ha parlato di una «nuova era», affermando che il paese non può essere più ostaggio di corruzione e nepotismo. Utile ricordare nuovamente, alla luce di queste parole, che il partito del presidente guida il paese da 50 anni…

Soltanto due capi di stato alla cerimonia di investitura

Neanche gli amici più fedeli e tradizionali sono accorsi all’altare per assistere alle nozze fra Chapo e il Mozambico.

Né il presidente del Rwanda Paul Kagame, ormai alleato principale nella lotta al terrorismo a Cabo Delgado e non solo, né l’angolano João Lourenço, prossimo a un incontro ben più importante con Macron a Parigi, e neppure lo zimbabweano Emmerson Mnangagwa, leader di turno della Comunità di sviluppo dell’Africa australe (SADC), di cui il Mozambico è membro. Nessuno di loro ha partecipato personalmente alla cerimonia.

Soltanto il presidente sudafricano, non senza esitazioni, Cyril Ramaphosa, e quello della Guinea-Bissau, Umaro Sissoco Embaló, anch’egli salito in carica dopo elezioni molto contestate, hanno optato per essere presenti all’avvio dell’era-Chapo.

L’assenza più emblematica è forse però quella del Portogallo, l’ex paese colonizzatore.

Lisbona e Maputo hanno conservato rapporti di amore e odio, ma comunque molto intensi: prima vi era stato un riconoscimento affrettato del nuovo presidente mozambicano da parte di governo e presidente della repubblica lusitani, poi un voto trasversale del parlamento aveva «consigliato» di fare un passo indietro, non riconoscendo il risultato ufficiale delle elezioni.

Infine il nodo della cerimonia di investitura, risolto con una salomonica “via di mezzo”: assenza di Marcelo Rebelo de Sousa, presidente della repubblica (presente nel 2019), ma invio del ministro degli esteri, non senza polemiche.

Isolamento internazionale?

Ciò che la diplomazia di Maputo più teme, per tradizione, è l’isolamento internazionale.

Il Mozambico ha sempre basato gran parte della sua sopravvivenza come stato indipendente sulle relazioni internazionali con paesi di tendenze politico-istituzionali differenti, dalla Cina alla Russia, dall’Occidente (Stati Uniti e Unione Europea in primo luogo) al Brasile all’India e ai paesi arabi.

Oggi, l’istantanea della cerimonia di investitura fa propendere per un possibile isolamento internazionale del paese, soprattutto nei confronti dei paesi occidentali.

Questi, infatti, continuano a essere fortemente interessati alle risorse di gas (ENI docet), rubini, carbone e alle altre materie prime presenti in abbondanza in Mozambico, ma non possono continuare a essere del tutto indifferenti davanti a processi elettorali sempre più fraudolenti e alla violazione di diritti umani da parte dello stato, polizia in primo luogo.

Che tipo di rapporto una istituzione come l’Unione Europea e un paese come l’Italia potranno instaurare col nuovo governo è un mistero, anche alla luce del fatto che, per una situazione molto simile a quella del Mozambico (il Venezuela di Maduro) la posizione di condanna è stata ferma ed esplicita.

Un po’ di coerenza, al di là degli interessi economici, aiuterebbe anche nel far aumentare il prestigio interno sia dell’Europa che dell’Italia di fronte a crisi parallele come quella di Venezuela-Mozambico, verso le quali l’uso di due pesi e due misure è diventato un canone diplomatico ormai stabilito.

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Economia Politica e Società Rwanda Unione Europea
PLUS
Global Gateway. Chi beneficia del Piano europeo?
Sviluppo privato
Un rapporto di Oxfam fa luce su una realtà scomoda: la grande iniziativa infrastrutturale dell’Ue nel sud globale sembra servire soprattutto alle grandi aziende europee. E poi emergono conflitti di interessi e investimenti molto poco sostenibili, come in Rwanda
15 Gennaio 2025
Articolo di Francesco Petrelli, Oxfam Italia
Tempo di lettura 1 minuti
La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e il presidente della Commissione dell'Unione Africana Moussa Faki Mahamat al Global Gateway summit del 2023

Questo articolo è uscito nella sezione “Africa 54” del numero di Nigrizia di gennaio 2025.

