75mila posti disponibili per donne burundesi disposte ad andare a svolgere lavori domestici in Arabia Saudita: è quanto previsto dal programma, sostenuto dai due paesi, il cui intento è, ufficialmente, quello di contrastare l’immigrazione clandestina. A dichiararlo, Epimeni Bapfinda, un funzionario del ministero degli affari esteri del Burundi.
Una notizia che arriva un mese dopo la notizia di un piano analogo siglato con l’Etiopia, il cui intento è di mandare nel paese arabo 5o0mila lavoratrici.
Una scelta in controtendenza con le politiche seguite da diversi paesi dell’Africa orientale fino a poco tempo fa.
Da anni infatti, diverse Ong, e non solo, denunciano il traffico di essere umani verso l’Arabia Saudita e le terribili violenze che lavoratori e lavoratrici provenienti da altri paesi subiscono quotidianamente. Una condizione che non è legata esclusivamente all’essere vittime di trafficanti, ma anche alle leggi ancora vigenti in Arabia che consentono di tenere i lavoratori migranti in condizioni di semi-schiavitù.
La situazione sarebbe grave al punto da aver indotto l’Uganda, nel 2016, e la stessa Etiopia, a vietare alle cittadine di trasferirsi in Arabia per lavorare come cameriere e a rimpatriare alcune delle donne presenti sul territorio. Lo stesso divieto si estende al di fuori dell’Africa e riguarda anche le Filippine e l’Indonesia. Nel 2020, l’Unione Europea aveva approvato una risoluzione che condannava l’Arabia per le torture e la morte di numerosi migranti etiopi e non solo.
Non si hanno notizie sulle condizioni che verranno garantite alle donne burundesi. Un mese fa, secondo i documenti ottenuti da Al Jazeera, l’Arabia Saudita si impegnava, sulla carta, ad offrire condizioni dignitose alle donne etiopi che sarebbero arrivate nel paese per lavorare, con un salario minimo più alto di quello che verrebbe percepito nel paese d’origine. (A.B.)