Angola: verso lo sciopero generale del 20 marzo - Nigrizia
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Il governo di Lourenço sembra incapace di gestire la situazione ma vuole scongiurare la mobilitazione. Le richieste dei sindacati sono però ambiziose
Angola: verso lo sciopero generale del 20 marzo
A pesare sulla situazione anche la rimozione dei sussidi sul carburante, rafforzata nei giorni scorsi con la cancellazione di alcune esenzioni
11 Marzo 2024
Articolo di Luca Bussotti
Tempo di lettura 4 minuti
Manifestazione dei sindacati. Foto dalla pagina Facebook di Unta Confederação Sindical

La “cinghia di trasmissione” non funziona più. Neanche in Angola, un tempo uno dei paesi a maggiore ortodossia marxista dell’Africa, oggi immerso in una crisi economica e sociale senza precedenti, come gli stessi vescovi di quel paese hanno da anni denunciato. E proprio quella cinghia di trasmissione da sempre fedele all’MPLA (Movimento Popolare per la Liberazione dell’Angola), ossia l’equivalente dei sindacati confederali, ha proclamato lo sciopero generale per il prossimo 20 marzo. A meno di improvvisi, improbabili ripensamenti, che potrebbero venire esclusivamente da una proposta da parte del governo più in linea coi desiderata dei sindacati.

I motivi dello sciopero

Vi sono almeno due ragioni strutturali che hanno portato a questa storica decisione: da un lato, un’inflazione galoppante, dall’altro la svalorizzazione continua della moneta locale, il Kwanza, nei confronti del dollaro. Nel primo caso, il tasso inflattivo ha ormai superato da mesi il 20%, con un governo incapace di misure adeguate di contenimento. Dall’altra, il Kwanza ha perso ulteriore terreno rispetto al dollaro. Oggi, per comprare un dollaro occorrono circa 850 kwanzas, in uno scenario che un economista locale, Carlos Rosado de Carvalho, già a metà dello scorso anno aveva definito come “tempesta perfetta”: il petrolio – di cui l’Angola disputa il primo posto come maggiore produttore nell’Africa Sub-sahariana con la Nigeria – viene prodotto in quantità minori e a prezzo inferiore; conseguenza: il paese ha meno riserve in dollari poiché ha minori introiti dalla vendita di greggio, ma deve pagare più cari i beni importati (quasi tutti: da quelli tecnologici a quelli alimentari).

A fronte di questo sconquasso ormai strutturale, il governo sembra incapace di adottare misure sufficienti almeno per arginare una situazione fuori controllo; anzi, pochi mesi fa ha tolto il sussidio pubblico al prezzo della benzina, facendo scattare il prezzo alla pompa, con evidente danno soprattutto per la classe medio-bassa. La scorsa settimana Luanda ha inoltre cancellato le esenzioni previste per alcune categorie professionali che erano inizialmente contenute nella misura, come per esempio quelle per i tassisti. Come aggravante, occorre aggiungere la modestissima credibilità politico-istituzionale dell’esecutivo, a causa di elezioni (le ultime, del 2022) ritenute fraudolente e di cui soprattutto i cinque milioni di cittadini che vivono a Luanda non riconoscono la legittimità.

Le rivendicazioni sindacali

Dinanzi a un simile scenario, l’unica via di uscita sarebbe un aumento consistente della produzione interna, innanzitutto dei generi alimentari, insieme a una riduzione delle imposte sul salario dei dipendenti e sull’IVA, secondo quanto affermato da vari osservatori locali. Fatto che è ben lungi dall’essersi verificato negli ultimi anni, lasciando quindi alla rincorsa salariale nei confronti delle spinte inflazionistiche l’unico, possibile campo di gioco fra le parti sociali.

Secondo questa logica, i sindacati – trascinati dai lavoratori di Luanda che, occorre ricordarlo, alle ultime elezioni avevano dato una maggioranza schiacciante, nella capitale, al principale partito di opposizione, l’UNITA (Unione Nazionale per l’Indipendenza Totale dell’Angola)  – hanno avanzato richieste difficilmente digeribili da parte dell’esecutivo guidato da João Lourenço: incremento salariale di circa il 250% rispetto ai livelli attuali; salario minimo nazionale che, a seconda delle imprese, non potrà scendere al di sotto dei 245mila  Kwanzas (circa 270 euro) per nessuna categoria di lavoratori; riduzione dell’IRT (Imposta sul reddito da lavoro, dipendente come autonomo) al 10% (oggi si aggira intorno al 20%).

Fra l’altro, dal 2019, per la prima volta, i lavoratori angolani hanno dovuto pagare l’IRT anche sulla tredicesima e sul bonus per le ferie, aggravando ulteriormente la loro situazione economica. Infine, i sindacati rivendicano un incremento delle pensioni, e soprattutto una gestione più trasparente dell’istituto pubblico che le gestisce, l’INSS.

In una dichiarazione di pochi giorni fa, la ministra del Lavoro e della Sicurezza Sociale, Teresas Dias, che a dicembre aveva classificato come “irrealista” la proposta dei sindacati, sta cercando invece di andare incontro per lo meno ad alcune delle loro richieste, scongiurando così uno sciopero che avrebbe di certo un’adesione massiccia, con un impatto molto negativo sull’immagine di Lourenço e del suo esecutivo anche nei confronti dei partners occidentali. 

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