
L’Unione Africana (UA) ha chiesto al governo degli Stati Uniti di «avviare un dialogo costruttivo» con i paesi del continente oggetto di un provvedimento che blocca tutti gli ingressi negli USA da 12 stati, di cui 7 africani, e introduce pesanti limitazioni per altri 7, di cui 3 africani. La misura è stata resa nota la sera del 4 giugno tramite un ordine esecutivo a firma del presidente Donald Trump, come ormai abitudine per la Casa bianca.
Il decreto dovrebbe entrare in vigore da lunedì 9 giugno ed è solo l’ultimo di una serie di azioni dell’amministrazione Trump che puntano a ridimensionare in modo drastico il diritto di migrare e di chiedere asilo negli USA.
L’ordine prevede alcune eccezioni ma di base blocca il rilascio di qualsiasi tipo di visto per i cittadini provenienti da Ciad, Repubblica del Congo, Eritrea, Guinea equatoriale, Libia, Somalia e Sudan, a cui si aggiungono anche cinque paesi non africani: Afghanistan, Myanmar, Haiti, Iran e Yemen.
Burundi, Sierra Leone e Togo sono invece i destinatari di una misura che limita l’erogazione di molte delle tipologie di visto fra quelle concesse dal sistema USA, ma non di tutte. Stesso destino anche per Cuba, Laos, Turkmenistan e Venezuela. In totale, parliamo di paesi che ospitano oltre 470 milioni di persone.
La reazione dell’UA
La Commissione dell’UA ha affermato di aver «preso nota» della decisione del governo USA ma si è detta «preoccupata per il potenziale impatto negativo» del divieto voluto da Trump «sui legami interpersonali, gli scambi educativi, gli impegni commerciali e sulle più ampie relazioni diplomatiche che sono state coltivate con cura nel corso di decenni».
In una nota, il più importante organismo regionale africano ha ricordato che il continente e gli Stati Uniti «condividano interessi comuni nella promozione della pace, della prosperità e della cooperazione globale» e ha quindi «rispettosamente» esortato Washington a esercitare il suo legittimo diritto di proteggere i suoi confini e i suoi cittadini «in modo equilibrato, basato su prove concrete e che rifletta il partenariato di lunga data tra Stati Uniti e Africa».
L’organismo di base ad Addis Abeba ha quindi invitato gli USA a «prendere in considerazione l’adozione di un approccio più consultivo e ad avviare un dialogo costruttivo con i paesi interessati. La Commissione – prosegue il comunicato – auspica una comunicazione trasparente e, ove necessario, sforzi collaborativi per affrontare eventuali questioni di fondo che potrebbero aver influenzato questa decisione».
Il precedente del 2017
Gli USA avevano già adottato una misura simile durante la prima presidenza Trump, nel 2017. In quell’occasione Washington aveva bloccato l’ingresso negli USA a persone provenienti da sette paesi a maggioranza musulmana, fra i quali si annoverano alcuni di quelli oggetto del provvedimento di quest’anno, ovvero Libia, Somalia, Sudan e anche Iran. Il cosiddetto “muslim ban”, così è ricordata quella misura, era motivato da presunte ragioni di sicurezza nazionale e contrasto al terrorismo.
L’iniziativa dell’amministrazione Trump era stata contestata più volte in sede legale, al punto che il governo si era visto costretto a rivederla e rimpiazzarla con nuovi decreti in almeno due occasioni dopo sentenze di varie corti del paese. La legittimità della misura era stata infine confermata dalla Corte suprema nel 2018. Nel 2021 è stata rimossa dall’ex presidente Joe Biden, non appena salito alla guida del paese.
Le ragioni del 2025
Anche alla base di quest’ultimo divieto ci sono una serie di preoccupazioni relative a politica estera, sicurezza nazionale e lotta al terrorismo. Nell’annunciare la misura, il presidente Trump ha menzionato un recente attacco contro una manifestazione pro-Israele che è avvenuto in Colorado a opera di un cittadino egiziano.
Secondo Trump l’aggressione, nella quale sono rimaste ferite 12 persone, «ha evidenziato gli estremi pericoli che l’ingresso di cittadini stranieri non adeguatamente controllati, così come di coloro che vengono qui come visitatori temporanei e superano la scadenza del visto, rappresentano per il nostro Paese. Non li vogliamo», ha chiosato il capo dello stato. L’Egitto, paese di provenienza dell’attentatore ma anche paese governato da oltre 10 anni dal presidente Abdel Fattah al-Sisi, storico alleato di Trump, non è nella lista degli stati colpiti dal divieto di ingresso negli USA.