Un convitato di pietra incombe sul futuro delle politiche di sviluppo europee verso i paesi del sud globale e si chiama “Global Gateway”. In realtà la strategia europea per gli investimenti e lo sviluppo globale del Global Gateway prende forma sin dal 2021 e vuole proporsi come una politica alternativa alla “Via della seta” cinese […]
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Economia Politica e Società Sudafrica
La denuncia di un'attivista mentre vengono estratte persone rimaste per mesi intrappolate in una miniera nell'ambito di una controversa operazione di polizia
Sudafrica. La crisi dei minatori informali: «Il governo odia i poveri»
Fino a 130 potrebbero aver perso la vita nei tunnel
14 Gennaio 2025
Articolo di Brando Ricci
Tempo di lettura 5 minuti
(Credit: Wikimedia Commons)

Il «disprezzo delle comunità più povere» da parte delle autorità del Sudafrica è il motivo principale di una crisi che ha già causato la morte di oltre 100 minatori informali, alcuni delle migliaia che da mesi sono intrappolati in delle miniere d’oro dismesse nel nord del paese.

A denunciarlo a Nigrizia è l’attivista sudafricano Magnificient Mndebele, responsabile delle comunicazioni di Mining Affected Communities United in Action (MACUA), letteralmente “Le comunità colpite dalle attività minerarie si mettono in azione”. Di base a Johannesburg, questa rete di attivisti opera in tutto il nord del paese.

Nigrizia ha raggiunto Mndebele al telefono circa 24 ore dopo l’inizio di un’operazione per il salvataggio dei minatori rimasti intrappolati, che per il governo sudafricano compiono un’azione illegale: occupare siti ormai abbandonati per estrarre oro.

Le operazioni di salvataggio

Le autorità di Pretoria si sono viste costrette ad avviare le operazioni nell’ambito di un procedimento presso l’Alta corte del Gauteng.

Sebbene ancora non siano stati emessi veri e proprio ordini, il governo si è alla fine impegnato con i giudici a trovare un accordo con una società che potesse eseguire materialmente i salvataggi e poi a effettuarli.

Stando a quanto riportano media sudafricani, dall’inizio dei lavori, ieri 13 gennaio, sono stati portati in superficie almeno 26 minatori vivi e 15 corpi.

Altre fonti parlano di almeno 50 minatori salvati, mentre attivisti locali riferiscono di 80 persone estratte. Secondo stime fatte da MACUA e da leader comunitari, fino a 109 morti potrebbero trovarsi ancora in fondo alle miniere, a circa due chilometri di profondità. In tutto, però, le persone che potrebbero aver perso la vita potrebbero essere oltre 130.

La miniera dove stanno avvenendo i fatti si trova a Stilfontein, situata nella provincia di North West, a circa 140 chilometri da Johannesburg, la città più popolosa del Sudafrica.

Non è chiaro quanto persone ci possano ancora essere sotto terra, ma nel corso delle settimane si è arrivate a stime fino a diverse migliaia. Le operazioni di salvataggio dovrebbero durare all’incirca dieci giorni e costare oltre 12 milioni di rand, circa 615mila euro.

La denuncia del MACUA 

«Va subito messo in chiaro che il governo non sta agendo di sua sponte, ma perché la giustizia lo ha costretto dopo mesi di campagne da parte di noi attivisti», premette Mndebele.

L’inizio della crisi può essere fatto risalire a luglio. Negli ultimi mesi il MACUA ha avviato almeno tre procedimenti legali. Alla fine, l’esecutivo è dovuto intervenire dopo la denuncia presentata dalla sorella di uno dei minatori intrappolati, Zinzi Tom, sostenuta da MACUA.

