La lezione del Sudafrica del rugby, si vince ma solo se "insieme"
Politica e Società Sudafrica
Le parole del capitano Siya Kolisi dopo la vittoria del quarto mondiale non dimenticano le sofferenze ma guardano oltre
La lezione del Sudafrica del rugby, si vince ma solo se “insieme”
30 Ottobre 2023
Articolo di Redazione
Tempo di lettura 4 minuti

«Ci sono così tante cose che vanno male nel nostro paese. Noi siamo come l’ultima linea di difesa: dimostriamo che si può ottenere tanto se si fanno le cose insieme». Il capitano della nazionale del Sudafrica di rugby Siya Kolisi ha commentato così, a caldo, la vittoria della coppa del mondo agguantata dagli Springbok dopo una tiratissima finale contro la Nuova Zelanda giocata allo Stade de France di Parigi e terminata con l’eloquente risultato di 12-11.

Per il Sudafrica si tratta del secondo mondiale di fila dopo quello ottenuto nel 2019 e del quarto in assoluto dopo i trionfi nel 1995, 2007 e appunto 2019. I 15 “verde e oro” sono ora la nazionale ad aver vinto il maggior numero di coppe del mondo.

Una in più degli All Blacks, i rivali di quest’ultima finale e della prima nel 1995, la prima vittoria del Sudafrica post-apartheid governato da Nelson Mandela. Il leader dell’Africa National Congress (ANC), era diventato presidente del paese l’anno prima dopo decenni di lotta e di detenzione. Celebre l’immagine che lo ritrae mentre consegna la coppa all’allora capitano Francois Pienaar.

Le parole di Kolisi hanno illuminato un paese che negli 24 mesi ha passato oltre 200 giorni all’anno parzialmente al buio a causa di una crisi infrastrutturale fra le peggiori al mondo. I problemi strutturali della rete elettrica nazionale, a cui si aggiungono quelli del sistema idrico e di quello ferroviario, alimentano le difficoltà di uno scenario economico complesso, segnato da crescita al rilento, disoccupazione e deficit pubblico.

L’intervento del capitano, il primo giocatore nero a ricoprire questo ruolo nella storia degli Springbok, è stato elogiato da buona parte della stampa sudafricana. Dalle pagine del quotidiano Daily Maverick è partito un invito speciale al presidente Cyril Ramaphosa, in prima fila a Parigi ad applaudire i suoi: al capo di stato è stato suggerito di non strumentalizzare politicamente la vittoria e di ispirarsi alla saggezza del capitano.

Polemica sulla festa nazionale 

Ramaphosa è ora al centro di un’altra polemica. Il presidente non ha annunciato la giornata di festa nazionale promessa in caso di vittoria del mondiale, attirando le ire e le ironie della rete. Il capo di stato dovrebbe sciogliere ogni riserva oggi. In ballo c’è un’altra fetta di popolarità quando mancano pochi mesi alle elezioni del 2024, previste per la prima metà dell’anno in una data ancora da definire con esattezza.

Gli Springbok sono stati a lungo un emblema del Sudafrica della segregazione razziale e anche dopo la fine del regime la gioia per le loro vittorie non è sempre stata condivisa da tutti i sudafricani.

La federazione e più in generale tutto il mondo del rugby sono stati più volte accusati di mantenere un approccio ancora razzista e di essere ancora connessi con personaggi delle elite economica bianca, come il magnate Johann Rupert.

La vittoria di quest’anno sembra però aver unito la “nazione arcobaleno” come mai prima. Anche la formazione di estrema sinistra Economic Freedom Fighters (EFF) si è congratulata sul social X con la nazionale. Nel 2019 questo stesso partito, guidato da Julius Malema, noto per il suo temperamento vulcanico e le sue iniziative clamorose, si era rifiutato di celebrare la vittoria degli Springboks.

Il capitano che unisce 

Il merito è appunto anche di Kolisi, secondo capitano nella storia del rugby a sollevare due volte la coppa del mondo dopo il neozelandese Richie McCaw ma anche filantropo e testimonial di campagne delle Nazioni Unite. Nato da genitori adolescenti in un quartiere povero di Port Elizabeth, la township di Ibhayi, il capitano non ha dimenticato le sofferenze dei 62 milioni di sudafricani neanche all’apice della gioia.

Il giocatore, 32 anni, è poi tornato però su una parola chiave del Sudafrica di oggi – insieme – scelta non a caso anche come motto per l’avventura mondiale degli Springbok, “stronger together”, appunto “più forti insieme”.

«Ci sono così tante persone che provengono dalle mie parti e che si trovano in situazioni senza speranza», ha dichiarato il capitano. «C’è così tanta divisione nel paese, ma noi dimostriamo, come persone con background diversi, che è possibile lavorare insieme in Sudafrica, non solo sul campo di rugby ma nella vita in generale».

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