Sudan: l'incubo di una crisi senza precedenti - Nigrizia
L’impatto umanitario, sociale ed economico del conflitto nella regione
Sudan: l’incubo di una crisi senza precedenti
In centinaia di migliaia fuggono dalle zone dei combattimenti. Un esodo che alimenta emergenze già drammatiche in tutta la regione. Ma il conflitto sudanese sta impattando anche sull’economia dell’intera area, già duramente colpita dagli effetti della pandemia, del cambiamento climatico, dell'inflazione e della guerra in Ucraìna
04 Maggio 2023
Articolo di Bruna Sironi (da Nairobi)
Tempo di lettura 6 minuti

«Il conflitto in Sudan potrebbe diventare un incubo per il mondo», ha detto nei giorni scorsi l’ex primo ministro sudanese Abdallah Hamdok in una conferenza tenutasi a Nairobi. Nessuno dei due contendenti potrà vincere la guerra che hanno iniziato, ha continuato, evocando scenari anche peggiori di quelli visti in Siria, Libia e Yemen se non si troverà una soluzione negoziata molto in fretta.

L’incubo incombe già sulla regione. Il primo drammatico impatto sarà un imponente flusso di profughi in una zona che ne ospita da decenni a centinaia di migliaia, vittime di instabilità endemica e crisi ricorrenti. A loro volta causa di tensioni in paesi politicamente ed economicamente fragili.

Filippo Grandi, capo dell’Unhcr, in un twitt postato il 1° maggio, prevede che nelle prossime settimane potrebbero lasciare il paese almeno 800mila persone.

Un vero e proprio esodo a cui si deve sommare quello di decine di migliaia di sfollati che, da Khartoum e dalle zone dove il conflitto è più acceso, hanno già raggiunto aree più tranquille, almeno per il momento. E molti altri se ne aggiungeranno nei prossimi giorni se, come pare, i combattimenti nella capitale e in molte zone del Darfur continueranno anche durante i periodi di tregua, finora mai rispettati.

Nuovi profughi e rifugiati

La fuga è cominciata fin dai primi giorni del conflitto. Secondo dati credibili, aggiornati al 2 maggio, almeno 100mila persone hanno già lasciato il Sudan. Compresi nel numero anche migliaia di stranieri evacuati, moltissimi verso Gibuti con voli in partenza da un aeroporto poco a nord di Khartoum, o in nave, da Port Sudan, con destinazione l’Arabia Saudita.

Dai due paesi hanno poi raggiunto la loro destinazione definitiva. La partenza precipitosa del personale delle ambasciate ha causato problemi non da poco alla popolazione locale. Ad esempio, chi aveva chiesto il visto non ha potuto riavere il passaporto e si è trovato improvvisamente senza il documento necessario per poter lasciare legalmente il paese precipitato nel caos.

I profughi hanno passato il confine dei paesi vicini in decine di migliaia. La maggioranza, circa 20mila persone provenienti soprattutto dal Darfur, dove sono in aumento i combattimenti e gli attacchi ai civili, si sono rifugiate in Ciad. Le autorità temono che il loro afflusso possa far crescere le tensioni già vive nel paese tra i diversi gruppi etnici, mettendone in gioco il fragile equilibrio.

Altre decine di migliaia hanno passato il confine con il Sud Sudan, di cui molti sono residenti o dove hanno legami familiari. Ma è chiaro che peseranno non poco in un paese dove gli sfollati interni sono ancora centinaia di migliaia e dove una buona parte della popolazione già dipende dall’aiuto umanitario internazionale, sempre più risicato per il moltiplicarsi delle emergenze.

Alcune migliaia sono fuggiti in Etiopia e qualcuno perfino nella Repubblica Centrafricana. La situazione più difficile è probabilmente quella delle decine di migliaia di persone che hanno scelto la strada per l’Egitto.