Secondo quanto sostenuto nella denuncia, la polizia ha chiuso i tunnel che permettevano di uscire ed entrare nella miniera lo scorso agosto, nell’ambito di un’operazione di polizia ribattezza Vala Umgodi, “chiudete il buco” in lingua zulu. L’iniziativa ha l’obiettivo di combattere le attività minerarie illegali.

A ottobre la polizia ha poi iniziato a bloccare il rifornimento di cibo, acqua e medicine, che persone della comunità portavano ai minatori, grazie a un rudimentale ma collaudato sistema di trasporto.

«Stanare» i minatori

Queste procedure, dall’oggettivo impatto in termini di rispetto dei diritti essenziali dei minatori, sono state in parte rivendicate dal governo sudafricano come mezzo per «stanarli». Queste le parole usate lo scorso novembre dalla ministra per la presidenza Khumbudzo Ntshavheni.

«Non mandiamo aiuti ai criminali», aveva aggiunto la dirigente del governo in quell’occasione. I minatori «verranno fuori – aveva proseguito – i criminali non vanno aiutati; i criminali vanno perseguiti. Non li abbiamo mandati noi lì».

Il governo ha sostenuto a lungo che i minatori si rifiutavano di uscire per il rischio di essere arrestati, affermando anche che alcuni erano armati.

Si stima che in Sudafrica ci siano circa 6mila siti minerari dismessi. Negli anni diversi sono stati occupati da minatori informali – e illegali per il governo – noti con il nome di zama zama, che in lingua zulu significa “prendere un rischio”.

Un riferimento alle condizioni molto difficili in cui queste persone operano, spesso anche in ambiti malavitosi gestiti dai tanti gruppi criminali organizzati presenti in Sudafrica. L’oro estratto viene poi venduto al mercato nero.

Dall’inizio delle operazioni, migliaia di questi minatori sono stati arrestati. Molti sono anche migranti, provenienti perlopiù da Lesotho, Zimbabwe e Mozambico. 

Per Mndebele, però, il problema non è di sicurezza, ma sociale. «La questione dei zama zama proviene dall’alto tasso di disuguaglianza che segna il Sudafrica, non a caso il più alto al mondo, e poi dai tassi molto alti di disoccupazione. Le persone entrano nel settore perchè non sanno più cosa fare per dare da mangiare alle loro famiglie», afferma il rappresentante di MACUA.

Il Sudafrica è ritenuto il paese più diseguale al mondo secondo l’indice di Gini,  strumento che serve a misurare la differenza fra redditi percepiti in uno stesso paese; il tasso di disoccupazione si aggira attorno al 32%. 

Le origini del problema 

Ci sarebbe poi un problema che Mndebele definisce «culturale. Il Dipartimento delle risorse minerarie e dell’energia ha un approccio molto reazionario e apertamente “anti-poveri”. È così storicamente e non è cambiato sotto la gestione di Gwede Mantashe (ex sindacalista dei minatori, ndr), che lo gestisce ormai dal 2018».

Inoltre, prosegue Mndebele, «il governo rende la situazione più drammatica rifiutandosi di regolamentare il settore. Le ragioni possono essere diverse – ragiona l’attivista – l’oro estratto dagli zama zama viene inizialmente inserito in canali illegali, ma alla fine una parte sfocia anche nel mercato ufficiale e finisce magari per portare benefici economici a grandi società, mentre i minatori informali si impoveriscono».

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Cop29 / I risvolti per il continente
Protagonismo africano tradito
Trecento miliardi di finanza climatica invece dei 1.300 richiesti dai paesi del sud globale. Sono le cifre che definiscono l’insuccesso del summit 2024 in Azerbaigian. Ma nei negoziati si va rafforzando il ruolo dell’Africa
14 Gennaio 2025
Articolo di Ferdinando Cotugno
Tempo di lettura 1 minuti

Questo articolo è uscito nella sezione “Africa 54” del numero di Nigrizia di gennaio 2025.

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