Cantiere migrante - Nigrizia
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Concluso a Verona l’evento sulle migrazioni
Cantiere migrante
Tre giorni intensissimi di convivenza e studio rilanciano la missione comboniana con i migranti. Al centro del dibattito sfide aperte, criticità evidenti, lavoro di rete, proposte ad ampio raggio e maggiore consapevolezza sui nodi delle diverse tematiche e sulla loro interconnessione
16 Dicembre 2022
Articolo di Commissione Comboniana Migrantes e Cantiere Casa Comune
Tempo di lettura 6 minuti
P. Alex Zanotelli e p. Ottavio Raimondo durante momento di digiuno in solidarietà con i migranti e di preghiera interreligiosa (Credit: Nigrizia)

Una miscela di workshop, testimonianze, preghiera, convivialità e tanta passione missionaria si è respirata a Verona scorso 10 e 11 dicembre, a conclusione della prima tappa di un percorso nato in piena pandemia, nel 2020, in seno alla Famiglia Comboniana e aperto alla società civile.

Decidemmo allora di non restare a guardare i numeri dei contagi al rialzo e di reagire per lanciare un laboratorio di riflessione, preghiera e azione chiamato Cantiere Casa Comune. Il nome stesso voleva evocare i lavori in corso in vista di un riassetto del nostro modo di abitare il pianeta mettendone in evidenza le contraddizioni e le potenzialità.

A cominciare dalle prime vittime dell’ingranaggio socio-economico predatorio che fa gridare Madre Terra e gli impoveriti: i fratelli e sorelle migranti. Loro che segnalano, con i loro movimenti, la temperatura del mondo e comunicano in modo inequivocabile la malattia cronica di un pianeta che ha visto per la prima volta quest’anno oltrepassare la soglia dei 100 milioni di rifugiati.

All’inizio del percorso abbiamo organizzato cicli di incontri online per approfondire le tante sfumature di un tema molto complesso e in costante evoluzione come quello della mobilità umana e abbiamo percorso l’Italia nelle sue periferie e frontiere geografiche e antropologiche all’ascolto delle diverse realtà, delle sfide e dei testimoni.

Abbiamo così deciso di chiudere la prima tappa di questo itinerario dedicato ai migranti con un evento che aveva lo scopo di fare sintesi dei passi intrapresi e di rilanciare i lavori del Cantiere aprendoli al tema, sempre connesso, dell’ecologia integrale.

Il titolo che ci siamo dati rievoca quello dell’ultimo messaggio di papa Francesco per la Giornata del migrante e del rifugiato e apre la strada al protagonismo di quel “noi” interculturale nella realizzazione di un umanità nuova: “Costruire il futuro con i migranti e i rifugiati”.

Una sfida, un laboratorio urgente. L’unica strada per un avvenire davvero umano e praticabile sul pianeta minacciato al cuore dai cambiamenti climatici, da guerre, proliferazione di armi, razzismi e disuguaglianze economiche e sociali di dimensioni globali.

Al cuore dell’evento la sete di andare a fondo su tre aspetti interconnessi delle migrazioni: l’accoglienza e i respingimenti, il caporalato e invisibili, la cittadinanza. Ad accompagnare una ventina di partecipanti per ogni laboratorio tre esperti per i rispettivi temi: Gianfranco Schiavone presidente del Consorzio Italiano di Solidarietà (Ics), Francesco Strippoli dell’Associazione No Cap e Simohamed Kaabour, consigliere comunale a Genova.

Seguendo una modalità partecipativa e coinvolgente, i partecipanti ai laboratori hanno potuto, per un giorno e mezzo, ascoltare analisi, dati, video, sfide ma anche portare al tavolo del confronto esperienze, conoscenze, dubbi e domande. Ne sono uscite intuizioni non scontate che hanno aiutato a scavare dentro la complessità del fenomeno.

Il punto su cui convergono queste tre tematiche è sicuramente quello relativo alla mancanza di documenti che alimenta il circuito dell’irregolarità, dell’esclusione, dell’invisibilità e dello sfruttamento. La madre di tutte le riforme in materia di immigrazione dovrebbe prevedere quindi per tutte le persone presenti sul suolo italiano un documento di riconoscimento che conceda a tutti la dignità di poter essere considerato persona umana e di accedere ai servizi di base.

