Accordo Italia-Albania, un patto valido in nome dell’amicizia?
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Dubbi e avvalli sul protocollo d’intesa
Accordo Italia-Albania, un patto valido in nome dell’amicizia?
Fa discutere il protocollo d’intesa Italia-Albania non passato per il parlamento, ma siglato per stretta di mano tra capi di governo in nome del Trattato d’amicizia del 1995. ASGI prende posizione, mentre l’Europa sembra avvallare con una capriola interpretativa del diritto. Manca il benestare della Corte europea dei diritti umani, che potrebbe ribaltare le carte
17 Novembre 2023
Articolo di Jessica Cugini
Tempo di lettura 5 minuti

Passano i giorni e del protocollo Italia-Albania siglato dalla presidente del consiglio Giorgia Meloni con il premier albanese Edi Rama si continua a parlare, dentro e fuori dei confini del nostro Paese.

L’accordo che nasce con l’intento di raggiungere tre obiettivi: “contrastare il traffico di esseri umani, prevenire i flussi migratori illegali e accogliere solamente chi ha davvero diritto alla protezione internazionale”, prevede la costruzione di due centri in territorio albanese e il trasferimento di 3mila persone migranti al mese per un costo approssimativo di 36 milioni l’anno.

Il primo dei due centri dovrebbe sorgere nel porto di Shengjin, e dovrebbe essere una sorta di centro di prima accoglienza in cui operare una prima attività di screening di identificazione a carico delle autorità italiane.

L’atro sorgerà in un’area più interna, sarà realizzato secondo il modello dei Centri per il rimpatrio e servirà per le procedure successive all’identificazione. Un centro di trattenimento dunque, dove attendere (in un sistema di reclusione ingiustificato) il responso della commissione e l’eventuale accoglimento o respingimento della domanda d’asilo.

In questi due centri, che dovrebbero essere operativi entro la primavera prossima, al governo albanese spetterà un’attività di collaborazione, attraverso le sue forze di polizia, per quel che riguarda la sicurezza e la sorveglianza esterna delle strutture.

Chiarito che dentro i centri vigerà la giurisprudenza italiana, come se fossero enclave in territorio straniero, sono stati diversi gli interrogativi sulla legittimità dell’accordo tra le due figure premier che hanno ritenuto di bypassare i propri parlamenti che, di fatto, sono stati informati a patto siglato.

Ma se in Albania l’intesa è stata giustificata come un investimento sulla possibilità di accelerare l’ingresso nell’Unione Europea del paese (tant’è vero che non sono previsti particolari problemi al passaggio dell’accordo in parlamento), in Italia le opposizioni e l’ASGI hanno sottolineato come l’iter che si vuole invece evitare è un passo obbligato.

Il passaggio parlamentare è previsto dalla Costituzione

Così se a chiedere un passaggio e un voto in Camera e Senato dentro le istituzioni sono le forze politiche, a metterlo nero su bianco, fuori dai palazzi parlamentari è l’ASGI, motivando che «la Costituzione italiana prevede che la ratifica di trattati internazionali spetti al presidente della Repubblica, previa, quando occorra, l’autorizzazione con legge del parlamento (art. 87, Cost.)».

E che «tutti i tipi di trattati internazionali costituiscono una delle fonti del diritto internazionale, la cui efficacia nell’ambito nazionale deriva da un ordine di esecuzione dato per effetto della loro ratifica che fa sorgere l’obbligo internazionale della loro attuazione interna».

E davanti alla replica governativa che il protocollo si rifarebbe al Trattato di amicizia e collaborazione tra la Repubblica italiana e quella di Albania, sottoscritto nel 1995, per cui non necessita di passaggi parlamentari, l’ASGI ricorda come il passaggio del trattato in cui si riconosce «la necessità di controllare i flussi migratori anche attraverso lo sviluppo della cooperazione fra i competenti organi… e di concludere a tal fine un  accordo  organico  che  regoli anche l’accesso dei cittadini dei due paesi al mercato del lavoro stagionale, conformemente alla legislazione vigente», si rifà di fatto all’immigrazione albanese verso l’Italia. Fattispecie ben diversa da quella dell’accordo odierno.

L’ok della Commissione europea, i potenziali dubbi della Corte di Strasburgo

Anche in ambito europeo è prevista maretta. Dopo un iniziale ok del cancelliere tedesco Sholz, a mettere un bollino di legalità arriva la commissione europea con la dichiarazione del suo portavoce Eric Mamer.

Mamer sostiene che la cooperazione tra i due stati è legittima, che le richieste d’asilo, pur in territorio albanese, verranno trattate dall’Italia nell’ambito della legge UE, che invece per quel che riguarda i salvataggi in mare il problema del diritto europeo non si pone se la nave che soccorre si trova in acque internazionali.

Dove di fatto non vige la legge UE in campo asilo e migrazioni, per cui non si applicherebbe il diritto d’asilo comunitario e dunque l’Italia sarebbe legittimata a traghettare le persone in Albania. «È importante il luogo dove opera un’imbarcazione, non il fatto che sia di un Paese o di un altro. Una nave italiana che salva delle persone in acque internazionali non è territorio italiano e quindi europeo».

Un’interpretazione su cui di sicuro si discuterà non poco. Fosse solo perché cozza con quanto il governo italiano da tempo vorrebbe applicare con le navi salvataggio delle ong che battono bandiera tedesca o spagnola.

Si attende a questo punto la lettura della Corte europea dei diritti dell’uomo, soprattutto all’indomani della bocciatura da parte della Corte suprema britannica dell’accordo Regno Unito-Rwanda, ma che soprattutto ancora nel 2009 aveva condannato l’Italia per un respingimento collettivo in Lobia motivando come, seppur il soccorso fosse avvenuto in acque internazionali, il codice di navigazione italiana riconosce che sulla nave militare in alto mare si applica la giurisdizione dello stato di bandiera.

Insomma par di capire che la Corte di Strasburgo riconosca la bandiera battente…

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