Rotta balcanica: quel che resta del campo di Lipa - Nigrizia
Da 1500 persone a meno di un centinaio, forse cinquanta: cambiamenti e prospettive della rotta più frequentata alle porte dell'Europa.
Rotta balcanica: quel che resta del campo di Lipa
La migrazione africana non passa solo attraverso il Mediterraneo: anche la Bosnia assiste al passaggio di molti richiedenti asilo provenienti dal continente. Mentre Lipa si svuota, la loro presenza rimane.
03 Gennaio 2023
Articolo di Arianna Baldi
Tempo di lettura 5 minuti

Era stato pensato per contenere fino a 1500 persone, ma adesso al suo interno se ne trovano meno di un centinaio: è la sorte del campo di Lipa, destinato ai single man e costruito in Bosnia Erzegovina, nel cantone di Una-Sana, a 30 km circa dalla città più vicina, Bihac, e a 700 metri di altitudine. Un luogo di confino, che nell’ultimo anno ha assistito ad un progressivo svuotamento, con un culmine di partenze negli ultimi mesi. Accade anche a Borici, il campo vicinissimo al centro della città e dedicato al contenimento di famiglie e di minori non accompagnati – quest’ultimi, isolati dagli altri, vivono in container posti all’esterno della struttura principale.  

Nonostante il minor numero di persone porti ad un miglioramento delle condizioni all’interno dei campi, l’amarezza, il filo spinato che circonda Lipa tradisce la sua vera natura: un luogo dove la vita si ferma, senza prospettive, entro i limiti della legalità, di miglioramento.

Dall’Africa ai Balcani  

Secondo i dati di Frontex, i principali ingressi in Europa dalla rotta balcanica nel 2022 riguardano soprattutto siriani, afghani e turchi. Ma nei campi nei pressi di Bihac, tra i bassi numeri attuali, colpisce la consistente presenza africana, proveniente sia dal nord Africa che dall’Africa subsahariana. Sono giovani, giovanissimi, con un’età che oscilla soprattutto dai 18 anni ai 25, fino a un massimo di 30. Fino a qualche anno fa, la loro origine era soprattutto somala o etiope, adesso è estremamente varia. Marocchini, tunisini, ivoriani, ghanesi, camerunensi, guineani, burundesi: vengono da tutto il continente per evitare le carceri libiche e i rischi della rotta mediterranea.  

Fino alla scorsa estate, viaggiavano in aereo fino in Serbia, per poi continuare a piedi o con mezzi di fortuna. Ora la Serbia ha inasprito le sue politiche per i visti, in seguito alle forti pressioni dell’Unione Europea per fermare l’immigrazione irregolare. È così cambiata anche la meta: si arriva in Kossovo in aereo, e da lì si prosegue. Il loro sogno è, nella maggior parte dei casi, di raggiungere la Francia. Per pochi l’obiettivo finale è l’Italia.  

La situazione più critica è quella di chi viene dal Maghreb, con bassissime possibilità di ottenere lo status di rifugiato in Europa. Per loro, la permanenza in Bosnia dura anche tre o quattro anni, in un limbo senza dignità e soprattutto sempre una vera adesione alla vita: le Ong che lavorano nei campi cercano di portare un po’ di leggerezza e socialità ai suoi abitanti, offrendo loro la possibilità di dedicarsi ad attività ricreative, che comunque non spezzano l’assurdità di queste vite sospese. Si fa il possibile, con lo spazio e le risorse concesse, ma visto il basso numero di persone nei campi, la stessa presenza delle Ong inizia a diminuire.  

Cambio di rotta?

È la fine della rotta balcanica? No. Cambiano i paesi di transito o punti nevralgici di arresto, ma il passaggio continua. Nonostante, infatti, l’attenzione mediatica si concentri sulla Rotta mediterranea, da quella balcanica sono passate, da gennaio 2022 all’ottobre scorso, 128.400 persone, contro le 85.000 arrivate sulle coste. Tra gli snodi di passaggio, la città di Fiume, in Croazia, dove i migranti sostano brevemente lungo i binari del treno di una stazione abbandonata.  

E mentre la Bosnia si svuota, si fa critica la situazione di Trieste: l’hub di Camposacro, nella località di Prosecco, allestito in via emergenziale in un edificio originariamente dedicato ai profughi istriani, è pensato per ospitare un massimo di 260 persone, ma al suo interno se ne trovano ora più di 400, molti di loro nelle tende, non riscaldate, messe a disposizione dal ministero dell’Interno. Le condizioni, umane e sanitarie, non sono sostenibili e mancano i fondi necessari per migliorarle.  

Per Lipa nuovi progetti europei

Non è la fine, nemmeno per il campo di Lipa: ricostruito nel 2021 e costato 3 milioni di dollari, è già pronto per un nuovo utilizzo, grazie anche all’ambiguità giuridica che lo ha sempre contraddistinto. Secondo gli accordi che l’Unione Europea ha firmato con la Bosnia, oltre all’impegno da parte dell’Ue di dare ai Balcani occidentali ben 350 milioni di euro entro il 2024 per il contrasto all’immigrazione irregolare, è iniziato un progetto pilota di altri 500.000 euro che prevede la trasformazione di Lipa in un centro di detenzione per i rimpatri. I migranti che verranno ritenuti non idonei alla protezione internazionale verranno trasferiti lì, in attesa della deportazione nei paesi di origine.

Quando e verso quali paesi avverranno questi rimpatri, è una domanda aperta. Lo scorso 31 luglio sono stati rimpatriati due migranti pakistani, su un volo partito da Sarajevo e diretto a Islamabad. Non hanno fatto seguito però altri episodi analoghi, salvo l’espulsione di alcuni cittadini marocchini con procedimenti penali, ma la Bosnia promette la stessa soluzione anche per afghani e siriani.

Viene allora da chiedersi, vista la difficoltà di concretizzare davvero i rimpatri in grande numero, soprattutto verso paesi compromessi e senza pace come l’Afghanistan e la Siria, se Lipa non sia in realtà destinato a trasformarsi, come in parte è già stato, in un grande luogo di detenzione. 

Copyright © Nigrizia - Per la riproduzione integrale o parziale di questo articolo contattare previamente la redazione: redazione@nigrizia.it