La speranza africana. La terra del futuro. Concupita, incompresa, sorprendente - Nigrizia
Libri
Federico Rampini
La speranza africana. La terra del futuro. Concupita, incompresa, sorprendente
Mondadori, 2023, pp. 335, € 20,00
03 Gennaio 2024
Articolo di Brando Ricci
Tempo di lettura 3 minuti

L’Africa non è solo terra di disastri, ma anche di innovazioni ed evoluzioni costanti. Non è la mittente di un’“Apocalisse migratoria” di cui noi occidentali saremmo i malcapitati destinatari. Non cresce solo con gli aiuti erogati dal Nord globale assediato dai sensi di colpa, anzi, e non è congelata in un’eterna onda lunga del colonialismo.

E anche per questo, forse, che la si comprende meglio guardandola dall’Oriente svincolato da responsabilità coloniali. E con cui il continente si relaziona in base alle sue priorità economiche e geopolitiche. Dall’India, portatrice di un’inattesa e magari replicabile traiettoria di sviluppo, fino alla Cina, partner fondamentale, e principale creditore, di molti paesi della regione.

Riflessioni e analisi che compongono l’ultimo libro di Federico Rampini, giornalista e saggista naturalizzato statunitense ed editorialista da New York del Corriere della sera.

L’autore parte dalla consapevolezza che nel continente si gioca il futuro del pianeta. Anche per questioni demografiche certo, per quanto il cronista evidenzi come le più note e rilanciate proiezioni sulla crescita della popolazione africana siano state corrette per difetto nel corso degli ultimi anni. Non è una questione solo di numeri questa: l’idea di un incontrollato aumento demografico ha giocato un ruolo determinante nel produrre l’immaginario dell’invasione migratoria che di fatto domina le politiche e il dibattito pubblico europei. È emblematica degli stereotipi che continuano a condizionare lo sguardo sull’Africa del nord globale.

Per Rampini l’Africa è anche un campo di confronto privilegiato nella polemica contro la cultura liberal-progressista e il suo cosiddetto “politicamente corretto”. Ormai dominanti negli Usa, a detta dell’autore che negli States vive da anni. Nel libro si passano in rassegna molte contraddizioni di questo approccio. A esempio quelle insite nell’ecologismo della transizione energetica, che attinge a piene mani dal sottosuolo africano con modalità non dissimili da quelle che hanno segnato l’era dei combustibili fossili. E poi ancora nella politica di promozione dei diritti umani spesso percepita dai governi africani come univoca e prepotente, riporta Rampini.

La foga polemica nel decostruire alcune narrazioni risulta a volte frettolosa. Colpisce a esempio come l’esperienza coloniale italiana in Etiopia venga liquidata in poche righe perché «gli stessi etiopi la giudicano poco rilevante». Il giornalista non fornisce ulteriori spiegazioni a riguardo. Tenendo in conto che il testo è rivolto a un pubblico italiano, che in larga parte ignora quanto avvenuto durante l’occupazione italiana dell’Etiopia (1935-1941, da collocarsi in una più ampia e consolidata presenza nel Corno d’Africa) e la tragica guerra che gli ha aperto la strada, forse sarebbe stata necessaria più cura e consapevolezza storica.

Certo è che un’ottica molto centrata sul peso dell’eredità coloniale finisce spesso per assolvere di default le classi dirigenti locali, le principali destinatarie delle critiche della stessa società civile dei paesi africani. In questo senso Rampini fornisce un caso-studio nei capitoli dedicati al Sudafrica. Diversi esperti incontrati nel paese descrivono la parabola post-apartheid dell’African National Congress (Anc) che fu di Nelson Mandela e che da 30 anni guida il paese, asfissiato dalla corruzione e a rischio di andare sotto il 50% dei consensi, per la prima volta nella storia, alle elezioni del prossimo anno.

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