
A metà marzo, il ministro togolese degli Esteri, Robert Dussey, aveva annunciato l’intenzione del suo paese di unirsi all’Alleanza degli stati del Sahel (AES, nell’acronimo francese).
Sono dunque già alcuni mesi che il governo togolese strizza l’occhio ai tre paesi dell’AES (Mali, Niger e Burkina Faso, tutti e tre guidati da regimi militari che hanno preso il potere con un colpo di stato e che non intendono rimetterlo ai civili, almeno in tempi ragionevoli, e che sono usciti dal blocco regionale CEDEAO) e ad alcuni la cosa appare potersi concretizzare in tempi ravvicinati. Ma…
Il governo togolese è confortato nel suo intendimento da un recente sondaggio di Afrobarometer che conferma lo stato d’animo dei togolesi sul ritiro dei paesi dell’AES dalla Comunità economica degli stati dell’Africa occidentale (CEDEAO/ECOWAS) e sulla gestione da parte del loro governo della minaccia terrorista nel nord del paese.
Afrobarometer è network panafricano, indipendente, non di parte e senza scopo di lucro. Dal 1999, fa anche dei sondaggi di opinione in Africa per dare voce ai cittadini su tematiche essenziali come democrazia, governance e qualità di vita.
Suo partner nazionale in Togo è il Center for Research and Opinion Polls (CROP), che ne realizza le inchieste, condotte a partire da un campione rappresentativo della popolazione adulta, tramite interviste realizzate nella lingua scelta dagli intervistati. Il margine di errore oscilla più o meno di tre punti e l’affidabilità è intorno al 95%.
Al questionario standard di Afrobarometer valido per tutti i paesi, sono state integrate questioni specifiche al contesto togolese. Due tematiche in particolare hanno interessato gli operatori dell’inchiesta: la percezione della gestione del terrorismo nel nord del Togo (da alcuni anni in azione) e l’opinione dei togolesi sull’AES e il ritiro dei tre paesi che la compongono dalla CEDEAO.
L’inchiesta ha toccato anche la percezione dell’influenza delle grandi potenze straniere in Togo, un tema molto sensibile nel contesto attuale, così come le discriminazioni nei confronti delle donne e delle ragazze.
Il risultato ha sorpreso più d’uno. Il 64 % dei togolesi ritiene che il ritiro dei paesi dell’AES dalla CEDEAO sia “abbastanza” o “molto giustificato”. Questa opinione è fondata su tre fattori in particolare: la percezione che la CEDEAO sia succube di potenze straniere; il rifiuto delle sanzioni imposte dalla CEDEAO ai paesi dell’AES; il sentimento che la CEDEAO sia venuta meno al suo obbligo di sostegno militare di fronte alle crisi securitarie vissute dai tre paesi.
Il 54 % dei togolesi inoltre considera “benefica” la presenza della Russia (la compagnia Wagner tramutata ora in Africa Corps) nei paesi dell’AES. La fiducia nei confronti di un attore esterno non occidentale dice della profonda evoluzione delle percezioni geopolitiche nella regione.
Altro insegnamento importante della ricerca: il 54 % dei togolesi ritiene che il loro paese guadagnerebbe dall’abbandono della CEDEAO per aderire all’AES. I pareri sono invece divisi sull’impatto dell’AES nell’integrazione regionale in Africa occidentale: 39 % degli intervistati ritiene che l’AES non costituisca un ostacolo all’integrazione, mentre il 37 % pensa l’opposto.
Da tempo assistiamo a una crescente contestazione della CEDEAO da parte della popolazione che la percepisce come una organizzazione che ha perso la propria legittimità. Per i togolesi, la CEDEAO è troppo allineata sugli interessi stranieri, non ha saputo difendere gli stati membri confrontati a gravi crisi securitarie e li ha delusi con quegli interventi che non hanno risolto nulla della crisi sociopolitica che ha e sta scuotendo il loro paese.
Il fenomeno va posto nel contesto più vasto del crescente vento panafricanista nella regione con il crescente rigetto delle ex potenze coloniali e dei loro mediatori istituzionali.
Detto ciò, credo che una certa prudenza si imponga. Chi conosce il Togo, che ha visto per 38 anni alla sua testa papà Eyadema e da 20 anni a seguire il figlio Faure Gnassingbe, sa che il paese si può tranquillamente definire “repubblica ereditaria”. Un sentimento di frustrazione serpeggia tra la popolazione ed è vivo più che mai il suo desiderio di un cambiamento politico radicale.
Se un consiglio possiamo permetterci agli amici di Afrobarometer è di sondare su questo punto il parere dei togolesi. Tutti sappiamo che il parlamento è composto da 108 parlamentari del partito al potere che ne ha riservati ben… 5 all’opposizione!
Quanto al terrorismo nel nord, il 59 % degli intervistati dice la propria fiducia nel governo per contenere o addirittura sradicare la minaccia terrorista. Sono in molti però gli osservatori che esprimono dubbi sulla strategia adottata, visto che gli attacchi si ripetono e le informazioni sono out. Molti togolesi percepiscono che la crisi securitaria nel nord accentua il senso di insicurezza anche verso sud.
Nel frattempo il governo vive di un abile equilibrio che è la sua diplomazia di neutralità attiva: non condanna apertamente i paesi dell’AES e continua a mantenere la sua appartenenza alla CEDEAO. Strategia che gli consente di restare in linea con la sua opinione nazionale sul punto, favorevole in maggioranza agli stati dell’AES, preservando intatti i suoi interessi strategici ed economici.
Strategica è la sua posizione come hub logistico e commerciale della regione, soprattutto tramite il porto autonomo di Lomé da cui passano i commerci con i paesi dell’AES. Rafforza poi la sua immagine di attore della stabilità diplomatica in Africa occidentale, già privilegio del generale Eyadema. Ma quanto potrà tenere questo equilibrio che al governo togolese conferisce un margine di manovra prezioso in un contesto regionale volatile?
Non dimentichiamo intanto che il Fondo monetario internazionale, il «famigerato» FMI, pone al decimo posto dei paesi più poveri del mondo il piccolo Togo (che si autodefinisce “grande nazione”) perché da decenni il suo sviluppo è frenato dalla classe politica al potere, diminuiscono i prezzi delle materie prime e il suo debito estero è una zavorra che ha molto a che fare con la corruzione imperante. Se non c’è alternanza politica, difficile sognare un Togo pacificato.