L’odio si radicalizza contro le donne - Nigrizia
Politica e Società
La Mappa di Vox Osservatorio italiano sui diritti
L’odio si radicalizza contro le donne
Presentata la sesta edizione della Mappa dell’intolleranza di Vox Osservatorio italiano sui diritti. Al centro dell’odio che corre sul web attraverso Twitter le donne. Seguite da musulmani e (new entry) le persone con disabilità. Un odio che, seguendo lo sciame digitale, può sfociare in azione. Da qui la richiesta di leggi che combattano l’hate speech
24 Novembre 2021
Articolo di Jessica Cugini
Tempo di lettura 4 minuti
hate-speech

Odio sempre più radicalizzato, che prende di mira le donne che lavorano, i musulmani e le persone con disabilità. In quest’ordine. Con delle percentuali in rialzo rispetto alla mappatura dello scorso anno. La sesta edizione della Mappa dell’intolleranza 6.0, progetto ideato da Vox Osservatorio italiano sui diritti, che collabora con le università Statale di Milano, Aldo Moro di Bari, Sapienza di Roma e It’sTime della Cattolica, fotografa i discorsi d’odio che viaggiano su Twitter, restituendoci quantitativamente meno tweet, ma di un’“alta qualità” negativa.

Tra i 797.326 cinguettii presi in esame dalla Mappa per il 2021, nel periodo metà gennaio/metà ottobre (un numero inferiore rispetto agli oltre un milione di un tempo più stretto, quello tra marzo/settembre 2020), quelli negativi sono infatti oltre 550mila: il 69% (nel 2020 si fermavano al 43%).

Un’intolleranza che riguarda 5 gruppi su sei: donne (43,70% dei tweet negativi), musulmani (19,57%), persone con disabilità (16,43), ebrei (7,60%), persone omossessuali (7,09%). Mentre quasi sparisce un gruppo sempre in auge in passato, quello delle persone migranti, che lo scorso anno “vantava” un odio al 14,40%, sceso nel 2021 al 5,61%.

Sono le donne quelle più sotto attacco, soprattutto se maggiormente visibili, perché impegnate in politica, nei media o nella scienza (non a caso tra i nomi spiccano quelli di Ilaria Capua e Franca Viola). È femminile il bersaglio preferito dagli hater dietro la tastiera. Da nord a sud dell’Italia, sugli oltre 797mila tweet, 340.208 hanno come obiettivo una donna. E, tra questi, oltre 240mila sono insultanti. Due su tre.

Ma è un odio che non viaggia solo su internet: nel nostro paese, tra il 1° gennaio e il 7 novembre, sono state uccise 103 donne. Una ogni tre giorni. Mentre continuano ad aumentare le richieste d’aiuto e i casi di violenza segnalati. Tra le adolescenti di età compresa tra i 14 e i 18 anni, il 70% dichiara di aver subìto apprezzamenti o violenze in pubblico; al 64% è capitato di sentirsi a disagio per un commento o un’avance di un adulto.

Se in tempi di pandemia, crollano i tweet xenofobi, per cui i cinguettii negativi sulle persone migranti si fermano al 5,61%, con l’utilizzo delle solite parole: negro, terrone, merda e zingaro; con il ventennale degli attacchi alle Torri gemelle e l’arrivo dei talebani in Afghanistan salgono quantitativamente i tweet negativi che riguardano i musulmani; così come quelli contro gli ebrei in concomitanza alla Giornata della memoria e, in occasione della diffusione del green pass, le esternazioni offensive nei confronti della senatrice Liliana Segre da parte di gruppi No-vax.

Per la prima volta in due anni poi, crescono le offese contro le persone omossessuali, colpite soprattutto durante la discussione politica del Ddl Zan e dopo alcuni episodi di aggressioni omofobe arrivate sui media.

Ma, a sorpresa, tra i gruppi più odiati via twitter, c’è una new entry: quella delle persone con disabilità. Terza come categoria più odiata, ma prima per numero di tweet totalizzati, 90.430. In questo caso, le parole utilizzate in maniera spregiativa e spesso lessicalmente veicolanti stereotipi diffusi, vengono rivolte a categorie altre. Demente, mongoloide, celebroleso, handicappato, sono gli insulti più diffusi. Il picco dei tweet negativi coincide con i fatti di cronaca in cui le persone con disabilità vengono picchiate o umiliate.

Ciò che deve mettere in allerta, di questo odio che si radicalizza sul web, è una delle riflessioni finali che accompagna la Mappa dell’intolleranza; quella su ciò che la sociologia della comunicazione chiama “sciame digitale”: «una sorta di brusio virtuale che agita la rete, spingendo le persone a condividere messaggi di odio. Come dire, lo sciame si agita e fa sì che offese e parole sin qui stigmatizzate a livello sociale, vengono liberate, liberando al contempo la carica di violenza che può portare all’atto».

Vi è correlazione tra parole e crimini d’odio. Occorrono più leggi per combattere l’hate speech alla luce della sua possibile trasformazione in atti di violenza.

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