Questi sprazzi di competenze, esperienze e proposte sono stati convogliati nella conferenza aperta al pubblico di domenica mattina al Teatro Santa Teresa dove sono intervenuti alcuni protagonisti.

Gianfranco Schiavone, rilanciando il lavoro svolto precedentemente nei laboratori, ha sottolineato come la percezione diffusa è che le leggi in materia di immigrazione siano inique, irrazionali e con mancanza di prospettive: «Sembra che le alternative non ci siano. Invece leggi diverse sono possibili, dettagliate, razionali e facili da spiegare. Bisogna innescare un meccanismo virtuoso anche se c’è una certa sudditanza a uno stato di fatto inamovibile».

Veronica Atitsogbe, vice presidente del Consiglio comunale di Verona e fondatrice dell’Associazione Afroveronesi, ha testimoniato il soffio di un nuovo vento nell’amministrazione della città che spiega le ali al laboratorio di una nuova convivenza possibile dei cittadini, frutto di un lungo percorso della società civile con particolare attenzione al tema delle nuove generazioni.

Pietro Bartolo, europarlamentare e ex medico a Lampedusa, con passione e commozione travolgenti ha testimoniato il suo lavoro sull’isola all’incontro con gli sbarcati, per curare ferite e torture e spesso per registrare morti assurde, violente e spietate. Ma anche ha presentato il suo attuale impegno a Bruxelles per cercare di far breccia dentro il cuore gelido della Fortezza Europa che si arrocca a difesa dei suoi privilegi.

Hanno concluso la ricca mattinata gli spunti di padre Alex Zanotelli che non risparmia un accesa critica all’egoismo di quella che lui chiama la tribù bianca artefice delle sofferenze di tanti popoli e detentrice delle leve del potere che scarta gli impoveriti e del nuovo vescovo di Verona, Domenico Pompili, che ha messo l’accento su tre parole chiave: lo stupore della paura alimentata ad arte da una certa politica che scava un abisso tra il fenomeno reale e quello percepito, il tempo delle politiche di integrazione (parola quanto mai contestata nell’evento!) che non può essere velocizzato e l’esperienza che non cresce per moltiplicazione di incontri ed eventi a cui si partecipa ma per il grado di coinvolgimento in un rapporto con le persone che ci troviamo davanti.

Lo stesso vescovo ha presieduto l’Eucarestia animata dalle comunità nigeriana e ghaneana, al termine della conferenza, nella Chiesa di S.Giacomo che ha anche ospitato un delizioso banchetto finale con specialità africane in un clima di convivialità fraterna.

L’approfondimento, l’analisi, l’ascolto e incontro con i testimoni su tematiche così determinanti delle migrazioni sono stati accompagnati da altri momenti di spessore che hanno aiutato la Famiglia Comboniana a mettersi in ascolto dei testimoni.

Come la serata di venerdì 9 dicembre, trascorsa a Fittà alla Trattoria Sociale dell’Associazione Sulle Orme con cena fraterna e ascolto delle testimonianze vibranti dei membri della comunità che da anni accoglie persone fragili e migranti, e il sabato sera durante la visione del film La notte è un posto sicuro che narra il viaggio e le intrepide vicende di Amin Nour, giovane profugo eritreo, e la presenza del regista Giuseppe Papasso in collegamento video.

Non potevano mancare momenti di spiritualità molto intensi per sostenere tutto il lavoro e far leva su nuovi sguardi, linguaggi, motivazioni e azioni nell’impegno con i migranti. Sabato pomeriggio con il Movimento non violento e leader religiosi dei diversi gruppi presenti a Verona abbiamo vissuto in piazza Isolo un momento molto forte di digiuno in solidarietà con i migranti e di preghiera interreligiosa accompagnati da canti di libertà e dall’emozionante teatro popolare del Centro Sociale Paratodos per fare memoria dei morti in mare nel Mediterraneo.

Nel lungo percorso del Cantiere, non privo di diversi ostacoli, non sono mancati e sono tuttora ben presenti gli ingredienti per agire con più incisività nel lavoro di curare e costruire la Casa Comune.

«Non possiamo giustificarci e accomodarci dicendo che non è un momento favorevole per le nostre azioni con questo nuovo governo – ha sostenuto Simohamed al termine dei laboratori – è invece proprio questo il tempo migliore per scuotere le coscienze e tornare a darci da fare con rinnovato impegno per sostenere il cambiamento». 

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