
Un libro che nasce itinerante, nel mentre che l’autrice, Alessandra Morelli, dopo trent’anni di Unhcr, gira per l’Italia per raccontare come si costruisce un mondo inclusivo a partire da un’economia che mette al centro la cura. Che non è altro che la consapevolezza che nessuna persona si salva da sola, che siamo tutte e tutti interconnessi. E che è proprio la cura l’elemento essenziale, capace di nutrire il cambiamento, che passa attraverso gesti e parole di prossimità, di vicinanza.
Perché cura è stare, ha a che fare con la residenza, cioè con quella casa accogliente che possono essere le persone, quel porto dove sai che troverai conforto, riparo, dove ti sentirai per l’appunto a casa. Un libro che va contro la corrente dell’individualismo imperante di questo tempo, che mette al centro le reti relazionali, l’ubuntu africano: io sono perché noi siamo.
Morelli sottolinea come «nel “dizionario dell’egoismo” la parola “cura” è voce muta, morta». Voce muta di un sistema economico capitalistico che si fonda sulla competizione e sullo sfruttamento, che genera diseguaglianze, ingiustizie, marginalizzazione, sminuendo il prossimo che viene schiavizzato, in nome di un egoismo che guarda sempre e solo a sé stesso, al suo esclusivo benessere, possibile solo a discapito della vita della maggior parte.
Partendo da un’esperienza trentennale di luoghi di conflitto, Morelli delinea una via che si può percorrere solo a patto che l’essere umano sia la prima declinazione dell’”umanizzante”.