Democrazia in Africa: salute precaria - Nigrizia
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Sovranità popolare in ritirata
Democrazia in Africa: salute precaria
Gli ultimi report fotografano una situazione negativa: solo il 21% della popolazione vive in una democrazia elettorale; negli ultimi 10 anni 23 colpi di stato riusciti o tentati; quasi il 70% delle persone vive in un paese in cui i conflitti armati sono peggiorati rispetto a 10 anni fa. Tuttavia quello democratico resta pur sempre il sistema migliore per la maggior parte dei cittadini africani
13 Giugno 2023
Articolo di Gianni Ballarini
Tempo di lettura 5 minuti

Questo articolo è uscito nella sezione “Africa 54” della rivista Nigrizia di giugno 2023.

È noto come la democrazia, nel mondo, sia in ritirata da un po’ di anni. In Africa soffre anche di più.

Secondo il progetto Varieties of democracy (V-Dem) – dell’Istituto svedese V-Dem che produce il più ampio set di dati globali sulla democrazia, coinvolgendo 202 paesi nelle sue ricerche – il 72% della popolazione mondiale vive in regimi classificati come autocrazie elettorali.

Regimi, cioè, che tengono elezioni, ma che non rispettano gli standard di elezioni libere ed eque. È la prima volta da due decenni che globalmente ci sono più autocrazie che democrazie liberali.

E il livello di democrazia di cui ha goduto il cittadino medio mondiale nel 2022 è sceso ai livelli del 1986.

Nell’Africa la percentuale della popolazione che vive in autocrazie elettorali sale al 79%. Seicelle è considerata l’unica democrazia liberale. Mentre il 21% della popolazione vive in democrazie elettorali.

Tracimano di pessimismo le analisi sullo stato di salute della democrazia in Africa.

E al di là di tutte le perplessità che rimangono quando si vuole estendere al continente il modello di democrazia liberale così come lo conosciamo in Occidente, restano i dati.

Dalla cui fotografia emerge come l’Africa non sia un mondo che spasima la democrazia. E anche là dove pare esserci, spesso si rivela una maschera che ricopre un dispotismo ben radicato.

Per cui la democrazia, pur continuamente evocata, in realtà si sfibra nell’accettazione di una delega totale.

Secondo l’ultima edizione dell’Ibrahim index of african governance, il 69,3% dei cittadini africani vive oggi in un paese in cui i conflitti armati e la violenza sono peggiorati rispetto a 10 anni fa.

Il rapporto elenca 23 colpi di stato riusciti o tentati dal 2012 a oggi. Per V-Dem, dei 16 colpi di stato registrati a livello globale dal 2017, 15 sono avvenuti in Africa.

Golpe in crescita

Una situazione certificata dalla stessa Unione africana: dal 2003 ha sospeso 11 paesi (alcuni più di una volta) a causa di un cambio incostituzionale del governo.

Conflitti armati, terrorismo e criminalità organizzata sono i 3 fenomeni che tengono in ostaggio milioni di cittadini africani

L’International crisis group (Icc) – organizzazione non governativa transnazionale che propone politiche per prevenire, mitigare o risolvere i conflitti – ogni anno pubblica un rapporto sui conflitti da tenere maggiormente monitorati durante l’anno.

Dei 10 elencati all’inizio del 2023, 3 sono in Africa: Etiopia, Rd Congo e Sahel. Non era ancora scoppiata la guerra civile in Sudan.

Secondo l’Icc, l’Africa ospita il maggior numero di violenze unilaterali in crescita rispetto a qualsiasi altra regione mondiale.

L’Istituto ha monitorato circa 25 gruppi militanti islamici attivi rispetto ai soli 5 del 2010 (+400%).

Voltiamo pagina. Prendiamo l’Indice degli stati più fragili 2022 di Fund for peace: la classifica è dominata da paesi africani: 15 su 20.

Paesi che ospitano 663 milioni di persone, pari a quasi il doppio della popolazione degli Stati uniti nel 2022. Mali e Repubblica centrafricana sono 2 tra gli stati “più deteriorati” tra il 2012 e il 2022.

Dopo questa nefasta rappresentazione sullo stato di salute della democrazia e sulla risacca che prosciuga i diritti nel continente, bisogna ricordare che quello democratico resta pur sempre il sistema migliore per la maggior parte delle persone in Africa.

Secondo le indagini, separate, condotte da Afrobarometer e dalla Fondazione Ichkowitz, il 69% dei cittadini africani preferisce ancora la democrazia a qualsiasi altro tipo di governo. Percentuale che sale al 74% con i giovani intervistati.

Utopia consolatoria?

Giovani spesso protagonisti delle proteste dalle quali pareva levarsi quel vento di cambiamento della politica africana.

Secondo l’organizzazione per la raccolta dati sui conflitti politici (Acled), nell’Africa subsahariana il numero di proteste è passato da 614 del 2011 a 5.900 nel 2021.

Ma parallelamente è cresciuta anche la violenza contro i civili (+480%) e molte di queste proteste sono state represse e silenziate.

L’esempio recente più clamoroso è quello del Sudan. Leader africani in calo di popolarità e legittimità sono sempre più costretti ad affidarsi a strumenti non democratici per mantenere l’autorità.

Stiamo assistendo a un’erosione sistemica delle istituzioni e a un’incrinatura ormai profonda nel rapporto tra popolo e rappresentanza.

Spesso la democrazia perde perfino il suo popolo. Come è successo in Tunisia e Algeria, quando alle ultime elezioni legislative si sono presentati alle urne solo l’11% e il 23% degli aventi diritto.

Elezioni: il 2023 era stato dipinto come un anno di svolta per le democrazie africane grazie agli appuntamenti elettorali in 17 paesi. Alcuni dei quali di rilievo. Come in Nigeria.

Ma già nel più popoloso paese africano, il voto ha lasciato molti con l’amaro in bocca. La Commissione elettorale indipendente aveva suscitato grandi attese sulla trasparenza del voto.

In realtà, lei stessa ha violato la legge elettorale non trasmettendo i risultati per via elettronica al suo portale e sollevando dubbi su possibili brogli elettorali, che pare siano stati diffusi.

Tuttavia, al di là di sotterfugi, travisamenti, inganni la più importante democrazia africana ha un nuovo presidente. E forse, al di là della retorica vaporosa di noi occidentali, già questo è un risultato.

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