Questi paesi sono stati invece selezionati sulla base di tre criteri principali: le capacità e la volontà di controllare i propri cittadini che fanno domanda di visto negli USA e di condividere le informazioni a riguardo con le autorità statunitensi, la percentuale di cittadini provenienti da quei paesi che restano negli USA oltre i limiti di tempo stabiliti dai visti e il tasso di accettazione dei cittadini rimpatriati dagli Stati Uniti da parte dei singoli governi.
Per due paesi – Somalia e Libia – nel testo si fa riferimento anche alla presenza di gruppi terroristici e all’incapacità di controllare la totalità del proprio territorio dei governi in questione. Un parametro, quest’ultimo, considerato anche per lo Yemen. L’Iran è semplicemente definito un paese sponsor del terrorismo.
Nell’ordine esecutivo, per 15 dei 19 paesi oggetto della misura, si specifica la percentuale di possessori di visto che resterebbero oltre il tempo prestabilito dalle varie tipologie di documento, stando alle informazioni in possesso del governo USA. Per fare un esempio, oltre un terzo dei viaggiatori che si recano negli Stati Uniti dal Ciad si tratterebbero nel paese oltre il limite previsto. Un dato ritenuto «inaccettabile» dal governo americano.
Sul senso di questi dati ci si sta interrogando. La BBC fa notare come nel 2023 i cosiddetti “overstayer” ciadiani siano stati 337, mentre le persone colombiane che hanno deciso di non rispettare la scadenza del visto abbiano superato le 40mila unità. Nonostante questo, il paese sudamericano non è fra quelli colpiti dal provvedimento, mentre il Ciad, si.
La decisione è stata accolta con «sopresa» a N’Djamena. Il presidente Mahamat Déby Itno ha ordinato di sospendere il rilascio di tutti i visti ai cittadini statunitensi in base a un principio di reciprocità. «Riteniamo che si tratti di un malinteso, ed è chiaro che nei prossimi giorni il governo contatterà le autorità americane per discutere e risolvere questo malinteso», ha affermato il capo dello stato, che ha poi chiosato, in riferimento a una recente polemica che ha riguardato un regalo dell’emirato del Qatar al governo statunitense: «Il Ciad non ha né aerei né miliardi di dollari da donare, ma il Ciad ha la sua dignità e il suo orgoglio».
Il nuovo “ban” imposto dagli USA prevede comunque dell’eccezioni. Fra queste, l’ingresso di cittadini la cui visita negli USA «serve l’interesse nazionale» statunitense, i «legittimi residenti permanenti» negli USA e anche tutti gli atleti che dovranno recarsi nel paese per i mondiali di calcio e le Olimpiadi di Los Angeles, entrambi in calendario nel 2026. I visti rilasciati prima della giornata di ieri non verranno inoltre revocati.
Guerra totale ai migranti
Il divieto voluto da Trump va collocato in una più ampia politica di contrasto all’immigrazione negli USA in qualsiasi sua forma. Dall’inizio della sua amministrazione, lo scorso gennaio, l’amministrazione Trump ha avviato un massiccio programma di deportazioni dei migranti che non sono in possesso di documenti regolari, sospeso il programma di accoglienza dei rifugiati nel paese e revocato una particolare protezione di cui beneficiavano oltre 500mila cittadini provenienti da Venezuela, Haiti, Honduras ed Nicaragua.
L’implementazione di diversi provvedimenti del governo, come gli ultimi due citati, viene continuamente bloccata dalla giustizia federale. Mentre però il governo fa ricorso e i procedimenti giudiziari continuano, le misure di fatto proseguono in vigore, come sta avvenendo alla sospensione dell’accoglienza della stragrande maggioranza dei rifugiati.
Un’eccezione è stata fatta per circa 60 cittadini sudafricani di origine afrikaans, accolti negli USA per proteggerli da un presunto (e in realtà inesistente) “genocidio” della popolazione bianca. Un ulteriore tassello delle politiche di Trump che si ispirano a un disegno suprematista bianco.
I paesi dove sono in corso alcune delle più gravi, e reali crisi umanitarie del momento invece, dal Sudan alla Somalia fino ad Haiti, sono oggetto dell’ultimo provvedimento trumpiano. Un emblema di come gli Stati Uniti si stiano di fatto sfilando dal sistema internazionale che garantisce i diritti dei rifugiati, una delle più grandi conquiste che ha fatto seguito alla Seconda guerra mondiale.