Molti hanno dovuto passare giorni al confine, senza servizi e senza beni di prima necessità come acqua e cibo, prima di poter espletare le pratiche doganali necessarie ad entrare nel paese. Probabilmente le lungaggini burocratice sono un modo per scoraggiare i molti altri che hanno legami familiari o di lavoro in Egitto e che pensavano di trovare una migliore accoglienza.

La situazione è particolarmente grave per le centinaia di migliaia di rifugiati ospitati da Khartoum, molti da lungo tempo.  Ora potrebbero trovarsi senza alcun supporto e protezione, come è già successo negli anni scorsi ai profughi eritrei presi tra due fuochi nella guerra civile etiopica in Tigray.

I profughi eritrei sono specialmente a rischio anche in Sudan. Sono presenti in decine di migliaia nei campi allestiti ai tempi della lotta di liberazione eritrea, negli anni Ottanta dello scorso secolo. Si trovano nello stato di Kassala e El Gedaref, in prossimità del confine con il proprio paese di provenienza.

Da giorni circolano notizie, per ora difficili da confermare, di rimpatri forzati mascherati da evacuazione, in una zona che, invece, in questo momento è relativamente tranquilla e sicura, tanto che vi stanno affluendo molti sfollati dal caos di Khartoum.  

Gli sfollati interni sono già tra i 300 e i 400mila. Molti hanno preso la strada del Sudan orientale e si affollano a Kassala, ma soprattutto a Wad Madani, nello stato di Gezira, che dista poco più di 130 chilometri dalla capitale e a Port Sudan.

Arrivano con ogni mezzo disponibile, stremati e senza mezzi di sussitenza, dal momento che a Khartoum le banche sono chiuse dallo scoppio del conflitto, il 15 aprile, e dunque non è stato loro possibile accedere ai denari depositati.

La situazione umanitaria è cosi grave che il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, ha inviato nel paese il suo rappresentante speciale per le emergenze, Martin Griffiths, che ha dichiarato di essersi trovato davanti ad un quadro senza precedenti, in veloce e continuo peggioramento.

Impatti sulle economie regionali

Ma i paesi della regione non temono solo l’afflusso dei profughi, con le conseguenze economiche e sociali che generalemente comporta. La crisi sudanese ha già avuto un impatto grave anche sull’economia dell’intera area, già duramente colpita prima dal cambiamento climatico e dalla pandemia, e poi anche dalla guerra in Ucraìna e dall’inflazione. 

Il traffico aereo è stato pesantemente colpito dalla chiusura dell’aeroporto di Khartoum e dalla necessità di evitare lo spazio aereo sudanese, diventato insicuro. Molte rotte sono state soppresse, altre sono diventate piu lughe, con un conseguente aumento dei prezzi, non solo per i passeggeri ma anche per il trasporto delle merci.

Anche i traffici commerciali in genere ne hanno avuto un grave danno. Khartoum importava molti beni dai paesi della regione. Si prevede che ora il volume si ridurrà drasticamente con un evidente impatto negativo su economie già piuttosto fragili. Il problema più grosso si potrebbe porre per l’esportazione del petrolio sudsudanese il cui terminal si trova a Port Sudan.

Il trasporto del greggio, in oleodotti che attraversano ora il territorio di un paese in conflitto, potrebbe essere a rischio, mettendo in ginocchio l’economia di Juba che si fonda sui proventi del petrolio ma non ha sbocchi al mare. Sarebbe un colpo gravissimo per un paese già tormentato da enormi problemi.

Si deve poi tener ben presente l’impatto sulle già complesse relazioni tra i paesi della regione e su quelle di altri attori internazionali che ambiscono ad avere, o ad aumentare, un’influenza nell’area, ricca di risorse e strategica dal punto di vista geopolitico. Ѐ un tema che val la pena approfondire in una prossima occasione.

La crisi sudanese rischia dunque di innescare una crisi regionale multisettoriale che potrebbe aumentare di molto l’instabilità di una parte del mondo già ora decisamente problematica.

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